Contratto metalmeccanici. Il senso di un rinnovo non formale

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Mettere come ha fatto Federmeccanica, al centro del rinnovo del CCNL dei metalmeccanici un nuovo approccio sull’inquadramento è un segnale importante ma contemporaneamente un azzardo anche  perché la classificazione dei lavoratori pur essendo puntualmente richiamata ad ogni rinnovo non è più materia di negoziazione sindacale da molti anni. Raggiunto l’inquadramento unico il sindacato ha spinto verso l’alto fino a quando ha potuto le negoziazioni nelle aziende ma a un certo punto si è dovuto fermare perché il sistema ha trovato un suo equilibrio oggettivo.

Va però sottolineato che quella è stata anche  la stagione migliore per la contrattazione aziendale perché ha coinciso con la capacità del sindacato di fare sintesi tra le esigenze collettive e quelle individuali contendendo almeno in parte alle imprese l’esclusivo diritto di scelta. Una stagione nella quale, per il sindacato, il livello di inquadramento aveva a che fare con la mansione assegnata, la prevalenza del tempo collegato ad essa, la similitudine con altri colleghi. Al contrario per l’azienda che puntava alla qualità della prestazione individuale pur a parità di mansione per fare la differenza. Soprattutto nella parte più alta dell’inquadramento.

Per consentire maggiori aperture o barriere a seconda delle reciproche esigenze, aggettivi e avverbi, messi sapientemente nei punti chiave dei testi contrattuali fecero fare parecchie notti in bianco ai negoziatori. Quella stagione si concluse, tutto sommato, abbastanza rapidamente perché oltre a non rendere dinamico il sistema dell’inquadramento unico, come era nelle intenzioni di chi lo aveva concepito, tendeva a produrre aspettative individuali ingestibili, creava effetti distorsivi permanenti, produceva costi certi con scarsi benefici collegati.

Il tema finì sempre più ai margini nei rinnovi successivi producendo solo improbabili commissioni di approfondimento che non approfondivano nulla, rinvii ma, in realtà  si andava via via certificando  la perdita di sensibilità del sindacato sul tema e la volontà delle aziende di gestirlo autonomamente utilizzando il testo contrattuale come mero riferimento generico.

Aggettivi e avverbi dei sacri testi erano stati ormai resi obsoleti da specifiche professionalità richieste, esperienze che dovevano essere agite concretamente e competenze individuali soft che rendevano pressoché impossibile il riferimento ad un riconoscimento collettivo negoziabile pur rientrando individualmente in declaratorie ormai prive di senso.

La disponibilità di Federmeccanica di riportare l’intera materia, pur con tutte le cautele del caso, al centro del rinnovo contrattuale segnala un cambiamento di rotta notevole. Innanzitutto rimette in carreggiata lo strumento contrattuale nazionale ben oltre al governo del salario ridandogli ruolo e senso. Lo rianima riassegnandogli un ruolo guida in una materia complessa.

Tra l’altro non può esistere un “patto della fabbrica” se non si ricrea un collegamento tra CCNL e contrattazione decentrata. E questo collegamento non può avvenire solo sulla produttività e sulla sua distribuzione ma deve comprendere anche le tutele, i processi formativi intesi anche come diritti soggettivi, la professionalità acquisibile e i meccanismi collegati.

L’idea, credo, sia quella di ridisegnare insieme i confini del CCNL per riassegnarne i compiti a ciascun livello contrattuale. Questo è, a mio parere, il senso della sfida lanciata da Federmeccanica pur mettendo in conto il rischio che questa scelta porta con sé nel momento in cui la controparte sindacale ne intraveda solo il potenziale conflittuale o negoziale  a livello di singola azienda e non quello che è: un tassello fondamentale di un nuovo percorso di coinvolgimento e di confronto propedeutico a un sistema di relazioni industriali collaborative.

Personalmente non credo che il riconoscimento professionale nella fabbrica post fordista o nei servizi debba per forza passare da un modello di inquadramento che, seppur profondamente rinnovato, ha fatto il suo tempo e su questo ho già scritto le mie idee che puntano più ad una riforma complessiva dei meccanismi che regolano il salario   (https://bit.ly/2KLdmkD).

Mi rendo però conto che i passaggi per arrivare ad un modello più snello e pratico  deve tenere conto di come sono costruite le norme, del codice civile e dei percorsi culturali e sociali necessari a realizzarlo. Soprattutto se lo si vuole costruire insieme in un contesto di fiducia reciproca.

Il rischio poi che il sindacato o una parte di esso sottovaluti o banalizzi questa apertura cercando di archiviarla troppo rapidamente è molto alto perché questo spingerebbe le aziende, al di là di Federmeccanica, a fare altrettanto.La contrattazione aziendale non si rianima motu proprio. O le si forniscono materie, credibilità e vantaggi per entrambe le parti o il rischio che  continui il processo di evaporazione  in corso è molto alto.

Welfare contrattuale, professionalità individuale (formazione e crescita), condivisione degli obiettivi e maggiore responsabilizzazione dei lavoratori, politiche attive  e considerazione della importanza del lavoro sono i pilastri fondamentali a partire da questa stagione dei rinnovi.

Questa impostazione poi consentirebbe ai CCNL di rafforzare il loro ruolo ben fuori dalle secche della competizione con il salario minimo di legge. Altro tema da non sottovalutare di questi tempi. Per questo il rinnovo del metalmeccanici può segnare o meno una direzione di marcia importante. Un rinnovo contrattuale di qualsivoglia categoria deve avere un’anima che lo caratterizza. Altrimenti si trasforma in un  automatismo formale destinato solo a subire le ingiurie del tempo. 

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