Gestione risorse umane e Jobs Act: quali sono i veri problemi delle imprese?

purtroppo siamo presi troppo dai numeri. Successo e fallimento del Jobs Act sembrano dipendere dalla quantità di assunzioni a tempo indeterminato (o a tutele crescenti) che si produrranno che, indipendentemente da tutto, restano un falso problema. Nonostante tutti concordino (a parole) che l’occupazione dipenda dalla ripresa economica l’interesse resta fisso sui numeri. Parliamoci chiaro. Alle imprese questa competizione non interessa. Prima, durante e dopo questo provvedimento alle aziende interessava e interessa che vengano affrontati alcuni problemi di contesto e specifiche ma sostanziali modifiche legati alla gestione conncreta delle risorse umane. Innanzitutto la forbice tra costo del lavoro e retribuzione netta. Così com’è oggi non è più sostenibile nel rapporto tra azienda e collaboratore. Inoltre c’è la necessità che una parte consistente della retribuzione dovrebbe essere legata all’andamento dell’azienda e del mercato con i relativi sgravi fiscali. E su questi due temi le aziende non possono che registrare un sostanziale rinvio negativo legato alla discussione sui livelli contrattuali, alle proposte di riforma e via discorrendo che dovranno trovare risposte probabilmente  in un accordo interconfederale con l’avallo del Governo per quanto riguarda l’entità degli sgravi fiscali. Infine gli ostacoli gestionali. Per le imprese è fondamentale limitare la rigidità del rapporto di lavoro in entrata e in uscita, avere un tempo di valutazione delle risorse inserite più congruo rispetto ai periodi di prova previsti nei CCNL e, infine, la possibilità di risolvere i rapporti di lavoro che non funzionano in modo meno oneroso e, perché no, meno trumatico. Il successo del Jobs Act come strumento utile per le imprese si misura su queste problematiche. A nessuna impresa interessa assumere senza una corrispondenza con una necessità precisa così come a nessuna azienda interessa licenziare collaboratori sui quali si è investito. Nelle aziende il clima è tutto. Se è positivo i risultati arrivano se è negativo, no. E il clima non si costruisce né sui rapporti di forza né sulla subalternità fine a se stessa. Si costruisce e si mantiene se gli obiettivi e le regole del gioco sono chiari e condivisi. Per questo trovo di difficile comprensione il valutare il Jobs Act dal numero di assunzioni a tempo indeterminato che produce o dai costi che inevitabilmente determina. Se un’azienda ha bisogno di incrementare l’organico è perché scorge una prospettiva di crescita e di sviluppo. E questo resta l’unico modo per assicurare una prospettiva certa anche al collaboratore.

Tutte le novità sugli ammortizzatori sociali di Ferruccio Pelos

Il Consiglio dei ministri, nella seduta dell’11 giugno 2015, ha approvato in via definitiva due decreti delega del jobs act, che avevano gia’ svolto il proprio iter parlamentare e che sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n.144 del 24.6.2015. Si tratta di:

– DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 80

Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.

Entrata in vigore del provvedimento: 25/06/2015

– DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 81

Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.

Altri quattro decreti sono stati approvati in via preliminare.

Gli schemi di questi decreti legislativi, presentati durante il Consiglio dei Ministri dell’11 giugno scorso, sono stati trasmessi alle Camere affinché presentino il loro parere entro 30 giorni.

I nuovi decreti attueranno gli altri quattro punti della Legge Delega 183/2014: ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro; riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive; razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità;​ realizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale.

In particolare il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo: “Riordino degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro”.

Schema di D.Lgs. n. 179 (art. 1, co. 1, 2 lett. a), e 11, L.183 del 2014).
Di questo schema di decreto ci occuperemo in questo articolo.

Il nuovo testo tiene anche conto delle richieste delle Organizzazioni Sindacali (per citarne alcune: Cigs e Cigo da 24 a 36 mesi se abbinate ai contratti di solidarietà; applicazione dei nuovi strumenti anche alle aziende con più di 5 dipendenti; estensione di Cigo e Cigs all’apprendistato professionalizzante; Fondo triennale per il raccordo con il nuovo regime di Cigs; Fondi di Solidarietà ed estensione alle aziende da 6 a 15 addetti dell’obbligo ad aderire ai Fondi; lavoratori del settore turistico; miglioramento di Naspi e di Asdi). E’ possibile che questo confronto indiretto ed informale tra i sindacati e il Governo prosegua, attraverso il tentativo – che il sindacato farà anche nelle audizioni parlamentari sullo schema di Decreto Legislativo – di migliorare il testo definitivo che andrà in Consiglio dei Ministri, in particolare sui temi che sottolineeremo via via nella lettura dello schema di Decreto.

Le disposizioni contenute nel decreto si suddividono in:

disposizioni sulle norme generali sui trattamenti di integrazioni salariali;
disposizioni sull’integrazione salariale ordinaria;
disposizioni sull’integrazione salariale straordinaria;
disposizioni sui fondi di solidarietà;
disposizioni finanziarie (art. 42, Naspi e Asdi).
Secondo il Governo, per effetto del decreto, vengono estese le tutele a 1.400.000 lavoratori sinora esclusi.

Disposizioni sulle norme generali sui trattamenti di integrazioni salariali.

Le principali normative riguardano:

agli apprendisti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante viene esteso il trattamento di integrazione salariale, unitamente all’estensione degli obblighi contributivi (e cioè gli apprendisti diventano destinatari della Cigo e, nel caso in cui siano dipendenti di imprese per le quali trova applicazione solo la Cigs, di quest’ultimo trattamento, limitatamente alla causale di crisi aziendale); per l’apprendista si richiede un’anzianità di servizio di almeno 90 giorni;
la revisione della durata massima complessiva delle integrazioni salariali che ora è di 36 mesi; viene portato, per ciascuna unità produttiva, il trattamento ordinario e quello straordinario di integrazione salariale ad un massimo complessivo di 24 mesi in un quinquennio mobile (non più fisso). Utilizzando i contratti di solidarietà tale limite può essere portato a 36 mesi nel quinquennio mobile; la causale di contratto di solidarietà viene infatti computata nella misura della metà. Per il settore edile la durata massima è di complessivi 30 mesi;
l’introduzione di meccanismi di condizionalità concernenti le politiche attive del lavoro: i lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per i quali è programmata una sospensione o riduzione superiore al 50% dell’orario di lavoro sono convocati dai centri per l’impiego per la stipula di un patto di servizio personalizzato;
l’introduzione di un meccanismo di responsabilizzazione sulle aliquote pagate dalle imprese, con un contributo addizionale a fronte di un effettivo utilizzo. Viene previsto infatti un contributo addizionale del 9% della retribuzione persa per i periodi di cassa (cumulando Cigo, Cigs e contratti di solidarietà) sino a un anno di utilizzo nel quinquennio mobile; del 12% sino a due anni e del 15% sino a tre anni.
Il sindacato chiede di abolire il contributo addizionale per i contratti di solidarietà.

Disposizioni sull’integrazione salariale ordinaria.

Le principali normative riguardano:

una riduzione generalizzata del 10% sul contributo ordinario pagato su ogni lavoratore. L’aliquota del contributo ordinario pagato, indipendentemente dall’utilizzo della cassa, passa quindi dall’1,90% all’1,70% della retribuzione per le imprese fino a 50 dipendenti; dal 2,20% al 2% per quelle sopra i 50; dal 5,20% al 4,70% per l’edilizia;
l’introduzione del divieto di autorizzare ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di un terzo delle ore ordinarie lavorabili nel biennio mobile, con riferimento a tutti i lavoratori dell’unità produttiva mediamente occupati nel semestre precedente la domanda di concessione dell’integrazione salariale; e ciò, al fine di favorire la rotazione nella fruizione del trattamento di Cigo, e il ricorso alla riduzione dell’orario di lavoro rispetto alla sospensione a zero ore;
la semplificazione della procedura di concessione delle integrazioni salariali ordinarie: viene cioè previsto che il trattamento sia concesso, dall’1.01.2016, dalla sede INPS territorialmente competente, abolendo le Commissioni provinciali della Cassa integrazione guadagni.
Disposizioni sull’integrazione salariale straordinaria.

Le principali normative riguardano:

la razionalizzazione della disciplina concernente le causali di concessione del trattamento: viene cioè previsto che l’intervento straordinario di integrazione salariale possa essere concesso per una delle seguenti tre causali:
riorganizzazione aziendale (che riassorbe le attuali causali di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale);
crisi aziendale, ad esclusione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa. Viene previsto, tuttavia, che può essere autorizzata, per un limite massimo di 6 mesi e previo accordo stipulato in sede governativa, entro il limite di spesa di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, una prosecuzione della durata del trattamento di Cigs, qualora all’esito del programma di crisi aziendale l’impresa cessi l’attività produttiva e sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale (Fondo Triennale);
contratto di solidarietà: pertanto, gli attuali contratti di solidarietà di tipo “A”, previsti per le imprese rientranti nell’ambito di applicazione della Cigs, diventano una causale di quest’ultima;
per le causali di riorganizzazione aziendale e crisi aziendale possono essere autorizzate sospensioni del lavoro soltanto nel limite dell’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva nell’arco di tempo di cui al programma autorizzato; questo per favorire la rotazione nella fruizione del trattamento di Cigs; questa disposizione non opera per un periodo transitorio di 24 mesi dall’entrata in vigore del decreto;
la revisione della durata massima della Cigs e dei contratti di solidarietà:
per la causale di riorganizzazione aziendale viene confermata l’attuale durata massima di 24 mesi, anche continuativi in un quinquennio mobile, per ciascuna unità produttiva;
per la causale di crisi aziendale viene confermata la durata massima di 12 mesi, anche continuativi;
per la causale di contratto di solidarietà viene confermata, rispetto agli attuali contratti di solidarietà di tipo “A”, la durata massima di 24 mesi, che può essere estesa a 36 mesi, in quanto viene previsto che la durata dei trattamenti per la causale di contratto di solidarietà, entro il limite di 24 mesi nel quinquennio mobile, sia computata nella misura della metà. Oltre tale limite, la durata di tali trattamenti viene computata per intero. Sempre a 36 mesi si arriva nel caso di solo contratto di solidarietà.
Solamente per questa fattispecie il sindacato chiede di arrivare ai 48 mesi.

Disposizioni sui fondi di solidarietà.

Le principali normative riguardano:

la previsione dell’obbligo di estendere i fondi di solidarietà bilaterali per tutti i settori che non rientrano nell’ambito di applicazione delle integrazioni salariali ordinarie o straordinarie, in relazione alle imprese che occupano mediamente più di 5 dipendenti (oggi l’obbligo è per le imprese con più di 15 dipendenti); la previsione che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, il fondo di solidarietà residuale (ossia il fondo che opera per tutti i settori i quali, oltre a non rientrare nell’ambito di applicazione delle integrazioni salariali ordinarie o straordinarie, non abbiano costituito fondi di solidarietà bilaterali) assume la denominazione di Fondo di Integrazione Salariale (Fis) ed è soggetto a una nuova disciplina. Gli aspetti salienti di tale nuova disciplina sono i seguenti:
rientrano nell’ambito di applicazione del Fondo di integrazione Salariale i datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 dipendenti (oggi più di 15 dipendenti), a fronte del pagamento di un’aliquota dello 0,45% della retribuzione a partire dal 2016 (per le imprese oltre i 15 dipendenti, l’aliquota sarà dello 0,65%).
il Fondo di Integrazione Salariale garantisce, a decorrere dal 1° gennaio 2016, l’erogazione di una nuova prestazione, ossia l’assegno di solidarietà. Si tratta di una integrazione salariale corrisposta – per un periodo massimo di 12 mesi in un biennio mobile – ai dipendenti di datori di lavoro che stipulano con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative accordi collettivi aziendali che stabiliscono una riduzione dell’orario di lavoro, al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale o di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo: tale nuova prestazione sostituisce i contratti di solidarietà di tipo “B”, ossia quelli stipulati dalle imprese non rientranti nell’ambito di applicazione della Cigs. I datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 e fino a 15 dipendenti possono richiedere l’assegno di solidarietà per gli eventi di sospensione o riduzione di lavoro verificatisi a decorrere dal 1° luglio 2016. Per i lavoratori di queste piccole aziende, 5 – 15 dipendenti, si pone il problema delle coperture fino a quando non si andrà a regime (1° luglio 2016). Il sindacato chiede quindi che il Governo, solo per coprire questo vuoto, rifinanzi i contratti di solidarietà di tipo B o la cassa integrazione in deroga;
nel caso di aziende che occupano mediamente più di 15 dipendenti, il Fondo di Integrazione Salariale garantisce l’ulteriore prestazione consistente nell’assegno ordinario, per una durata massima di 26 settimane in un biennio mobile, in relazione alle causali di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa previste dalla normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie (ad esclusione delle intemperie stagionali) e straordinarie (limitatamente alle causali per riorganizzazione e crisi aziendale);
revisione della disciplina dell’assegno ordinario corrisposto dai fondi di solidarietà bilaterali: i fondi (diversi dal fondo di integrazione salariale) stabiliscono la durata massima della prestazione, non inferiore a 13 settimane in un biennio mobile e non superiore, a seconda della casuale, alle durate massime previste per la Cigo e la Cigs (attualmente, invece, l’assegno ordinario, a prescindere dalla causale, non può eccedere la durata massima prevista per la Cigo);
introduzione di requisiti di competenza ed assenza di conflitto di interesse per gli esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, quali membri dei comitati amministratori dei fondi di solidarietà bilaterali (ivi compreso il fondo di integrazione salariale);
introduzione di requisiti di onorabilità per tutti i membri dei comitati amministratori del Fondo di Integrazione Salariale e dei fondi di solidarietà bilaterali;
la previsione che, entro il 31 dicembre 2015, i fondi bilaterali cosiddetti puri, o alternativi al sistema sin qui descritto (quali il fondo bilaterale dell’artigianato) eroghino almeno una prestazione tra l’assegno ordinario per 13 settimane nel biennio o l’assegno di solidarietà per 26 settimane nel biennio, prevedendo un’aliquota di contribuzione al fondo dello 0,45% (diviso tra azienda e lavoratore secondo un accordo lasciato alle parti sociali).
Disposizioni finanziarie (art. 42, Naspi e Asdi)

Secondo le dichiarazioni del Governo le disposizioni del decreto consentono risparmi di spesa, utilizzati per rendere strutturali la Naspi a 24 mesi anche dopo il 2016 e per rendere strutturali i finanziamenti per importanti interventi di politica sociale in materia di: conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro; assegno di disoccupazione (Asdi); fondo per le politiche attive del lavoro. Il decreto – a detta del Governo – comporta anche una salvaguardia, ma limitatamente al 2015, della durata della Naspi con riferimento ai lavoratori stagionali del settore del turismo.

Salario minimo fuori dai contratti nazionali? No grazie!

Ci risiamo. In ogni epoca troviamo risposte semplici a problemi complessi. Nel secolo scorso abbiamo avuto le baby pensioni, i prepensionamenti, i lavori socialmente utili, le assunzioni facili nella P.A., ecc. Qualcuno si dimentica che i precari nella P.A. Non sono un’invenzione recente ma nascono con il ministro Stammati nel 1979. Anche allora c’è chi le aveva ritenute risposte a problemi specifici e altrimenti irrisolvibili. Sostenere economicamente giovani e meno giovani in un Paese con il nostro tessuto produttivo e occupazionale significa condannarli all’esclusione dal mercato del lavoro e magari, trovarci tra qualche decennio con i “nostri” inattivi e assistiti e, al loro potenziale posto, lavoratori di altri Paesi che manifesteranno perché stanchi di pagarne i contributi previdenziali… Il punto oggi non è trovare le scorciatoie ma affrontare i problemi. Il Presidente dell’Inps ci dice che, purtroppo, ritrova un lavoro un over cinquanta su dieci ma, in questo modo, rischia di confondere la malattia con la cura. Secondo me, al contrario, occorrerebbe intervenire su più fronti evitando assolutamente forme di neo assistenzialismo. Ad esempio con sgravi fiscali finalizzati, forme di job sharing e/o di staffetta generazionale, riqualificazione professionale, sostegno economico a progetti individuali, ecc. Insomma occorrerebbe impegnarci tutti per contribuire a creare lavoro. Non sostituirlo con palliativi.

Occupazione e situazione sociale nella UE

La ripresa economica iniziata nella primavera del 2013 resta fragile e gli sviluppi economici futuri sono tuttora incerti, come riportato nell’ultimo numero della Employment and Social Situation Quarterly Review (Rivista trimestrale sull’occupazione e la situazione sociale) della Commissione europea. La crescita della produzione, in particolare, è stata rallentata dalla debole performance delle tre principali economie: Germania, Francia e Italia.
Tra i grandi Stati membri, il reddito delle famiglie ha continuato a crescere in Germania e nel Regno Unito, mentre è diminuito in Italia, Polonia e Spagna.
La Rivista esamina anche le differenze relative alle disuguaglianze di reddito tra gli Stati membri e pone in risalto l’importanza dell’investire durante tutta la vita nell’acquisizione di competenze, al fine di migliorare l’occupabilità dei lavoratori.
L’occupazione ha continuato a crescere nella maggior parte dei settori dalla metà del 2013. Il numero di ore lavorate è aumentato e, per la prima volta dal 2011, si è avuto un piccolo aumento dei contratti a tempo pieno, oltre a miglioramenti per quanto riguarda la situazione dei giovani. Molti dei nuovi posti di lavoro creati sono però a tempo parziale o a tempo determinato.
L’Italia è anche il paese con il più basso tasso di attività, seguita da Romania e Malta (tutti e tre questi paesi sono al di sotto del 65%, quando il tasso medio di attività è del 72%). La Rivista fa notare anche che nei paesi con i più bassi tassi di attività si registrano anche i più bassi tassi di occupazione femminile.
La disoccupazione resta ancora a un livello prossimo al suo massimo storico, e i disoccupati di lungo periodo costituiscono una quota importante e crescente della disoccupazione totale: quasi 13 milioni di persone sono senza lavoro da più di un anno. Inoltre tra le persone disoccupate una su tre ha perso il lavoro da più di due anni.
La disoccupazione giovanile è leggermente diminuita in quasi tutti gli Stati membri, rimane tuttavia molto elevata in Grecia e in Spagna e addirittura continua a crescere in Italia. Tra coloro che lavorano, quasi la metà ha incarichi a tempo determinato e quasi un quarto ha un impiego a tempo parziale.
Come segnalato anche dall’OCSE, la rivista indica nell’istruzione formale, nella formazione e nelle competenze acquisite nel corso della vita la via per migliorare le probabilità di trovare un lavoro e di accedere a incarichi con migliori retribuzioni.

Rilascio del certificato penale per i lavoratori a contatto con i minori

Il decreto legislativo n. 39/2014, finalizzato alla lotta contro lo sfruttamento minorile sotto l’aspetto sessuale e la pornografia, ha previsto che i datori di lavoro che intendano impiegare una persona per lo svolgimento di attività professionali che comportino contatti diretti e regolari con minori, dovranno acquisire il certificato del casellario giudiziario per verificare l’esistenza di condanne per i reati previsti agli articoli 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (pornografia virtuale), 600-quinquies (turismo sessuale) e 609-undecies (adescamento di minorenni) del codice penale, o l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori.

Il Ministero della Giustizia, con circolare del 24 luglio c.a., ha comunicato che sono state apportate le modifiche tecniche al SIC (Sistema Informativo del Casellario) che consentono di produrre il nuovo certificato contenente le iscrizioni relative a condanne per i suddetti reati.

Approvato l’Avviso pubblico di Regione Lombardia per il sostegno ai contratti di solidarietà

Il 9 giugno u.s., Regione Lombardia ha approvato l’Avviso pubblico per il sostegno dei contratti di solidarietà in attuazione della Legge Regionale n.21/2013.

La Legge Regionale n.21/13 al fine di evitare l’interruzione o la sospensione dei rapporti di lavoro e salvaguardare il capitale umano e la competitività dell’imprese, promuove la sottoscrizione dei contratti di solidarietà prevedendo l’erogazione di un contributo ai lavoratori ed un incentivo alle imprese.

Le risorse disponibili ammontano complessivamente a euro 2.000.000,00 così ripartite:

40% per i contratti di solidarietà sottoscritti da aziende rientranti nel regime di CIGS, ai sensi del D.L. n.726/1984, convertito dalla legge 863/1984 (TIPO A);
60% per i contratti di solidarietà sottoscritti da aziende non rientranti nel regime di CIGS e per le aziende artigiane, di cui all’articolo 5, comma 5, del D.L. n.148/1993 convertito dalla L. 236/1993 (TIPO B).
Possono beneficiare dei contributi le imprese che hanno:

sede legale o unità operative attive da almeno un anno nella Regione Lombardia;
stipulato o rinnovato un contratto di solidarietà a decorrere dal 27 dicembre 2013, data di entrata in vigore della L.R. n. 21/2013, che preveda una riduzione d’orario di almeno il 40 per cento del normale orario di lavoro;
ottenuto l’autorizzazione del contratto di solidarietà con decreto emesso dal Ministero del Lavoro.
La quota di contributo concessa per ciascuna impresa richiedente non può eccedere 100.000,00 euro nell’arco di 12 mesi e comprende una quota di incentivo alle imprese e una quota per il sostegno al reddito dei lavoratori, così suddivise:

il 20% a titolo di incentivo per l’impresa;
l’ 80% a titolo di sostegno al reddito dei lavoratori nelle seguenti misure:
– fino al 10% massimo della retribuzione persa per i lavoratori di aziende che hanno stipulato contratti di solidarietà di Tipo A;

– fino al 12,5% massimo della retribuzione persa per i lavoratori di aziende che hanno stipulato contratti di solidarietà di Tipo B.

Il contributo è erogato all’impresa. La quota di contributo riservata al sostegno al reddito deve essere versata dall’impresa beneficiaria ai lavoratori interessati alla riduzione di orario prevista dal contratto di solidarietà, entro 60 giorni dall’erogazione regionale.

La domanda di accesso al contributo deve essere presentata a Regione Lombardia entro 6 mesi dalla data di autorizzazione del Contratto di solidarietà con decreto emesso dal Ministero del Lavoro.

La domanda di accesso al contributo può essere presentata utilizzando esclusivamente l’apposita modulistica allegata all’avviso pubblico, scaricabile dal sito regionale www.lavoro.regione.lombardia.it e deve essere inviata via PEC all’indirizzo lavoro@pec.regione.lombardia.it , indicando nell’oggetto “Domanda di contributo CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ – ______________(indicare la ragione sociale dell’azienda)”.

Libera circolazione dei lavoratori: il Consiglio dell’UE adotta la direttiva

Il Consiglio dei Ministri dell’UE ha adottato la direttiva volta a garantire una migliore applicazione a livello nazionale del diritto dei cittadini dell’UE di lavorare in un altro Stato membro. Le nuove norme intendono colmare il divario esistente tra diritti e realtà e aiuteranno i cittadini che lavorano o cercano un lavoro in un altro paese ad esercitare concretamente i loro diritti. Gli Stati membri dispongono ora di due anni per attuare la direttiva a livello nazionale.
La direttiva, proposta il 26 aprile 2013, ha per obiettivo di eliminare gli ostacoli esistenti alla libera circolazione dei lavoratori, tra cui la scarsa consapevolezza delle norme UE da parte dei datori di lavoro sia pubblici che privati e le difficoltà incontrate dai cittadini mobili nell’ottenere informazioni e assistenza negli Stati membri ospitanti. Per superare questi ostacoli e prevenire ogni forma di discriminazione la direttiva imporrà agli Stati membri di garantire:
– che uno o più organismi a livello nazionale forniscano un sostegno e assistenza giuridica ai lavoratori migranti dell’UE per quanto riguarda l’applicazione dei loro diritti,
– una tutela giuridica efficace dei diritti (tra cui, ad esempio, la protezione dalla vittimizzazione per i lavoratori migranti dell’UE che vogliono far valere i loro diritti) e
– informazioni facilmente accessibili in più di una lingua dell’UE sui diritti di cui godono i lavoratori migranti dell’UE e le persone in cerca di lavoro.
Indipendentemente da questo nuovo atto legislativo, la Commissione, in qualità di custode del trattato, continuerà ad avviare procedimenti di infrazione, ove necessario, nei confronti degli Stati membri il cui diritto nazionale non sia in linea con gli obblighi imposti loro dal diritto dell’UE.

Parità di genere: relazione annuale della Commissione europea

La relazione annuale pubblicata dalla Commissione europea passa in rassegna i principali sviluppi delle politiche e della legislazione dell’UE sull’uguaglianza di genere dell’ultimo anno e fornisce alcuni esempi di strategie e azioni adottate negli Stati membri. La relazione analizza inoltre le tendenze recenti, sulla base di dati scientifici e dei principali indicatori che nutrono il dibattito sull’uguaglianza di genere, e riporta in allegato i dati statistici dettagliati sui risultati conseguiti a livello nazionale. Dalla relazione emerge che negli ultimi anni il divario di genere si è notevolmente ridotto, con progressi però variabili tra gli Stati membri e con differenze ancora presenti in diversi ambiti – a danno dell’economia europea.
La relazione è strutturata attorno alle cinque priorità della strategia della Commissione europea per la parità tra donne e uomini 2010-2015: pari indipendenza economica; pari retribuzione per lo stesso lavoro e lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne, parità tra donne e uomini nelle azioni esterne e questioni orizzontali.

Occupazione: la Commissione propone di migliorare EURES, la rete per la ricerca di lavoro

Occorre rafforzare EURES, la rete paneuropea per la ricerca di lavoro, in applicazione di una proposta presentata recentemente dalla Commissione europea, onde migliorare l’offerta di lavoro, accrescere le possibilità di messa in contatto e corrispondenza delle offerte e delle domande di lavoro e aiutare i datori di lavoro, in particolare le piccole e medie imprese, ad assumere personale più competente e in tempi più brevi.
Una volta adottata dal Consiglio dei ministri dell’UE e dal Parlamento europeo, la proposta aiuterà i cittadini che si trasferiscono all’estero per motivi di lavoro ad operare una scelta più informata possibile. László Andor, commissario UE responsabile dell’occupazione, degli affari sociali e dell’inclusione ha dichiarato: “La proposta della Commissione costituisce un passo ambizioso per lottare concretamente contro la disoccupazione. Essa contribuirà a correggere gli squilibri dei mercati del lavoro incrementando al massimo lo scambio di offerte di lavoro disponibili in tutta l’UE e assicurando una maggiore corrispondenza tra offerte di lavoro e richiedenti lavoro. La nuova rete EURES faciliterà la mobilità lavorativa e contribuirà alla realizzazione di un mercato del lavoro dell’UE pienamente integrato”.
Le nuove norme proposte rafforzeranno l’efficacia di EURES, miglioreranno la trasparenza delle assunzioni e intensificheranno la cooperazione tra gli Stati membri.

Apprendistato in Europa: confronto tra Italia e Germania

La riforma del mercato del lavoro del ministro Fornero, entrata in vigore nel luglio del 2012, ha rilanciato il contratto di apprendistato come canale privilegiato d’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. La scommessa è stata motivata dai successi conseguiti dalla Germania negli ultimi anni in termini occupazionali. Nel 2012 la Germania aveva, inf atti, il tasso più basso di disoccupazione per la f ascia d’età 15-24 anni (8,1 per cento contro il 35,3 per cento dell’Italia) e uno dei più bassi per quella compresa f ra i 25 e i 64 (5,2 per cento contro 9 per cento). Questi dati lusinghieri sono il f rutto di vari elementi, ma è indubbio che il contratto di apprendistato, che coinvolge annualmente più di 1,5 milioni di persone, svolga un ruolo di contenimento della disoccupazione tra i più giovani. Curare la patologia italiana con la medicina tedesca è parsa la strategia migliore. Tuttavia, le formule dell’apprendistato italiano e tedesco, pur presentando alcune somiglianze – comuni peraltro a molti paesi europei –, sono contraddistinte da marcate dif f erenze, alla luce delle quali temiamo che l’attuale rif orma da sola non basterà a rilanciare l’occupazione giovanile in Italia. (1)

 
I MODELLI DI APPRENDISTATO IN EUROPA
In tutti i principali paesi europei, l’apprendistato presenta tre caratteristiche f ondamentali. In primo luogo, la f inalità è l’acquisizione delle competenze necessarie all’esercizio di una prof essione mediante “trasf erimento di sapere prof essionale” da un lavoratore esperto a un giovane. In secondo luogo, l’acquisizione delle competenze avviene mediante alternanza f ra luoghi e modalità di apprendimento: la formazione erogata all’esterno dell’impresa (ad esempio scuole e istituti prof essionali) convive con quella fornita all’interno dell’azienda (alternanza di f ormazione on/off the job). Inf ine, l’apprendistato si conf igura come un vero e proprio contratto di lavoro. Ciò implica che l’apprendista percepisce un compenso e riceve una formazione calibrata sulle esigenze dell’azienda. Quest’ultima, dunque, alla f ine di un articolato
percorso di f ormazione pluriennale avrà, compatibilmente con le sue necessità, tutto l’interesse ad assumere l’apprendista.
 
DIFFERENZE TRA APPRENDISTATO TEDESCO E ITALIANO
In Germania vi è un solo tipo di apprendistato – alternanza scuola/lavoro – mentre in Italia ne esistono tre: (i) per la qualif ica e per il diploma prof essionale, (ii) professionalizzante o contratto di mestiere e (iii) di alta f ormazione e ricerca. Il primo tipo è simile all’apprendistato tedesco, gli ultimi due presentano tre rilevanti
differenze. La prima riguarda l’età degli apprendisti. In Germania, infatti, l’apprendistato si rivolge a studenti di età non inferiore ai 15 anni dei licei e degli istituti professionali. In Italia, invece, l’età dell’apprendista al momento della stipulazione del contratto deve essere compresa tra 15 e 25 anni nell’apprendistato per qualif ica e
diploma prof essionale e tra 18 e 29 in quello prof essionalizzante e di alta formazione. La seconda dif ferenza riguarda il livello di istruzione dei lavoratori. L’apprendistato tedesco si rivolge agli studenti della scuola secondaria e preclude l’accesso all’università: una volta conclusa l’esperienza di formazione/lavoro, inf atti, è possibile proseguire l’istruzione terziaria solo nelle Fachhochschule (scuole professionali avanzate), ma non nelle università. (2) In Italia, invece, gli apprendistati professionalizzante e di alta f ormazione possono interessare anche laureati e dottorandi, soggetti caratterizzati da un elevato livello di istruzione. La terza differenza, che consegue dalle prime due, riguarda il tipo di professionalità formate: in Germania interessa prevalentemente i lavori manuali mentre in Italia spazia da quelli manuali a quelli di concetto.
 
PUÒ RILANCIARE L’OCCUPAZIONE?
L’apprendistato è certamente utile se si vuole integrare in azienda la f ormazione teorica ricevuta da un giovane negli istituti scolastici, f acendogli acquisire le professionalità necessarie in vista di una potenziale assunzione. In Italia, l’istituto dell’apprendistato viene esteso, nella seconda e terza tipologia, anche a persone adulte e laureate, magari f ormate con percorsi scolastico-universitari, ma non qualif icate professionalmente. L’azienda, però, dovrebbe integrare – e non sostituire – la preparazione ricevuta nell’ambito del sistema scolastico-universitario. In altre parole, la f ormazione on the job dovrebbe focalizzarsi sugli aspetti pratici che non è possibile apprendere in aula. La necessità di ricorrere all’apprendistato per persone adulte, istruite ma non f ormate, è motivata anche dalla progressiva sparizione delle scuole professionali e dall’inadeguatezza del sistema universitario. Le imprese, pertanto, devono f arsi carico non solo del cosiddetto addestramento prof essionale, ovvero di
quelle abilità che consentono di mettere in pratica quanto appreso in via teorica nei percorsi di studio, ma nella predominanza dei casi devono costruire ex-novo competenze e sviluppare capacità che i percorsi scolastici e universitari trascurano. La situazione è vieppiù aggravata dalla totale assenza di orientamento durante gli studi. Occorre, quindi, anche ripensare il sistema educativo e dell’orientamento, lasciando alle imprese il compito di integrare quelle competenze che consentono poi la piena qualif ica prof essionale, anche ai f ini contrattuali, dei giovani apprendisti. Le economie avanzate, inoltre, da anni stanno orientando la produzione verso il terziario in cui il peso della manualità si sta progressivamente riducendo. Ciò induce a pensare che siano necessari (anche) altri strumenti di f ormazione e di raccordo tra sistema educativo e mondo del lavoro.
 
L’APPRENDISTATO ITALIANO TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
È importante sottolineare che in Italia l’apprendistato ha scontato dieci anni di dif f icoltà applicative, f inalmente superate con il Testo unico del 2011, e dovute, da un lato, alla frammentazione delle normative regionali, dall’altro alla f ormazione ulteriormente teorica prevista nei percorsi pubblici, spesso standardizzati e inutilmente appesantiti da molte ore in aula senza un concreto valore aggiunto. La possibilità prevista ora per il cosiddetto apprendistato prof essionalizzante (il secondo tipo) di svolgere la formazione in azienda e il riconoscimento normativo ai contratti collettivi costituiscono elementi fondamentali per il rilancio dell’istituto. Occorre intervenire anche per l’apprendistato di primo tipo che sconta gli stessi vecchi problemi: disciplina diversa per ogni Regione, numero eccessivo di ore di f ormazione (400 all’anno) e costi ancora troppo elevati. Tutti aspetti che scoraggiano le imprese. La rif orma Fornero, purtroppo, invece di ridurre i costi dei contratti standard, ha incrementato quelli dei contratti flessibili e dello stesso contratto di apprendistato. Per ottenere risultati occupazionali signif icativi occorre, da un lato, perseguire con tenacia la strada della semplif icazione dell’apprendistato per tutte le tipologie e, dall’altro, af f iancarvi l’impegno alla riduzione degli eccessivi oneri burocratici e fiscali che ancora gravano sul lavoro. Il tutto senza perdere di vista l’obiettivo di una prof onda e condivisa rif orma del sistema educativo. 
 
(1) Per una trattazione approf ondita si legga la relazione dell’Isf ol (2011), “Modelli di apprendistato in
Europa: Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito”, scaricabile dal link
(2) Sperimentazioni sono in corso in alcuni Länder che hanno attivato modalità di raccordo