COBAS, CODACONS e compagnia cantante…

E’ un interessante interrogativo su cui riflettere quello che ci propone Dario Di Vico (http://bit.ly/2Pj8dBd) sul Corriere di oggi. E’ il primo sciopero della storia che accompagna e sfida il Governo sul suo terreno. O almeno una sua componente importante.

Lo invita a non essere timido, lo incita ad andare sino in fondo. Ne interpreta i sentimenti profondi e ne rivendica le teorie più ardite propugnate dai suoi consulenti. COBAS e CODACONS rappresentano due delle numerose  constituency alla base del successo del Movimento.

Sono entrambi un modello di organizzazione sociale di estremizzazione del malcontento collettivo e individuale che ha trovato nel movimento una sponda concreta. E così mentre il CODACONS si è assunto il compito di lanciare campagne che nascono e muoiono nel mondo della comunicazione mordi e fuggi, i COBAS, oggi, rilanciano uno strumento antico e desueto, lo sciopero del venerdì, per ribadire e rilanciare la primogenitura sui contenuti.

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In ricordo dell’amica Jole Vernola…

L’ultima volta che l’ho incontrata è stato in ospedale. Poche ore prima che entrasse in coma. Non voleva vedere nessuno salvo la mamma e Francesco Rivolta. Di fatto un padre, un amico che l’ha vista crescere, ne ha apprezzato le doti e l’entusiasmo e l’ha accompagnata come nessun altro in tutto questo tragico percorso finale. 

Non voleva vedere nessuno. Soprattutto nelle ultime settimane.

Con me Jole ha fatto un’eccezione perché mi voleva bene e sapeva quanto ci tenevo a portarle un ultimo saluto. A guardarla negli occhi. 

Era una persona fuori dal comune. Ci siamo conosciuti tanti anni fa quando lavoravo in Standa, poi in Federdistribuzione e, infine, in Confcommercio. Mi considerava una sorta di fratello maggiore. Da quando mi ero trasferito definitivamente a Milano mi chiamava ogni venerdì pomeriggio per scambiare opinioni. Un appuntamento fisso. Il tema del lavoro, della contrattazione e dei problemi delle imprese  ha sempre appassionato entrambi.

La ragione vera delle sue telefonate però era per chiedermi se, a mio parere, i suoi atteggiamenti giudicati a volte  troppo ruvidi da molti, fossero sbagliati. Se le davo torto cercava di convincermi delle sue buone ragioni. Ci teneva al mio parere.

Sentivo che mi voleva bene. Un sentimento contraccambiato. Cercavo di esserne all’altezza.

In qualunque situazione si trovasse Jole non lasciava nulla al caso. Studiava, leggeva, si preparava. Era difficilissimo tenerle testa. Profondamente convinta e sempre in buona fede, indossava la maglia dell’organizzazione che rappresentava in quel momento con una determinazione  fuori dal comune.

Pretendeva da tutti ciò che imponeva a se stessa. Totale impegno e dedizione alla causa individuata. Amava concentrarsi sui dettagli. Era impossibile spingerla ad accettare soluzioni ambigue tipiche di un certo mondo non solo sul versante sindacale. Le norme dovevano essere sempre chiare ed esigibili. Per tutti. Chiarezza e comportamenti li pretendeva dalla aziende ma anche dalla sua organizzazione. Non amava le furbizie e le indecisioni. Ovunque e comunque  perpretati.

In un contesto organizzativo che non ha mai dato al tema del lavoro l’importanza che avrebbe meritato è riuscita ad ottenere e imporre risultati eccezionali. Trovarsela di fronte nei negoziati nazionali per i sindacalisti del comparto del terziario ha sempre rappresentato una esperienza indimenticabile come ricordano i migliori tra loro.

Stimava l’interlocutore intelligente, disistimava e non lo nascondeva gli interlocutori  superficiali o impreparati.

La Confcommercio perde una grande professionista.

Per me se ne è andata un’amica. In questo momento penso solo alla madre anziana e al fratello che è rimasto vittima di un gravissimo incidente qualche anno fa. A quello che Jole rappresentava per loro. E all’amore di Jole nei loro confronti.

Penso ai pochi giorni che abbiamo passato insieme in vacanza con le rispettive famiglie, penso ai momenti sereni, al suo sorriso. Al giorno che si è accorta del male che l’aveva colpita. Alle lacrime  trattenute. A come ha gestito con grande dignità e consapevolezza la sua malattia. Al bacio che ha cercato di darmi poco prima di mancare dalla poltrona in cui era inchiodata da mesi. E al fatto che, non riuscendoci,   mi ha guardato, spostando con grande fatica la maschera dell’ossigeno  biascicando le parole: “Mario, non ci riesco.  Però  fai come se te lo avessi dato”.

Questa era Jole.

Non riuscendo a fare ciò che per lei era importante in quel momento doveva comunque darmi una spiegazione. Come nei nostri venerdì. Adesso se n’è andata. Per sempre. Mancherà a tutti. A me moltissimo.

Cara amica mia, che la terra ti sia lieve.

Corpi intermedi, congressi e nuovi orizzonti da esplorare.

L’interesse che suscita il prossimo congresso della CGIL credo sia dovuto non tanto al confronto interno sul futuro segretario ma sulla capacità o meno di quella organizzazione di traghettare fuori dal 900 fordista milioni di iscritti mantenendo la propria anima, i propri valori  e la propria capacità di mobilitazione su quei temi che mettono al centro la comunità intesa come antidoto all’individualismo, la speranza in un mondo inclusivo e solidale come antidoto al populismo e, infine, la capacità di non lasciare indietro nessuno in questa fase di transizione del lavoro che cambia e che manca, che impone a tutti un approccio diverso.

Dario Di Vico pone correttamente la questione ( http://bit.ly/2Esyk4y) guardando alla CGIL ma allargando la riflessione a tutti i corpi intermedi in un contesto di disintermediazione. Credo sia l’approccio corretto. Soprattutto per evitare l’errore di farsi trascinare nelle “beghe interne” come le descrive con la consueta ruvidezza lo stesso Di Vico.

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Grande distribuzione, audizioni parlamentari e ipotesi di soluzione

Credo che i parlamentari dei 5S non si sarebbero mai aspettati di trovarsi di fronte ad un tema così complesso e di difficile soluzione come quello della regolazione del lavoro festivo e domenicale.

In fondo sembrava tutto così semplice. Lavoratori sfruttati e mal pagati da un lato e piccoli commercianti incazzati per la arroganza della Grande Distribuzione, entrambi parte significativa del loro neo elettorato,  chiedevano a gran voce la chiusura delle domeniche e dei festivi. Procedere manu militari sembrava essere la soluzione migliore. La domenica? Tutti davanti alla televisione o, al massimo, al computer per acquistare sul web o ad ordinare una pizza. Mai più a fare la spesa in un centro commerciale.

Le audizioni parlamentari stanno, al contrario, facendo emergere la realtà per quella che è. Uno spaccato di un settore economico importante che coinvolge decine di migliaia di persone e di attività  grandi e piccole, modelli di consumo in evoluzione, interessi da ricomporre e equilibri da individuare.

E così i parlamentari, anziché interlocutori plaudenti si stanno trovando di fronte ben  quarantacinque soggetti che, a vario titolo e in rappresentanza di specifici punti di vista stanno riscrivendo davanti ai loro occhi una materia che va ripensata, soppesata con grande cautela e sulla quale, le soluzioni possibili non coincidono con le semplificazioni iniziali. Intanto i tempi si allungano. E’ evidente che la deadline non può più essere la fine dell’anno. Occorrerà trovare un compromesso soddisfacente per tutti. E questo compromesso non è materia per gli estremisti di entrambi gli schieramenti.

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Le organizzazioni di rappresentanza tra strategia e tattica

Nel film il Papa Re di Luigi Magni  monsignor Colombo magistralmente interpretato da Nino Manfredi afferma: “È certo che c’hanno torto, ma mica è detto che per questo c’avemo ragione noi”. Deve essere questa la sensazione che ha attraversato gli imprenditori dopo il discorso di Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria, ieri a Vicenza.

La preoccupazione sulle decisioni del Governo in materia di impresa e lavoro è molto forte, così come la sensazione che i continui ribaltamenti di fronte proposti dagli stessi vertici confindustriali rischiano di non approdare a nulla. C’è disorientamento, questo è certo.

Dario Di Vico lo ha colto immediatamente (http://bit.ly/2xPE2Yf). Le preoccupazioni indotte dalla possibile affermazione delle tesi grilline, le deboli reazioni dell’Europa preoccupate più del contagio in vista delle elezioni europee del prossimo anno, il nervosismo e la vacuità delle opposizioni che non riescono a metabolizzare il senso della sconfitta del 4 marzo, inducono alla cautela l’intero mondo della rappresentanza.

Un Governo che ha nel suo DNA la disintermediazione quindi la volontà di rappresentare e interpretare in prima persona  il popolo non è un interlocutore da sottovalutare. Accorgersi poi che una parte consistente dei propri associati ha scelto movimenti politici che per loro natura non amano i corpi intermedi è stato un duro colpo. Da qui le improvvise accelerazioni accompagnate da retromarce altrettante rapide.

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Mall di Segrate. Se dieci anni vi sembrano pochi…

Un documento di cinque pagine fitte nel quale sono riassunti oltre dieci anni di discussioni, contrasti e progetti dà il via libera finale ai lavori per la costruzione del più grande centro commerciale d’Europa in quel di Segrate vicina all’aeroporto di Linate e a meno di mezz’ora dal centro di Milano.

Trecento negozi, cinquanta ristoranti, sedici sale cinematografiche e diecimila posti auto su 240.000 metri quadrati di superficie. Almeno diciassettemila occupati senza parlare dei ventimila che saranno impegnati nella sua costruzione. Un investimento di 1,4 miliardi di euro, oltre 50 milioni di euro di oneri di urbanizzazione e tre anni di lavoro per completare l’opera.

Una struttura impressionante che si installa in un comprensorio già saturo di attività di grandi dimensioni, concepita in anni dove la crisi dei centri commerciali non aveva ancora dato segni evidenti di accelerazione.

I dati, (https://read.bi/2NAaE2a) negli USA parlano chiaro segnalando come sempre più vincenti strutture meno invasive come i centri commerciali naturali allocati preferibilmente nei centri urbani ma anche  il commercio on line ormai in crescita esponenziale. Nonostante questo, c’è chi crede su iniziative  di queste dimensioni che, pur cannibalizzando in parte il contesto commerciale circostante, propongono novità e rilanci di grande impatto.

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Ma un impresa può aver paura del Governo?

Non era mai successo che il mondo delle imprese fosse così preoccupato alla vigilia di una legge finanziaria. E’ vero che, per ora, le notizie che filtrano sono generalmente volute e pilotate per sondare le reazioni ma il quadro complessivo resta preoccupante.

Condoni, nuove tasse, patrimoniale sulle pensioni alte accompagnano in sottofondo e compensano gli interventi più mediatici. Quelli che hanno caratterizzato la campagna elettorale.

E’ chiaro che una coalizione così eterogenea come quella uscita dalle urne il 4 marzo vanta, comprensibilmente, priorità in conflitto tra loro sia nell’efficacia proposta che in termini di costo per la collettività.

Ma quello che preoccupa le imprese è che, mentre  i risultati contenuti nelle promesse elettorali non aiutano né la ripresa né il lavoro, il rastrellamento di risorse, necessario per consentirne la spendibilità politica e mediatica, rischia di provocare un aggravio d costi e nuovo piombo alle ali.

L’aumento dell’IVA è l’incognita principale. Ed è singolare che ci si trovi quasi costretti ad accettarne, almeno concettualmente,  una sua “rimodulazione” per evitare un risultato ben più pesante.

Così la realtà viene edulcorata con nuove parole, slogan soavi nella forma ma ben più preoccupanti nella sostanza, proposti  come risolutivi e positivi che rischiano di confondere l’opinione pubblica. “Rimodulazione dell’IVA”, “pace fiscale”, “domeniche in famiglia”, “decreto dignità”, “quota 100”, “spazza corrotti” e via discorrendo ci preparano ad un futuro prossimo che rischia di essere ricco di incertezze e preoccupazioni soprattutto per chi è obbligato a fare i conti non fermandosi al fascino diabolico delle parole. Leggi tutto “Ma un impresa può aver paura del Governo?”

Ricostruire rapidamente un luogo comune di confronto e di proposta per tutto il retail Italiano

A Chia Laguna in Sardegna si celebra ogni anno una sorta di Woodstock del terziario associato. Meno nota dell’appuntamento di Cernobbio che resta un appuntamento più politico e istituzionale, vicino a Cagliari, la Confederazione che vanta il numero più alto di imprese iscritte si interroga al proprio interno sul contesto economico, sociale e mette a terra la strategia necessaria per affrontare l’anno che verrà.

Quasi 800 persone provenienti da tutto il Paese ascoltano le testimonianze degli esperti invitati alle tavole rotonde, ne discutono le tesi, vivono insieme due giornate intense che consolidano i rapporti associativi e consentono di condividere esperienze e progetti.

L’appuntamento non ha alcuna eco esterna, non ci sono giornalisti presenti e, forse per questo, consente di percepire, più che altrove, la consistenza di quell’impasto di umanità, professionalità e impegno quotidiano che costituisce  la colonna vertebrale della Confederazione. Qui forse più che altrove, si cerca di ascoltare, proporre e osservare il mondo per quello che è anche quando rende evidente i limiti e la fatica della rappresentanza.

Il tema delle chiusure domenicali non poteva non animare  un confronto acceso tra rappresentanti delle federazioni e delle associazioni territoriali per come è stato posto dall’agenda della  politica. E’ un dibattito difficile tra chi vorrebbe ritornare a ben prima delle liberalizzazioni e chi cerca di individuare una soluzione praticabile.

E’ chiaro che l’uscita di Federdistribuzione del 2011 ha lasciato il segno in molti territori. Personalmente credo non abbia fatto bene né a loro né a Confcommercio che si trova inevitabilmente più sbilanciata nel confronto interno. Non è facile, e questo va detto, gestire un confronto equilibrato in  una Confederazione che associa alcuni tra i più importanti giganti del web, imprese e gruppi della GDO, rappresentanti dei piccoli esercizi e federazioni che hanno subito una moria di associati impressionante.
Assistervi è comunque un privilegio perché fa emergere e comprendere asprezze, diffidenze, rancori di chi fa impresa.

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Il dilemma nel “Governo del cambiamento”. Distruggere o difendere il lavoro?

Aldo Cazzullo sul Corriere (http://bit.ly/2OuWzze) affronta il tema della inopportunità delle chiusure domenicali dal punto di vista del lavoro, della sua importanza, della sua qualità e dei suoi cambiamenti e di ciò che dovrebbe essere all’ordine del giorno per un vero Governo del cambiamento.

“Negli ultimi quarant’anni l’automazione ha distrutto il lavoro operaio; oggi la rivoluzione digitale sta distruggendo il lavoro dei bancari, degli assicurativi, degli agenti di viaggio. Per restare al commercio, intere categorie rischiano di essere messe fuori mercato dal web: grossisti, rappresentanti, trasportatori, commessi sono sempre più spesso sostituiti da un clic. Tesori di esperienze e competenze potrebbero in poco tempo essere spazzati via. Un disastro sociale che, però, richiede un sforzo di inventiva, di diversificazione, insomma di lavoro; altro che serrande abbassate la domenica.”

E’ l’altra angolatura del problema. Per questo sbaglia approccio Marco Beretta, segretario della Filcams Cgil di Milano quando attacca: ”Con ogni evidenza le liberalizzazioni di orari e giorni di apertura non hanno portato più occupazione. Anzi. le aziende hanno licenziato ed è peggiorata la condizione generale dei lavoratori.” Una frase forte che, per certi versi, descrive un punto di osservazione della crisi e di come ha colpito nel territorio milanese. Ma non c’entra nulla con le liberalizzazioni.

Innanzitutto non considera la natura e l’impatto che la crisi hanno avuto sulle  diverse insegne. Poche sono cresciute a parità di perimetro. Alcune si sono ritirate dal Paese, altre sono passate di mano, altre sono fallite. Altre ancora hanno ricalibrato offerta e formati. Infine sono cresciuti i discount. Alcune insegne sono rimaste prigioniere delle loro strategie e dei loro vincoli organizzativi. Leggi tutto “Il dilemma nel “Governo del cambiamento”. Distruggere o difendere il lavoro?”

Grande distribuzione. Il lavoro domenicale nella prospettiva dell’integrazione online/offline

Quella sulle domeniche è sicuramente una battaglia di retroguardia che infiamma le discussioni ma rischia di provocare inutili danni alle imprese in un momento difficile. E, indipendentemente dalla possibile soluzione che verrà individuata, nel tempo le costringerà comunque a cambiare.  E quando i cambiamenti diventano forzatamente più rapidi del contesto nei quali si devono innestare creano effetti collaterali imprevedibili.

Se restiamo sul tema, quello del lavoro tradizionale nel commercio,  che i 5S vorrebbero tutelare a prescindere e anche a  scapito di altre componenti del sistema basta un giro in altri Paesi per capire cosa questo potrebbe comportare.  

Alcuni esempi neanche tanto rivoluzionari per capire la posta in gioco. Non c’è solo Amazon GO che insidia il lavoro delle commesse  della GDO e supera, di fatto, il concetto di lavoro, settimanale,  festivo o domenicale che sia. A Seattle dopo una prima sperimentazione del negozio senza casse ne apriranno presto altri due. Un altro seguirà a New York. Quindi l’esperimento sta  funzionando.

Walmart, da parte sua,  non poteva stare a guardare e, da tempo ha creato un centro di ricerche che si occupa di nuove tecnologie, intelligenza artificiale ma anche di cambiamenti con basso impatto tecnologico. Nella recente visita  di Esselunga a Bentonville in Arkansas presso l’Head Quarter del colosso americano i top manager italiani hanno potuto vedere in prima persona alcune di queste novità. Leggi tutto “Grande distribuzione. Il lavoro domenicale nella prospettiva dell’integrazione online/offline”