Varianti del virus e impatto nelle aziende da settembre.

La mancanza di una netta presa di posizione di alcune associazioni di categoria e dei sindacati sull’obbligatorietà del green pass e sulle conseguenze su chi non si adegua le renderà fragili alla ripresa di settembre. I novax pur presenti nelle piazze sono una realtà irrilevante numericamente dentro il variegato mondo delle imprese. Al minimo cenno di ripresa del virus cadranno dubbi e resistenze e si aprirà la caccia al non vaccinato. Per convincere gli indecisi e per isolare chi ha deciso di scaricare sulla collettività la propria scelta ideologia.

La posizione del sindacato e di alcune associazioni sarebbe assolutamente comprensibile in una situazione normale. “Né aderire né sabotare” lascia le mani libere ma riduce la credibilità ai tavoli che contano.

Tolto il pubblico impiego, che si nutre di regole proprie e di dinamiche interne, nel comparto privato il green pass è già di fatto instradato sulla via dell’obbligatorietà. E questo, in assenza di una presa di posizione forte dei sindacati, porterà verso forme di mobbing più o meno esplicito di capi e colleghi che, in caso di peggioramento della situazione, lascerà un segno pesante nelle relazioni interpersonali.

Precari e terzisti saranno i primi a doversi assoggettare ad un obbligo informale. Seguiranno tutti gli altri. Già oggi la debolezza delle associazioni del terziario nei confronti delle incertezze organizzative causate dalle norme ai propri associati è evidente. Potenziale cliente e dipendente sono stati parificati. Leggi tutto “Varianti del virus e impatto nelle aziende da settembre.”

Grande distribuzione e quick commerce.

Forse una possibile chiave di lettura dei cambiamenti attesi  nella Grande Distribuzione  la si può trovare in ciò che la Regina Rossa dice ad Alice:  «Qui, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte devi correre almeno il doppio!». In altre parole se vuoi mantenere il vantaggio che hai conquistato e mantenerlo devi muoverti più in fretta degli altri.

La vicenda del Quick Commerce e il suo rapporto con la GDO credo si riesca a leggerla meglio se cambiamo il punto di osservazione. “Veloce” o “ancora più veloce” non significano nulla  se non inseriti in una strategia di leadership. Anche per questo dopo  l’interesse suscitato da un primo pezzo che ho scritto poco tempo fa ho pensato utile provare ad approfondire ulteriormente l’argomento.

Soprattutto perché credo che questo salto di qualità che coinvolge il commercio, l’evoluzione dei modelli di consumo, soprattutto per ora nelle grandi città,  sia in grado di  creare una competizione interessante con Amazon che, prima o poi dovrà rispondere per le rime rendendo l’ultimo miglio un terreno di innovazione e di sperimentazione piuttosto affollato. Il quick commerce è un sistema che declinato in diverse modalità  può offrire vantaggi analoghi sia alle grandi imprese, che ai centri commerciali, così come ai piccoli negozi. non è quindi in alternativa al commercio tradizionale né alla grande distribuzione ma, credo,  ne possa rappresentare un complemento. Un servizio aggiunto.

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Chi è chiamato a lavorare per la ripresa e chi rischia di restare in panchina…

Mario Draghi sta procedendo a ritmo serrato. L’attuazione del PNRR è fondamentale per imprimere alla ripresa la velocità necessaria. Per questo è importante che il Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica si sia insediato. Avrà il compito di orientare, potenziare e rendere efficiente l’attività in materia di coordinamento della politica economica presso il DIPE (Dipartimento per la Programmazione e il coordinamento della politica economica.

Sarà presieduto dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio del Governo Draghi, Bruno Tabacci con il coordinamento del capo del DIPE, professor Marco Leonardi. Ne faranno parte a titolo gratuito: Antonio Calabrò, Patrizia De Luise, Giuseppe De Rita, Elsa Fornero, Giuseppe Guzzetti, Alessandra Lanza, Mauro Magatti, Alessandro Palanza, Alessandro Pajno, Monica Parrella, Paola Profeta, Silvia Scozzese, Alessandra Servidori, Anna Maria Tarantola, Mauro Zampini.

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Eurospin. Il giamburrasca della Grande Distribuzione

Basta poco per agitare  la  business community della GDO. C’è chi predica bene e chi razzola male. A volte sono gli stessi. Adesso ci si mette anche PAM con l’anguria ad un centesimo a giocare d’anticipo proprio mentre Eurospin anziché lasciare, raddoppia questo fine mese con l’uva in vendita sotto l’euro al kg.

Eurospin è un’azienda da studiare. Non è LIDL e neppure Aldi. E, probabilmente, nelle intenzioni, nemmeno un vero discount. Sono i migliori interpreti e continuatori su piazza di ciò che ha prodotto, nel bene e nel male,  la cultura della GDO italiana nel secolo scorso. Forse per questo continuano a macinare risultati incredibili.

Innovazione quanto basta e solo se serve, pochi contatti con i soloni della GDO, alta redditività dei PDV, marca privata per fidelizzare l’insegna, fornitori felici di poter ottimizzare l’utilizzo dei loro impianti altrimenti sottoutilizzati o altri spinti a scegliere tra minestra o finestra, negozi di proprietà, basso costo del lavoro e grande flessibilità organizzativa. Poche chiacchiere e cassetto pieno a sera.

Sotto sotto incarna tutte le ambizioni più o meno esplicite delle leadership imprenditoriali che si sono succedute alla testa delle insegne nazionali nel 900. Per alcune di queste  probabilmente fa male sentirselo ricordare, ma è così. Leggi tutto “Eurospin. Il giamburrasca della Grande Distribuzione”

Le relazioni industriali in epoca di PNRR. Dialogo costruttivo o ritorno al passato?

“Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero. – “Che strada devo prendere?” chiese. La risposta fu una domanda: – “Dove vuoi andare?” – “Non lo so”, rispose Alice. – “Allora, – disse lo Stregatto – non ha importanza”. Personalmente non trovo altro modo per descrivere lo stato dell’arte delle relazioni industriali.

I casi recenti da Whirpool a Gianetti passando per GFK e Timken  solo per citare i più noti sono lì a dimostrare che un bivio non si può imboccare. Bisogna scegliere la direzione  in base ad una strategia. E soprattutto non fare confusione in mancanza di questa.

Raramente un’impresa, ancora di più se multinazionale, può essere condizionata a valle di una decisione formalmente già assunta. L’apertura di una procedura che prevede la chiusura o un ridimensionamento di un sito produttivo e i suoi inevitabili  effetti mediatici e reputazionali sono generalmente soppesati con grande attenzione. Ma difficilmente influiscono in modo determinante sulla decisione finale. E il sindacato lo sa benissimo.

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Confcommercio. Cosa deve succedere ancora?

Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto.
Dag Hammarskjöld

 Carlo Sangalli lo ha personalmente sempre sofferto. Il confronto tra l’hombre vertical Giuseppe Guzzetti e il democristiano buono per tutte le stagioni è stato sempre implacabile. Il primo, Guzzetti,  riconosciuto da tutti per l’integrità morale, l’attenzione ai problemi della società e una interpretazione trasparente  della politica come servizio. Il secondo sempre al suo inseguimento, bravo nella gestione del potere, esperto nell’accumulare cariche, convinto  che i propri interessi e quelli della organizzazione rappresentata debbano coincidere.

Il primo non ha dovuto ricevere solleciti diretti o indiretti per farsi da parte. Quando è stato il momento lo ha fatto senza alcuna remora né tentennamento. Il secondo si è addirittura fatto costruire uno statuto ad hoc per restare incollato alla poltrona il più a lungo possibile. Un confronto impari, quindi.

Ed è bastata la testimonianza di Giuseppe Guzzetti per rimettere di nuovo la giusta distanza tra i due. In attesa dei supplementari e dei rigori al tribunale di Roma è andato in scena il secondo tempo della causa intentata da Carlo Sangalli contro l’ex Direttore Generale di Confcommercio Francesco Rivolta.

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La distribuzione moderna alla caccia del TOPO?

Il negoziante del modenese che nel 2019 ha messo in vetrina il cartello: “Prova scarpe, 10 euro” a suo modo, aveva trovato una soluzione semplice ad un problema complesso. Si era stancato di fare showrooming per altri.

Il “dilemma del bottegaio” nell’era di internet, se non si fa un passo in avanti, sta tutto qui. Assecondare il cliente, fargli vivere un’esperienza preclusa alla freddezza dell’acquisto in rete, consigliarlo, trasmettergli l’idea che è nel posto giusto e quindi creare un clima di fiducia o, al contrario, rassegnarsi e fargli pagare  il  suo tempo e la sua competenza lasciando al cliente la decisione di acquistare nel negozio o andare su internet e acquistare la merce nei contenuti e nelle misure provate nel negozio fisico.

Nella stragrande maggioranza dei casi il cliente non è disposto né abituato  a pagare, semplicemente scorporandolo,  il servizio e la competenza del venditore. Né a riconoscerlo nel sovrapprezzo rispetto al web. Insistere su questo tasto non servirebbe a nulla. Il lockdown ha spinto il negozio fisico (comprese le catene della GDO food e no food) a utilizzare l’online per ovviare alle chiusure e/o sostenere il servizio. La mossa ha generalmente funzionato.

Le pur diverse forme di commercio hanno così utilizzato la vendita online, la consegna a domicilio e la presenza in rete non tanto per rispondere alla concorrenza dei big della rete quanto per continuare a lavorare puntando a mantenere i propri o clienti o a farsi conoscere fuori dal bacino tradizionale.

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Fastweb. It’s always worse than it seems.

I decided to get to the bottom of this story which concerns me directly above all to underline the lack of centrality and interest in customers by this company. On social media, other harassed customers have pointed out to me that it is a widespread practice. That is not just about Fastweb. I have no doubt that it is a widespread practice. However, I can only describe the damage and disservice I have experienced and continue to experience.

 

I am getting past the hundred days of waiting with no credible answer. A few hours after the first letter of protest addressed to the Fastweb Management Board (https://bit.ly/3zRdzrN) I received the first phone call. Excuses identical to the first twenty calls but with a different goal. Find out if anyone in their structure – directly or indirectly – had rowed against the company. The employee wanted to understand from me if there were internal responsibilities that had put the company in a bad light. As if I cared about their internal issues. The discomfort they caused me remained in the background. She sympathized with me but, evidently, that was not their problem. It was mine.

 

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Assistenza Fastweb: C’è un problema tecnico. Quale? Non lo sappiamo. È un problema tecnico.

Italian version 

 Ho deciso di seguire fino in fondo questa vicenda (che mi riguarda direttamente) per sottolineare la scarsa centralità e interesse verso il cliente di questa azienda. Sui social altre persone vessate mi hanno fatto presente che è una pratica diffusa. E che non riguarda solo Fastweb.

Non ho dubbi che sia una pratica diffusa. Però non posso che descrivere il danno e il disservizio che ho subito e che continuo a subire. Ad oggi sto superando i cento giorni di attesa senza alcuna risposta credibile.

Poche ore dopo la prima lettera di protesta indirizzata al Management Board di Fastweb  (https://bit.ly/3zRdzrN) mi è  arrivata una telefonata. Scuse identiche alle prime venti chiamate con però un obiettivo diverso. Accertarsi se qualcuno nella loro struttura, diretta o indiretta, avesse remato contro l’azienda.

L’impiegata voleva capire da me  se c’erano responsabilità interne che avevano messo in cattiva luce l’azienda ai miei occhi. Come fosse una cosa importante da condividere con il sottoscritto. Il disagio che mi hanno provocato restava sullo sfondo. Solidarizzava con me ma, evidentemente, non era quello  il loro problema. Era il mio.

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Il lavoro invisibile tra indifferenza, razzismo e dignità

“Il razzismo spiegato a mia figlia” è un importante romanzo dello scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun. Lo consiglio a tutti coloro che, nella foga di cavarsela a buon prezzo sul tema, se la sono presa con i giocatori della nazionale che, spontaneamente o meno, sembra si vogliano sottrarre a quel rito collettivo ormai abusato e affatto spontaneo dell’ inginocchiarsi per protestare a buon mercato contro il razzismo a favore di telecamera. 

Mentre il dibattito tra favorevoli e contrari montava sui social, Camara Fantamadi, un ragazzo di 27 anni originario del Mali veniva stroncato da un malore dopo aver zappato la terra per oltre quattro ore, in una giornata di afa terribile, nelle campagne di Tuturano a pochi chilometri da Brindisi. Tanto terribile da spingere sia il sindaco di Nardò, che quello di Brindisi, subito dopo il fatto, ad emanare un’ordinanza a tutela dei braccianti per vietare il lavoro nei campi dalle 12.30 alle 16. Sei euro l’ora per raccogliere pomodori, angurie e uva in condizioni estreme. Il razzismo quello che spetta a noi combattere e non ai calciatori della nazionale ce l’abbiamo purtroppo in casa. Ed è, in parte, un succedaneo  della nostra indifferenza.

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