Agire sul cuneo fiscale o detassare gli aumenti contrattuali? L’inflazione e la ricerca della terza via…

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Nella diatriba che contrappone il Ministro del Lavoro Andrea Orlando al Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio, a margine della conferenza stampa di presentazione del Forum internazionale di Confcommercio a Villa Miani a Roma da buon democristiano non si è schierato. Anzi ha raddoppiato la posta proponendo di “agire sul cuneo fiscale e detassare anche gli aumenti contrattuali” pur sapendo che le due richieste, già estremamente costose in sé, non sono compatibili.

I francesi direbbero che in questo contesto “non si può avere il burro e i soldi del burro” ma Sangalli sa benissimo che, a differenza di Confindustria che i suoi CCNL li ha rinnovati a suo tempo e sta predisponendosi per non trovarsi in difficoltà di fronte alle prossime scadenze, Confcommercio non ha ancora rinnovato i contratti scaduti da oltre due anni ben prima che l’inflazione portasse in primo piano l’emergenza salari. E non li ha rinnovati per contraddizioni interne al sistema della rappresentanza non per altri motivi.

Detassare gli aumenti sarebbe, per l’importante contratto del Terziario, una via d’uscita semplice per un problema complesso perché riuscirebbe a rimandare così ad un futuro ipotizzato ottimisticamente meno “fragile” l’aggiornamento dei contenuti del contratto nazionale. Per i sindacati di categoria, ovviamente, questa dichiarazione viene accolta positivamente perché consentirebbe loro di sbloccare la situazione. E magari potrebbe trascinarsi dietro il resto dei rinnovi.

Il problema è che la natura confederale del contratto del terziario di Confcommercio disegna un perimetro di applicabilità che comprende settori che la pandemia non ha toccato, altri che stentano a riprendere e, altri ancora, vedi ad esempio la grande distribuzione, che pur non segnata dalla pandemia si appresta a convivere con una crisi dei consumi dovuta proprio alla ripresa inflazionistica. Un panorama che, purtroppo,  non consente facili scorciatoie.

Il Governo, visto il costo di entrambe le proposte, non credo abbia intenzione di accoglierle. Probabilmente individuerà una soluzione intermedia.  Procediamo però con ordine e vediamo le rispettive controindicazioni.

Innanzitutto va dato atto al Ministro Orlando  di sollevare un problema vero. Lo fa, come è nel suo stile, con una eccessiva ruvidezza mosso dalle preoccupazioni delle conseguenze politiche e sociali di una ripresa dell’inflazione. L’argomento, però, non può non essere sul tavolo. Se la spinta inflazionistica di dovesse attestare nel 2022 intorno al 5,2% la perdita di potere d’acquisto è valutabile in quasi cinque punti percentuali. Aggiungo che una delle conseguenze della cosiddetta tempesta perfetta nella quale siamo coinvolti è che tutte le parti in causa hanno le loro buone ragioni da tutelare.

Difficile negarle ai lavoratori che vedono eroso il loro salario, alle imprese che si devono misurare con un contesto imprevisto e rischioso e, infine al Governo assillato da tutte le categorie economiche e sociali alla ricerca di ristori e indennizzi e alle prese con uno scenario economico e geopolitico tutt’altro che decifrabile con leggerezza. 

La proposta di Confindustria sui rinnovi dei suoi CCNL non prevede esborsi da parte delle imprese. Prevede un taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro. In poche parole 1.223 euro l’anno in più. Dove trovarli? Per Confindustria riorganizzando la spesa pubblica e utilizzando l’extragettito fiscale. È possibile? si, secondo gli industriali. Non credo per i partiti che si apprestano alla campagna elettorale.

Ad oggi il cuneo fiscale contributivo viene pagato per due terzi dalle imprese e per un terzo dal lavoratore. Invertendo questo rapporto per la fascia di lavoratori interessati, il cuneo fiscale scenderebbe al 40,8%. Oggi è al 46% circa. Il problema è che la fiscalità generale non è in grado di reggere i 13 miliardi che servono per questa proposta. Forse occorrerebbe smontarla e rimontarla diversamente per renderla almeno parzialmente praticabile.

La detassazione degli aumenti derivanti dal contratto nazionale è una strada complessa che presenta anch’essa  delle controindicazioni. Se dovesse coinvolgere tutti i comparti economici, non solo avremmo minori entrate  per lo Stato, ma costringerebbe comunque  le imprese, a mettere sul tavolo risorse economiche  fresche che, a detta degli industriali,  non ci sono.

Diverso è agevolare fiscalmente, come avviene già ora, gli aumenti retributivi derivanti dalla contrattazione di secondo livello (contratti aziendali o territoriali) perché porta con sé una finalità importante: incentivare la partecipazione del lavoratore agli incrementi del valore aggiunto per addetto stimolando sia l’aumento della produttività che la crescita aziendale.

Trasferire, al contrario, lo stesso meccanismo alla contrattazione di primo livello (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro – CCNL) non solo non contribuirebbe all’aumento della produttività e al coinvolgimento del lavoratore ma, oltre a produrre dei costi senza contropartite sulle produttività del sistema,  se non erogata come una tantum uguale per tutti i livelli di inquadramento o con particolare attenzione ai redditi più bassi, rischierebbe addirittura di favorire i lavoratori con un reddito (complessivo) più elevato e quindi con un’aliquota marginale effettiva più alta. Va poi considerato che lo sgravio essendo permanente (come lo sono gli importi dei CCNL) si potrebbero verificare contraddizioni  tra lavoratori con redditi diversi.

Che fare quindi?

Al Governo spetta mettere intorno ad un tavolo le buone ragioni di tutti. E convincere tutti a rinunciare a qualcosa nell’interesse generale. La situazione merita uno scatto in avanti e un’assunzione di responsabilità di tutte le parti sociali. La soluzione non può essere lasciata né alle minacce né ai rapporti di forza. Nessuno da questa crisi ne uscirà da solo soprattutto perché la sua durata e la sua intensità necessitano di un monitoraggio costante, risposte rapide e capacità di gestione delle contraddizioni e delle conseguenze sociali ed economiche. 

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