Garantire a tutti la copertura dei contratti nazionali? Un obiettivo, oggi, di non facile realizzazione

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Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim CISL nell’articolo pubblicato sull’huffpost (https://bit.ly/3jt3NX4) sulla materia salariale non lascia molto  spazio di manovra sul tema: “E’ solo la piena e unica rappresentatività di un CCNL in ogni settore o comparto la soluzione da adottare, se vogliamo fare qualcosa di veramente utile per le persone”.

Il suo punto di osservazione gli consente un approccio così determinato. Il  loro CCNL di categoria appena rinnovato inverte una tendenza sulla contrattazione  salariale, il secondo livello pur interessando una minoranza delle aziende, è relativamente diffuso e consolidato, sindacati e imprese sul lavoro, sul suo riconoscimento e sulla sua valorizzazione sembra vogliano giocare la stessa partita.

Condivido nel suo ragionamento che il CCNL non è solo l’individuazione dei minimi salariali. E questo rende particolarmente complessa l’adozione meccanica di altre opzioni.  Posto in questi termini è evidente che parlare di salario minimo come semplice   alternativa alla contrattazione nazionale rischia solo di provocare una destrutturazione dell’esistente e nessun vantaggio per i lavoratori oggi coperti dalla contrattazione nazionale. Per le imprese soprattutto quelle più piccole, il discorso sarebbe però ben diverso. 

La ricetta proposta da Benaglia è però, a mio parere, di difficile attuazione per le resistenze presenti. Il contratto nazionale dei metalmeccanici coinvolge circa 1,5 milioni di addetti. Il fenomeno dei contratti pirata, pur in aumento anche in quel comparto,  non lo scalfisce più di tanto. La contrattazione aziendale, tutto sommato, tiene. L’obiettivo di estenderlo erga omnes è probabilmente una strategia  relativamente semplice da proporre.

Il CCNL principale del terziario firmato da Confcommercio sfiora i 3,5 milioni di addetti. Nonostante questo i sindacati di categoria ne hanno firmati altri nel tempo subendo le specificità volute da altre associazioni senza che questa disponibilità  sia riuscita ad impedire la proliferazione dei contratti pirata.

Secondo uno studio di Larissa Venturi pubblicato sul Menabò di Etica ed Economia (https://bit.ly/3dA6fXT) solo “fra il 22 giugno 2020 e il 22 giugno 2021, in termini assoluti, i settori contrattuali in cui il numero dei CCNL depositati è aumentato maggiormente sono il “terziario, distribuzione e servizi”(+14 in piena pandemia). Il rimedio che hanno in mente alcuni sindacalisti ed esperti della materia  (estensione erga omnes  dei CCNL principali) non sembra trovare rispondenza in alcune confederazioni datoriali. E forse nemmeno in tutti i sindacati.

Prendiamo il caso di Confcommercio.

L’applicazione erga omnes del suo CCNL del terziario coprirebbe un’area doppia rispetto all’attuale raggiungendo potenzialmente un bacino di circa 8 milioni di addetti. Un obiettivo eccezionale. Nonostante questo Confcommercio non sembra interessata a percorrerlo. Preferisce restare nel proprio perimetro attuale probabilmente perché questo passaggio imporrebbe alcuni obblighi sulla trasparenza delle entrate economiche, la loro certificazione, il numero e la tipologia delle imprese associate che non è attualmente nelle intenzioni di quella  confederazione mettere a disposizione.

Le entrate della confederazione a livello nazionale per il 76% non dipendono da quote associative. In buona parte sono determinate dal CCNL dei dirigenti del terziario e dalla bilateralità discendente dal CCNL dei lavoratori dipendenti. 

Un’analisi obiettiva  sul peso dei firmatari del CCNL dirigenti confermerebbe indubbiamente a Manageritalia la sua rappresentatività. Confcommercio dovrebbe forse condividerla con altri. Lo stesso vale per alcuni istituti del welfare contrattuale del CCNL del terziario e servizi.

Se prendiamo ad esempio i metalmeccanici, il loro fondo sanitario, fornisce prestazioni calcolate sulle quote versate da lavoratori e imprese del comparto. Nessuna quota viene ristornata a vario titolo  ai firmatari. Nel terziario, in un fondo analogo, dei 14 euro versati da imprese e lavoratori, 1 euro al mese ritorna ai firmatari del CCNL. Più o meno 1 milione e mezzo di euro al mese da moltiplicare per 12 mesi da dividere al 50% tra Confcommercio e i firmatari del CCNL. Sono risorse importanti. Senza parlare delle entrate derivate dagli enti bilaterali territoriali. 

Tutto legittimo sul piano formale perché frutto di negoziato tra le parti ma temo costituisca un buon motivo che  frena una disponibilità spontanea a condividere questi dati per le implicazioni di natura associativa, fiscale e organizzativa.  E questo esclusivamente per la parte datoriale non essendoci problemi, credo,  per i sindacati di categoria. Questo significa che il comparto dove la contrattazione pirata ha fatto più danni in termini di dumping salariale alle imprese potrebbe essere il meno invogliato a trovare soluzioni rapide.

Aggiungo che l’idea suggerita dal segretario dei metalmeccanici di aumentare le ore di part time cosiddetto involontario come rimedio al livello retributivo insufficiente  rischia di penalizzare solo  le imprese corrette. Il part time, salvo casi specifici dove risponde ad una richiesta  concordata con il lavoratore, è per sua natura, sempre involontario nel numero di ore perché costruito su modelli organizzativi specifici fatto di turnazioni legati ai flussi di clienti e o di carichi di lavoro. Diventa strumentale e da combattere solo quando si trasforma in  una modalità di aggiramento dell’orario di lavoro reale, del riconoscimento degli  straordinari e quindi della retribuzione spettante al lavoratore. 

Condivido però il rischio che le piccolissime imprese messe di fronte alla scelta tra il salario minimo e l’applicazione del CCNL sarebbero fortemente attratte dal salario minimo. Quello che non condivido è però l’idea che sia meglio assistere alla fuga  in corso dei CCNL più esposti lasciando la loro applicazione in mano alle scelte di singoli imprenditori o dei loro consulenti. Mi sembra un azzardo pericoloso.

Siamo d’accordo che la via maestra dovrebbe essere l’estensione dell’applicazione dei CCNL principali rispettandone scadenze e contenuti. Cosa tutt’altro che conseguibile in tempi ragionevoli. Resto dell’idea che laddove la copertura non c’è o è forzata da parti sociali che non rappresentano né i lavoratori né le imprese una sperimentazione del salario minimo come proposto da Andrea Garnero economista dell’Ocse nell’intervista di Giuseppe Colombo (https://bit.ly/3qElsMY) sarebbe auspicabile. Certo questo presupporrebbe sostenerlo con una proposta complessiva in tema di diritti, tutele generali e welfare contrattuale laddove presente.

Le prospettive della questione salariale, a mio parere, non possono essere concepite solo a livello verticale finalizzate cioè  a rispondere alle esigenze individuali del lavoratore garantito o dell’impresa, soprattutto medio grande, nei suoi obiettivi di crescita dove un riequilibrio passa anche attraverso l’intervento sul cuneo fiscale. E nemmeno essere rilanciate dal sindacato  in senso orizzontale attraverso la sola contrattazione territoriale.

I settori, le filiere e la competizione a cui le imprese devono rispondere non necessariamente hanno caratteristiche legate al territorio quindi occorrerebbe  individuare nuovi equilibri e nuove modalità. Altrimenti l’asimmetria dei rapporti di forza si limiterà a dare risposte convincenti ad una minoranza di lavoratori e alle aziende medio grandi che si riconoscono nel sistema attuale, lasciando però    campo all’arbitrio nella parte più debole e non rappresentata  del mondo del lavoro.

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