Gli operai di oggi tra voto sovranista e mobilitazione contro il Governo…

L’indagine di Swg è chiara.  In un anno gli operai che hanno votato Lega sono aumentati del 29% raggiungendo il 48% dei votanti. Contemporaneamente sono crollati del 20% quelli che avevano votato solo un anno fa i 5S. La sinistra si è mantenuta sostanzialmente i suoi.

Il dato può sembrare eclatante soprattutto per chi ha in testa la cultura collettiva e di classe dell’operaio metalmeccanico del 900. Gli operai comunque intesi, oggi, sono poco più di sei milioni. I metalmeccanici non arrivano a 1.800.000. Se raddoppiamo quel numero abbiamo, occhio e croce,  il numero di operai dell’industria. Poco più della metà del numero complessivo. Gli altri sono nelle piccolissime imprese, nella logistica e nel terziario in generale.

Dario Di Vico, a pochi giorni dallo sciopero generale dei metalmeccanici proclamato contro il Governo ha lanciato un dibattito interessante. Questa migrazione verso i sovranisti della Lega così marcata ha le stesse caratteristiche dissociative di quelle precedenti o presenta elementi nuovi e specifici? E ancora. C’è una responsabilità della sinistra nell’averlo consentito? E, infine, questo rappresenta un dato irreversibile?

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I licenziamenti ai tempi di whatsapp….

Chi lavora in una piccola azienda in difficoltà sa quanto è facile trovarsi improvvisamente senza lavoro. Lo intuisce subito. Dal clima interno, dall’umore del proprietario quando torna dalla banca. Dal fornitore che non consegna o dal collega anziano preoccupato del suo mutuo e del fatto che quest’anno non riuscirà a cambiare l’auto.

Nella grande azienda non è così. Anche lì ci sono segnali evidenti ma sono meno diretti, attutiti dalla gerarchia interna, mediati dalla forza dei numeri e dai toni e messaggi di sfida nelle sempre più frequenti assemblee sindacali. La fase che va dalle prime voci alla macchinetta del caffè fino allo striscione rosso fuori dai cancelli con la classica scritta in bianco sempre uguale a se stessa  procede tra umori alti e bassi che assomigliano più ad un giro sulle montagne russe che ad una agonia preannunciata.

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Grande Distribuzione. Il gong è suonato. La vera partita è iniziata…

Nel tennis si parlerebbe di un Ace favoloso quello portato a termine da Conad con l’acquisizione di Auchan. E’ una mossa intelligente e ben calcolata di un gruppo di imprenditori poco conosciuti ma nient’affatto sprovveduti. L’Italia, fortunatamente ne è ricca. Nella crisi della GDO e dei suoi formati hanno intravisto una grande opportunità di business. Hanno un ottimo direttore d’orchestra in Francesco Pugliese che ne esprime la sintesi perfetta ma dietro c’è la sostanza di chi vive tutti i giorni nei punti vendita. Imprenditori che volano basso stimati dai collaboratori e attenti alle esigenze dei consumatori.

C’è chi dice che Auchan non vedeva l’ora di andarsene da nostro Paese. Può anche essere però occorre  prendere atto che un’imprenditore francese abituato ad imporre il suo gioco alza le mani, sconfitto, dopo trent’anni di presidio del mercato italiano per sue precise responsabilità mentre oltre duemila piccoli dettaglianti italiani scommettono, attraverso le loro sei cooperative,  sulla loro capacità di intervento. E si rimboccano le maniche.

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Grande Distribuzione tra Auchan e Conad una sfida per veri imprenditori

In un bellissimo film del 1966 “La battaglia di Algeri” in un passaggio importante un leader del FNL, parlando con La Pointe, avverte il giovane ” che la lotta rivoluzionaria è difficile, vincere è  ancora più difficile ma, solo dopo la vittoria, iniziano le vere difficoltà”. Mi è ritornato alla mente oggi mentre ho inviato  i miei complimenti a Francesco Pugliese AD di Conad.

E’ una operazione di grande profilo economico e sociale che mira a cambiare i pesi nella Grande Distribuzione italiana. Oggi, finalmente, abbiamo un player nazionale che mette insieme capacità imprenditoriali diffuse in tutto il territorio con una visione strategica importante. E’ l’affermazione di un modello di piccola impresa che pensa in grande perché sa mettersi insieme e riconoscersi in qualcosa che va oltre il proprio territorio ma che lo rispetta e lo conosce a fondo.

Francesco Pugliese, insieme ad Aldo Bonomi, hanno scritto un libro importante: “Tessiture sociali”. Un libro che  dà senso e contenuto allo slogan “Persone oltre le cose”. Uno slogan che poteva apparire forzato, fuori misura, forse un po’ datato. E’ esattamente il contrario. Rappresenta la consapevolezza che non esiste una impresa che non sa fare i conti con il territorio nel quale interagisce, che non ne rispetta i valori e la cultura. Che non sa mettersi in ascolto di ciò che si manifesta al suo interno. E’ riscoprire che nel commercio, grande o piccolo, multinazionale o locale si vince se si parte da lì.

Poi vengono le promozioni, l’efficienza, le strategie commerciali. Quel libro parla di un grande viaggio nei territori, proprio alla loro scoperta.  E da quella esperienza, che si ripete ogni giorno, che trae energia chi opera nel territorio.Le multinazionali del settore hanno cercato in tutti i modi altre vie. Leggi tutto “Grande Distribuzione tra Auchan e Conad una sfida per veri imprenditori”

La rappresentanza del terziario innovativo tra vecchie rendite di posizione e nuove sfide

La conclusione dell’ultima tornata dei rinnovi contrattuali nel terziario di mercato segnala la necessità di una urgente riflessione a 360°. Innanzitutto occorre sottolineare che le parti contraenti più importanti hanno provocato, più o meno consapevolmente, una forte discontinuità rispetto alla situazione precedente: i dipendenti dei settori dei Pubblici esercizi, della Ristorazione e del Turismo hanno lasciato il contratto nazionale fino ad allora condiviso  con Federalberghi così come  Federdistribuzione che si è firmata un suo contratto.

La stessa Confesercenti ha ottenuto modifiche economiche al testo di Confcommercio costringendo quest’ultima a chiedere uno sconto ai sindacati di categoria. Infine Coop da sempre prodiga in fase di rinnovo ha ottenuto un risultato economico a cui Federdistribuzione ha reagito malissimo. Che dire.

Oltre ai contratti pirata che nel terziario raggiungono numeri significativi  la stessa  contrattazione tra i soggetti più rappresentativi si è tradotta in una gara al ribasso infinito che ha avuto come epicentro il solo commercio e che ha lasciato alla finestra tutte le tematiche di innovazione e di cambiamento.

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È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme. (Goethe)

Nel comizio del primo maggio a Bologna, Maurizio Landini,  il dirigente sindacale proveniente dalla federazione più ortodossa e meno unitaria del comparto industriale italiano ha rilanciato sul tema sostenendo che non ci sono più le ragioni politiche e quindi organizzative che rendevano improponibile l’unità sindacale.

Ha addebitato forse un po’ frettolosamente tutte le responsabilità alle vecchie culture novecentesche, oggi in crisi di identità ma ha omesso, però,  per ragioni del tutto comprensibili, che la deriva identitaria, percorsa consapevolmente da tutte e tre le organizzazioni confederali, ha avuto e continua ad avere anche robuste ragioni interne che alimentano le ragioni delle divisioni.

Savino Pezzotta, pur ritenendo importante la ripresa del dibattito sul tema,  sottolinea dove sta il problema dell’unità sindacale :”Il tema centrale che oggi si pone in modo nuovo e quello di una radicalizzazione del concetto di autonomia che va ripensata come capacità di espressione di una politicità culturale, valoriale, etica e sociale e non solo come distanza e separazione dalle forze politiche.”

Lo stesso Marco Bentivogli, sollecitato recentemente sul tema non si è certo sottratto: ”Immagino un sindacato che vada oltre l’ideologia che sappia tenere insieme alla protesta la proposta, l’emergenza ma soprattutto la prospettiva, un sindacato che guardi all’innovazione non come un nemico da combattere ma come una terreno di sfida su cui costruire nuovi diritti, capace di immaginare l’esercizio della rappresentanza anche attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Prima dell’unità dobbiamo riconquistare una buona reputazione per candidarci ad essere un soggetto di rappresentanza vera, costruire una forma organizzativa in grado di raccogliere le persone di oggi, non limitarci a una banale riedizione di forme organizzative del passato, che magari funzionavano bene quarant’anni fa ma non più oggi.” Leggi tutto “È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme. (Goethe)”

Primo maggio. Rispettata la tradizione, purtroppo.

A mio modesto parere il sindacato confederale ha sbagliato a non cogliere l’opportunità. Ha preferito riproporre una cerimonia nel solco della tradizione. I segnali provenienti dal mondo delle imprese non sono stati colti. Sfumature diverse ma risultato identico.

Le imprese non possono partecipare ai festeggiamenti del primo maggio. L’unica concessione viene da Annamaria Furlan segretaria generale della CISL con un generico: “..per il momento”. Credo sia un errore. La mano tesa è stata sostanzialmente respinta al mittente.

Tra l’altro il primo maggio non è la prima “festa” che viene in qualche modo sottratta all’esclusiva. E’ già successo con il 25 aprile e con l’8 marzo. Una parte ha dovuto rendersi conto che senza un coinvolgimento e una responsabilità condivisa di ciò che quelle feste rappresentano si rischiava di perderne il significato profondo e trasformarle in liturgie che non avrebbero retto il tempo. Vengano pure gli imprenditori emiliani al corteo senza però farsi notare troppo. Sul palco però no.

Un dato è certo e non va sottovalutato: il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici ha segnato una svolta. Non coglierlo è un errore. Da una cultura sostanzialmente fordista le imprese del settore hanno fatto un passo avanti importante. Si può giudicarlo insufficiente, modesto, irrilevante ma quel passo c’è stato. Le persone sono tornate al centro delle loro imprese. Leggi tutto “Primo maggio. Rispettata la tradizione, purtroppo.”

Grande Distribuzione. Il declino di un’epoca…

C’è un destino che, purtroppo, le accumuna. UPIM, Standa, Rinascente, Sma, GS, All’Onestà hanno costituito per certi versi la spina dorsale del consumismo popolare post bellico. L’agonia è durata quello che poteva durare. Un declino inevitabile da cui si sono salvati in pochi.

Oggi solo UPIM, qualche ex GS, grazie ad un management che nel tempo gli ha cambiato i connotati e Rinascente grazie a all’ubicazione principale  in piazza Duomo a Milano e all’intuizione che l’ha trasformata in un contenitore di alto livello per grandi marche. Ma nulla a che vedere con l’identità di perimetro.

Per le altre non sono serviti i continui passaggi di mano, i piani di ristrutturazione infiniti, i tagli dei costi, gli interventi sulla quantità e qualità del personale. Non dimentichiamo che la cassa integrazione, concepita inizialmente  per l’industria, entra nel commercio e nel terziario attraverso le vicende che hanno coinvolto, a suo tempo, Standa. Certo, numerose catene e punti vendita, piccoli o grandi, sono stati ceduti e hanno ritrovato la loro ragion d’essere sotto altre insegne. Per queste, no. Un male oscuro sembra averne contraddistinto il declino.

Adesso tocca a SMA. Troppo piccola e diffusa territorialmente per costituire un ponte di rilancio alla presenza di Auchan nei negozi di vicinato, peraltro già in pesante crisi su altri formati, troppo complessa sul piano gestionale, logistico e organizzativo per interessare, nella sua interezza un unico soggetto, priva di un’identità specifica spendibile sul mercato. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Il declino di un’epoca…”

Amazon vs. Walmart. Uno scontro che cambierà in profondità il mondo del retail..

Mentre il mondo del retail sta cambiando in profondità abitudini e modelli di consumo anche grazie alle potenzialità offerte dalla trasformazione digitale noi continuiamo imperterriti a farci del male. Le provocazioni sulle chiusure domenicali sono lì a dimostrare che non riusciamo a capire che un intero sistema economico è attraversato da un profondo ripensamento strategico che avrà delle conseguenze pesanti sulla qualità e sulla modalità dei consumi, sulla sopravvivenza o meno delle nostre imprese e quindi sull’occupazione.

Alzare lo sguardo oltre il cortile di casa, evitare le zuffe sul nulla, riflettere su cosa serve per accompagnare questi processi epocali sarebbe la scelta migliore. Per fare questo è indispensabile ragionare sulle strategie possibili delle imprese che, forse più di altre, possono investire ingenti risorse, commettere errori e ripartire e  indicare strade da percorrere a tutto il mondo del retail.

Trasferirci negli USA può essere molto utile per riportare la discussione sui problemi veri. Da qualche tempo, infatti, lì è entrato nel vivo un confronto senza esclusione di colpi. 

In campo il campione indiscusso del retail, Walmart contro l’ultimo arrivato, l’imbucato venuto da fuori, dai sobborghi della filiera, Amazon, che ha deciso di insidiarne il regno. Quello che si sta consumando negli USA è uno scontro che presto sarà planetario e che lascerà sul campo morti e feriti, ovunque. Alla fine, nulla sarà più come prima. Leggi tutto “Amazon vs. Walmart. Uno scontro che cambierà in profondità il mondo del retail..”

Grande Distribuzione francese. L’altra faccia del totalismo aziendale.

Solo su LinkedIn ben oltre le 30.000 visualizzazioni. Interventi, domande  e consigli di lettura tra blog, Twitter e lo stesso LinkedIn mi hanno spinto a ritornare sull’argomento GDO italiana vs. estera  già trattato nel pezzo “GDO. Italians do it better?” ( http://bit.ly/2WZmrra ) prendendolo da un’altra angolatura. Da dove possono nascere i guai delle GDO francese in Italia? Le cause possono essere diverse. In questo pezzo  mi concentrerò sulle possibili cause interne.

La definizione di “totalismo aziendale” è del professor Stefano Zamagni che ha studiato a fondo il fenomeno. E’, in parole povere, l’azienda che ritiene di bastare a sé stessa. Produce valori, cultura, procedure e stili di management che nascono e muoiono all’interno delle proprie mura. Tipico dei grandi gruppi multinazionali che, in questo modo, si riconoscono da riti e liturgie specifici che ne identificano l’appartenenza.

Presenta anche degli aspetti forti e positivi quando supera con intelligenza giudizi e pregiudizi verso culture e Paesi, si dota di politiche worldwide e si struttura per condividere innovazioni e idee. Il grande limite è che tende  ad uccidere la specificità, la creatività e la libertà di critica e di pensiero. Chi non si adegua è un pesce fuor d’acqua. In tempi di crescita e di sviluppo è indubbiamente un fattore distintivo di omogeneità. Funziona però solo se l’azienda va bene. Esselunga è il classico esempio di totalismo aziendale performante nella GDO. Appartenere ad Esselunga, distingue, rende unici, diversi, irraggiungibili dalle altre insegne.

In tempi di crisi e di navigazione a vista si trasforma in un limite che rischia di essere  insuperabile. La ragione profonda delle difficoltà di Carrefour e di Auchan non è solo legata ai formati distributivi ma è anche un portato di queste ragioni. La difficoltà a capire la specificità del contesto esterno, le diversità culturali in reti di vendita così diverse e diffuse e, infine, l’incapacità a sapersi mettere in discussione. Leggi tutto “Grande Distribuzione francese. L’altra faccia del totalismo aziendale.”