Grande Distribuzione, politiche attive, ricollocamento degli esuberi. Il caso Conad/Auchan

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Le politiche attive funzionano solo se domanda e offerta si incontrano. Bayer e Confindustria di Bergamo hanno collaborato per individuare le soluzioni possibili. Confindustria Brescia è avviata sullo stesso percorso: offrire posti di lavoro per attenuare gli effetti della vicenda  Timken. l’associazionismo imprenditoriale in questi casi può fare molto per creare condizioni favorevoli al reimpiego sul territorio e senza ulteriori interventi legislativi. Non è un caso che nelle due realtà citate il contesto delle relazioni industriali può contare anche su un sindacato confederale che fa del pragmatismo un suo tratto caratteristico.

La vicenda Conad/Auchan quando si diraderanno i fumi delle  polemiche capziose evidenzierà che, anche nella Grande Distribuzione, la prima grande operazione di ricollocamento del personale causata dal disimpegno di Auchan si va chiudendo con un risultato ben oltre le aspettative iniziali. E questo grazie soprattutto alla determinazione di Conad e di quella parte del sindacato che ha tenuto ferma la volontà di tutelare al massimo possibile i lavoratori pur in condizioni difficilissime. Sbandare verso posizioni demagogiche avrebbe messo in pericolo molti più posti di lavoro e, forse, l’intera operazione.

Un’acquisizione complessa che comprendeva anche decine di punti vendita sotto la valutazione dell’antitrust, intrecci con competitor e rischi di contraccolpi sul proprio sistema non abituato a navigare in acque agitate dentro le incognite della pandemia  avrebbero fatto tremare i polsi a chiunque e consentito giravolte sugli impegni che, fortunatamente non ci sono state.

Nell’ultimo incontro al Ministero le carte sono state messe sul tavolo tanto da rendere necessario un rinvio ulteriore per poter valutare i numeri residuali collegati alle ultime operazioni in corso e quindi alla chiusura della procedura prevista per fine anno.

Per i sindacati l’impegno di Conad dovrà comunque garantire uno sbocco all’occupazione residua e coperta fino al 31 dicembre dalla procedura  al di là degli impegni territoriali al ricollocamento esterno. L’azienda ovviamente punta  a disporre di un quadro definitivo più chiaro per fare le sue ultime mosse.

L’accordo finale sul quale potrebbero convergere tutti è a un passo e segnerebbe un risultato importante in tempi di sblocco dei licenziamenti post lockdown in netta controtendenza rispetto agli ultimi casi che sono finiti in prima pagina sui media. I dati parlano chiaro.

Conad ha assorbito l’organico necessario ai suoi punti vendita e alle sue attività che, nella stragrande maggioranza dei casi stanno già marciando al ritmo del consorzio, si è fatta carico di contrattare con i terzi subentranti un’altra parte importante del personale e ha gestito con equilibrio le successive richieste di CIG evitando forzature inutili.

Oggi, alle battute finali, servirebbe un sindacato cauto nelle dichiarazioni e pronto a praticare l’obiettivo dell’assorbimento di tutti quelli  che restano e un management aziendale consapevole  che stravincere non è mai una buona cosa in mancanza di politiche attive strutturate.

È fuori dubbio che siano state assestate “gomitate” reciproche che hanno lasciato il segno. Ma non è questo il tempo delle recriminazioni. Questo è il tempo di provare a chiudere e guardare avanti. Le stesse “dimissioni incentivate” citate spesso a sproposito da chi vive su Marte, erano e sono l’unica chance per tutti coloro a cui non possono essere offerte soluzioni interne. Non esistono ristrutturazioni aziendali nel nostro Paese che non si siano basate quasi interamente su questo strumento. È evidente che in numerosi casi sono più  “spintanee” che spontanee perché avvengono in mancanza di  alternative immediate ma questo non toglie nulla alla loro validità.

La stragrande maggioranza degli ex Auchan che hanno concordato l’uscita è già al lavoro altrove pur portando come eredità una legittima dose di rancore inevitabile contro la vecchia azienda francese che li ha lasciati per strada ma anche con quella subentrata che non li ha voluti e ne ha preferito  monetizzare l’uscita. Ovviamente con il solito carico di strumentalizzazioni  da chi aveva  altri fini o conti personali in sospeso con l’azienda di Bologna.

A volte penso che il Conad sia un po’ come la Juventus.  E lo dico da interista. I risultati ottenuti la segnalano come la più forte squadra italiana ma questo produce inevitabilmente sacche, più o meno numerose e scontate, di antipatia pregiudiziale.  Si dubita sugli arbitri, sulla stampa amica, sui rigori concessi e sulla trasparenza delle operazioni di mercato.

Il mondo del pallone si alimenta di tutto questo. Spesso i giornalisti di settore alimentano e amplificano queste chiacchiere. Alcuni di loro creano casi dove non ci sono per dimostrare di essere sul pezzo. Su Conad è successa un po’ la stessa cosa.

Poco importa se l’intera stampa nazionale, la politica e le istituzioni hanno salutato l’acquisizione di Auchan come un successo che ha accelerato la crescita del gruppo italiano  e ha salvaguardato migliaia di posti di lavoro. Il fatto che un’azienda italiana si sia fatto carico di gestire l’intera operazione dimostrando di esserne all’altezza sotto tutti i punti di vista non poteva non alimentare rancori, invidie e riaprire vecchie ferite.

È così mentre sui media infiamma la polemica sulla fuga delle multinazionali e sulle ferite che provocano al tessuto sociale ed economico del nostro Paese, Conad si appresta a chiudere  con il miglior risultato possibile e senza clamori la più importante operazione di M&A della grande distribuzione nazionale avendo capitalizzato al meglio gli evidenti vantaggi economici  e ridotto al minimo gli impatti occupazionali.

Nel caso di Bayer come in quello di Conad, il dato centrale da sottolineare è l’impegno di entrambe le imprese per cercare di rendere compatibile la gestione del proprio business e le decisioni che possono prevedere conseguenze sull’occupazione con i territori dove sono insediati, le comunità di riferimento e il ricollocamento dei propri occupati.

In Bayer c’è una storia consolidata di relazioni sindacali e di gestione degli impatti che ha radici profonde. Nel caso di Conad, pur in presenza di numeri e di problematiche più complesse, queste relazioni non c’erano e questo ha pesato sulla qualità e sui contenuti del negoziato.

Sono quindi tutte da costruire sia all’interno del prossimo rinnovo del CCNL magari prendendo spunto dal recente rinnovo del contratto nazionale dei dirigenti del terziario in tema di strumenti di politiche attive ma anche a partire da questa operazione che, se colta nella sua essenza vera, può costituire un punto di svolta per tutta la grande distribuzione. 

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2 risposte a “Grande Distribuzione, politiche attive, ricollocamento degli esuberi. Il caso Conad/Auchan”

  1. Gli oltre 3.000 dipendenti che “spintaneamente” sono stati costretti a uscire dall’ azienda perché per Conad erano esubero, ringraziano sentitamente il Governo per la brillante partecipazione perché ciò accadesse, Auchan e Conad per il profondo “senso etico” dimostrato nell’ operazione, i sindacati per il fattivo contributo con una lotta dura senza se e senza ma affinché i lavoratori venissero tutelati adeguatamente, i mass media e i giornalisti come il sig. Sassi, per avere tenuto vivo i riflettori su questa operazione che ha messo in mezzo alla strada 3.000 persone, centinaia di lavoratori dell’ indotto, le relative famiglie.
    Questa è l’ Italietta rappresentata molto bene nella canzone “La terra dei cachi”.
    ……..e vissero tutti felici e contenti………. tranne gli appediati……………

    1. È un punto di vista che non condivido ma rispetto. Auchan in Italia era finita da tempo. Non è un caso che se ne è andata in tutta fretta dopo aver incentivato essa stessa uscite per diversi anni. Nessuno ha mai detto nulla su questo. Conad ha fatto un’operazione conveniente sul piano economico mettendo però in sicurezza la stragrande maggioranza degli addetti. Insufficiente per chi se ne è dovuto andare contro voglia, importante per gli altri.

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