Non si puo’ essere a lungo ricchi e ignoranti

Questa frase è di Romano Prodi. La pronunciò quando, prima ancora di dedicarsi alla politica e in un periodo di relativa crescita economica, faceva il professore. Mi pare che ci siamo. Un Paese meno ricco lo siamo già, anche se una parte può permettersi di ostentare lo scialo e la sovrabbondanza. E siamo meno ricchi non solo per colpa degli altri: gli speculatori internazionali spregiudicati, i banchieri d’oltre oceano cinici, i governanti europei  iperprudenti. Siamo meno ricchi perché produciamo poco e male, perché troppi non praticano l’onestà fiscale e il lavoro legale, perché nelle istituzioni si predica bene e si razzola male. Ma siamo meno ricchi anche perché non c’è cura della crescita culturale ma si privilegia la tv spazzatura, se c’è da tagliare – nello Stato come nell’impresa – in testa alla lista c’è sempre e da sempre la formazione, l’investimento in innovazione, la scuola e la ricerca.

Ci siamo. Ci stiamo accorgendo che si assottiglia la torta della ricchezza; ci accorgiamo di meno che ciò dipende anche dalla progressiva perdita di capitale in conoscenze: gli abbandoni scolastici, la dequalificazione delle strutture scolastiche, il degrado delle università, il rifugio nelle “lauree deboli”, l’asfissia della ricerca, la fuga dei cervelli all’estero e poi lo scarso rinnovo delle tecnologie, la bassa produttività del lavoro, la forte propensione al capitale prestato rispetto a quello a rischio che fa delle nostre aziende il fanalino di coda del sistema europeo in fatto di autofinanziamento. Tutto ciò, ci rende meno professionalizzati, meno creativi, meno adatti al cambiamento. C’è un deficit di qualità della nostra capacità di far fronte alla crisi che ci spinge a rifugiarci nelle valutazioni quantitative, nella ricerca affannosa e miracolistica dei posti di lavoro da creare, dei consumi da incentivare, delle risorse da trovare.

 

In realtà,  se non vogliamo scivolare sempre di più nella povertà, dobbiamo fare molte cose ma soprattutto   avere il coraggio di rafforzare il nostro grado di conoscenza, di competenza, di proiezione nel futuro, mettendo sotto esame tutto l’apparato istituzionale e le strutture private per farli uscire dalla morta gora in cui sono giunti. I sistemi di formazione – da quelli di base a quelli superiori, da quelli aziendali a quelli amministrativi, da quelli per i giovani a quelli per gli adulti – devono essere rivisitati. In un dibattito pubblico, un medio imprenditore di successo ha detto: la fatica più grande che faccio è abituare i lavoratori a cooperare tra loro, perché la scuola non li ha allenati a copiare. Può sembrare paradossale, ma è la verità. Copiare non può essere sanzionato sempre dalla matita blu, se implica un lavoro di gruppo, una reciproca ricerca di soluzioni, una corale costruzione di un progetto, finanche un comune darsi la mano perché i meno dotati tengano il passo dei più dotati.

Tutto ciò non è avulso dalla discussione in corso sul futuro del mercato del lavoro. Il suo dualismo non  ha una sola componente, la precarietà ma è determinato anche dalla inveterata convinzione che le competenze formative hanno poco a che fare con le professionalità che servono concretamente  e che le professionalità obsolete devono trascinare fuori dall’attività le persone che le identificano. Queste due componenti vanno affrontate congiuntamente perché sono interconnesse sia sul piano culturale che su quello fattuale. Culturalmente, perché è prevalsa per un lungo tempo l’idea che l’autonomia della cultura doveva essere separata dalla vita produttiva e professionale. Fattualmente,  perché l’obsolescenza del mestiere deve tradursi al meglio in assistenza.

 

La prima questione, il superamento della precarietà, ha uno sbocco logico, ma finora impraticato.  Si deve entrare al lavoro per la via maestra: quella dell’apprendistato, contratto a tempo indeterminato che mixa lavoro e formazione sulla base di regole legislative e contrattuali. Terminato il periodo di apprendistato, lo sbocco naturale è l’assunzione a tempo indeterminato a meno che ci sia una motivata ragione che impedisca quella soluzione. Fa da ostacolo a questo scenario, la fitta serie di contratti a tempo, meno onerosa del contratto a tempo indeterminato e quindi decisamente più conveniente, per le aziende, che il ricorso all’apprendistato. La decisione fondamentale è quindi quella di far “costare”  queste forme contrattuali più flessibili quanto o un po’ di più dei contratti standard. Soltanto così l’apprendistato diventa effettivamente  il contratto prevalente per entrare nel mercato del lavoro.

Quanto alla seconda questione, le strade da imboccare sono in parallelo: da un lato, utilizzare gli stages e i tirocini soltanto come alternanza tra scuola e lavoro, per accorciare i tempi di inserimento lavorativo e integrare impresa e scuola in fatto di bagaglio culturale, tecnico e scientifico. Dall’altro, fare  formazione continua nei luoghi di lavoro in modo tale che, specie nei tempi di crisi, di ristrutturazione, di innovazione chi è in possesso di una professionalità obsoleta non venga immediatamente considerato un sovra peso, ma venga coinvolto in politiche formative per essere riutilizzato nei nuovi piani industriali. Una formazione di questo genere andrebbe detassata dal lato dell’impresa ed incentivata dal lato del lavoratore, considerando le ore di formazione ai fini pensionistici, anche se fatte fuori dall’orario di lavoro.

 

Una nuova visione della formazione come volano di uno scambio tra l’impegno delle aziende a non licenziare o a mettere in CIG e quello del lavoratore a riqualificarsi, semmai sopportando salari e orari ridotti, può aprire scenari diversi al tema della flessibilità in uscita, al destino dell’articolo 18, alla prospettiva di ammortizzatori sociali a carattere universale. Di questo bisognerebbe discutere a tutto campo, sapendo che la posta in gioco è l’innalzamento culturale dei lavoratori e dell’intera realtà italiana. Non credo che di fronte all’alternativa “più ricchi ma anche meno ignoranti” o “ meno ricchi e più ignoranti” ci sia qualcuno che opti per la seconda. Il problema è che non si facciano chiacchiere al vento. Il Ministro Profumo, per la sua parte, sembra ben intenzionato. Si capiscono meno le intenzioni del Ministro Fornero, dalla quale ci si attenderebbe una forte sensibilità per un  proficuo  rapporto formazione – lavoro. Anzi, esso potrebbe essere il nocciolo duro di un patto sociale, da più parti invocato, per ridare virtuosità alla ripresa economica del Paese.

Raffaele Morese

Buon Natale e buon 2012 a tutti!!!!

Lode della cattiva considerazione di sé (Wislawa Szymborska)
 

 
La poiana non ha nulla da rimproverarsi.
Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera.
I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni.

Il serpente a sonagli si accetta senza riserve.

Uno sciacallo autocritico non esiste.
La locusta, l’alligatore, la trichina e il tafano
vivono come vivono e ne sono contenti.

Il cuore dell’orca pesa cento chili,
ma sotto un altro aspetto è leggero.

Non c’è nulla di più animale
della coscienza pulita,
sul terzo pianeta del sistema solare.

Ultimi interventi legislativi sul Welfare e sul Lavoro

Art.1, comma 20 – Età pensionabile donne 

L’elevazione dell’età pensionabile delle lavoratrici del settore privato, nel corso dell’iter parlamentare del provvedimento è stata anticipata all’1.1.2014, rispetto all’1.1.2016, come previsto dal testo originario del decreto-legge in esame ed all’1.1.2020, come previsto ancor prima dalla manovra di luglio (art.18 del D.L. 98/2011, convertito con la Legge n.111/2011).

Pertanto, per le lavoratrici dipendenti del settore privato e per le lavoratrici autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria nonché della Gestione Separata INPS, la decorrenza dell’incremento di un mese del requisito anagrafico di sessanta anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema retributivo e misto ed in quello contributivo,  è anticipata a partire dal 1° gennaio 2014.

Tale requisito anagrafico è incrementato di ulteriori due mesi a decorrere dal 1° gennaio 2015, di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1° gennaio 2016, di ulteriori quattro mesi a decorrere dal 1° gennaio 2017, di ulteriori cinque mesi a decorrere dal 1° gennaio 2018, di ulteriori sei mesi a decorrere dal 1° gennaio 2019 e per ogni anno successivo fino al 2025 e di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1° gennaio 2026.

Pertanto, l’età pensionabile raggiungerà i 65 anni, a regime, dal 1° gennaio 2026, invece che dall’1.1.2028 come prevedeva il testo originario del decreto-legge in esame e dall’1.1.2032 come previsto dalla manovra di luglio.

Anno Incremento in mesi decorrente dal 1° gennaio dell’anno (rispetto all’anno precedente) Incremento cumulato in mesi
20142015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

2025

2026

12

3

4

5

6

6

6

6

6

6

6

3

13

6

10

15

21

27

33

39

45

51

57

60

Resta ferma la disciplina vigente in materia di decorrenza del trattamento pensionistico (cosiddette finestre mobili) e di adeguamento dei requisiti pensionistici agli incrementi della speranza di vita.

Art.6, comma 6-bis – Contenzioso bonus bebè

 

Nei confronti di coloro che hanno beneficiato del bonus bebè (assegno di mille euro per ogni figlio nato o adottato nel 2005)  senza possedere i prescritti requisiti reddituali, non si applicano le sanzioni penali ed amministrative qualora restituiscano le somme indebitamente percepite entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

I procedimenti penali ed amministrativi eventualmente avviati sono sospesi sino alla scadenza del predetto periodo e si estinguono a seguito dell’avvenuta restituzione.

Misure a sostegno dell’occupazione

 

Art. 8 – sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità

La norma introduce la possibilità che la contrattazione di secondo livello deroghi le previsioni contenute nei contratti collettivi nazionali per realizzare intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori.

Sono, inoltre, state definite le condizioni necessarie per la legittimità e l’applicabilità dei predetti accordi.

Con riferimento al primo aspetto, è stato previsto che la legittimità sia subordinata alla sottoscrizione da parte di associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi delle previsioni di legge e degli accordi interconfederali vigenti (ivi compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 sottoscritto fra Confindustria, CGIL, CISL e UIL).

Per quanto concerne, poi, l’applicabilità la norma dispone che siano efficaci nei confronti di tutti i lavoratori interessati solo se sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze.

I predetti accordi potranno riguardare le materie l’organizzazione del lavoro e della produzione riferimento ai seguenti aspetti:

a)     impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie;

b)     mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale;

c)     contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

d)     disciplina dell’orario di lavoro;

e)     modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

La norma, inoltre, riconosce altresì forza giuridica generale ai contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, sottoscritto fra Confidustria, CGIL, CISL e UIL, a condizione che siano stati approvati con votazione a maggioranza dei lavoratori.

 

Art. 9 – Collocamento obbligatorio e regime delle compensazioni

La modifica dell’art. 5 della L. n. 68/1999, permetterà di rispettare gli obblighi di assunzione  di lavoratori disabili a livello nazionale.

Pertanto, i datori di lavoro privati che abbiano alle loro dipendenze lavoratori occupati in diverse unità produttive potranno realizzare automaticamente la procedura di compensazione territoriale, comunicandola ai servizi competenti delle province in cui si trovano le unità produttive mediante l’invio del prospetto informativo di cui all’art. 9, comma 6, L. n. 68/99, da cui si evince l’adempimento dell’obbligo a livello nazionale.

La medesima possibilità con l’identica procedura è stata prevista, inoltre, per i gruppi di imprese che potranno effettuare la compensazione, ferma restando la quota di riserva per ciascuna singola impresa, anche nell’ambito del gruppo stesso.

Art. 10 – Fondi interprofessionali per la formazione continua

 

La previsione amplia i beneficiari degli interventi di formazione continua, riconoscendo ai Fondi interprofessionali la possibilità di promuovere azioni di formazione per gli apprendisti e per i lavoratori coordinati e continuativi nella modalità a progetto.

Art. 11 – Livelli di tutela essenziali per l’attivazione dei tirocini

La norma detta una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale, prevedendo che i tirocini formativi e di orientamento non curriculari abbiano una durata non superiore a 6 mesi, comprese le eventuali proroghe, e che possano essere promossi esclusivamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei relativo titolo di studio.

I suddetti limiti non operano, tuttavia, nei confronti di talune tipologie di soggetti, quali i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i detenuti ammessi a misure alternative di detenzione, quelli promossi a favore degli immigrati, nell’ambito del decreto flussi, dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, nonché quelli rivolti a soggetti svantaggiati destinatari di specifiche iniziative di inserimento o reinserimento al lavoro.

 

Art. 12 – Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

La previsione introduce quale ulteriore ipotesi di reato quella di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, che si aggiunge a quelle già esistenti per i casi di esercizio senza autorizzazione delle attività di somministrazione e intermediazione di manodopera.

In particolare, la norma, nel considerare sia la fattispecie della mediazione abusiva, che quella svolta da soggetti autorizzati, determina quale elemento distintivo del reato lo sfruttamento (rinvenibile anche nel caso di violazione sistematica delle norme di tutela del lavoro di legge o di contratto), la violenza, la minaccia o l’intimidazione dei lavoratori.

La sanzione prevista è la reclusione da 5 ad 8 anni a cui si aggiunge la multa da euro 1.000 a 2.000 per ciascun lavoratore reclutato.

 

 

il nuovo contributo di solidarietà

In considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, è dovuto un contributo di solidarietà del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il reddito di lavoro dipendente di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al lordo della riduzione ivi prevista, e i trattamenti pensionistici di cui all’articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al lordo del contributo di perequazione ivi previsto. Il contributo di solidarietà non si applica sui  redditi di cui  all’articolo 9, comma 2, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all’articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarietà è deducibile dal reddito complessivo. Per l’accertamento, la riscossione e il contenzioso riguardante il contributo di solidarietà, si applicano le disposizioni vigenti per le imposte sui redditi. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 30 ottobre 2011, sono determinate le modalità tecniche di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, garantendo l’assenza di oneri per il bilancio dello Stato e assicurando il coordinamento tra le disposizioni contenute nel presente articolo e quelle contenute nei citati articolo 9, comma 2, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze,  l’efficacia delle disposizioni di cui al presente comma può essere prorogata anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.”.