Dimissioni in bianco, così non va

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L’onere della prova a carico della donna licenziata, e per sanzione una semplice multa: la nuova normativa contro le dimissioni in bianco è troppo debole. Così com’è scritto, non tutela le lavoratrici. Un appello al parlamento perché lo cambi: una norma di civiltà non può essere oggetto di mediazione tra interessi
In più occasioni la ministra Elsa Fornero, e per la verità non solo lei, per difendere la riforma del mercato del lavoro, ha citato l’articolo 55 del ddl, che definisce le nuove regole contro le dimissioni in bianco. Certo non era scontato che il governo affrontasse l’argomento, per la semplice ragione che a votare quell’articolo è lo stesso parlamento che nel 2008 ha cancellato la legge 188/2007, dedicata appunto a sanzionare e limitare quell’abuso. Tuttavia grazie alle iniziative promosse da tante donne in questi anni la deprecabilità delle dimissioni in bianco è diventata senso comune ed è difficile ormai chiudere gli occhi di fronte alla consapevolezza diffusa che si tratta di un fenomeno inaccettabile in un paese civile. Ci troviamo infatti di fronte a una pratica tanto diffusa quanto illegale: quella di far firmare in anticipo, al momento dell’assunzione, le proprie dimissioni, da completare, riempiendole con la data desiderata a fronte di una malattia, un infortunio, un comportamento sgradito, o più tipicamente una semplice maternità. In pratica, una spada di Damocle permanente, pronta per ogni evenienza della vita di ragazze e ragazzi neoassunti e buona da usare a piacimento per spezzarne i rapporti di lavoro; e purtroppo ampiamente usata, ci dicono i numeri Istat.

Fonte: Rapporto Istat 2010 (Il Rapporto dedica un paragrafo al tema “Interruzioni di lavoro per la nascita di un figlio: le ‘dimissioni in bianco’”. V. Rapporto 2010, pp. 153-154. Sul fenomeno delle dimissioni in bianco, e sugli aspetti normativi, si veda la scheda in questo stesso sito).
Quando la legge 188/2007 è stata abrogata in nome della semplificazione, non ci sono state grosse reazioni, nonostante fosse stata approvata dal parlamento precedente, nell’ottobre del 2007, all’unanimità alla camera e a larga maggioranza al senato. Ma dal momento in cui la 188 è stata cancellata, alcune donne, testardamente, hanno ricominciato a tessere quella tela di consenso e alleanze che aveva prodotto la 188, per riconquistarla con petizioni, raccolte di dati, iniziative pubbliche continue, fino alla decisione di promuovere una legge di iniziativa popolare, decisione maturata nell’autunno del 2011 da parte di un gruppo di donne molto diverse tra di loro per cultura politica, esperienze professionali, generazione.
Il cambio di governo e l’insediamento del nuovo esecutivo guidato da Monti ha fatto sperare di poter riottenere rapidamente la legge e il comitato per l’iniziativa di legge popolare si è trasformato nel “comitato per la 188”, a cui si devono le tante iniziative degli ultimi tempi. Innanzi tutto la campagna “188 firme per la 188”, poi la giornata di mobilitazione nazionale per il ripristino della legge con presidi di fronte a tutte le prefetture d’Italia, che si è svolta il 23 febbraio di quest’anno. E ancora gli incontri con la ministra Fornero e il presidente della camera e le tante lettere aperte che hanno inondato la stessa ministra, le istituzioni, i gruppi parlamentari e le redazioni dei quotidiani di lettere aperte. Iniziative grazie alle quali si è formato un senso comune e una consapevolezza che adesso sono difficili da ignorare. Si è arrivati così all’articolo 155, che reintroduce nell’ordinamento il tema dell’abuso delle dimissioni in bianco, lo nomina, lo depreca e definisce le procedure per contrastarlo: un risultato molto importante e non scontato di quella mobilitazione faticosa, paziente e testarda.
Ma l’articolo 55 non riesce nel suo intento, per diverse ragioni
– È un articolo diviso in 8 commi di difficilissima lettura e interpretazione, e perciò anche applicazione.
– Le nuove procedure sono volte a correggere l’eventuale abuso della firma in bianco ma non a prevenirlo, come invece faceva la legge 188/2007 vincolando le dimissioni volontarie alla compilazione di un modulo dotato di codice alfanumerico progressivo di identificazione, non retrodatabile.
– L’onere della prova è a carico della lavoratrice e del lavoratore: sono loro a dover dimostrare che, pur essendo autografa, la firma della lettera di dimissioni è stata richiesta al momento dell’assunzione (comma 6 dell’art. 55).
– In caso di abuso la sanzione è solamente amministrativa (comma 8 dell’art. 55), una semplice multa. Da notare che su questo punto lo stesso documento ufficiale di policy del governo, precedente di pochi giorni la stesura del disegno di legge, più correttamente paragonava l’abuso del foglio firmato in bianco ad un licenziamento discriminatorio e perciò aveva come conseguenza l’annullamento delle finte dimissioni: altro che multa!
L’articolo 55 può essere cambiato
Il comitato per la 188 lo ha chiesto con una lettera aperta alla ministra Fornero e alle commissioni lavoro di senato e camera, ma lo chiedono anche molte parlamentari e varie memorie consegnate alle commissioni parlamentari. E lo pretende il buon senso: una norma di civiltà non può essere oggetto della mediazione tra interessi diversi. Ci auguriamo che il parlamento, nella discussione parlamentare del ddl sulla riforma del mercato del lavoro, accolga questo appello.

Titti DI Salvo

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