Il confronto europeo sull’economia delle competenze

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La promozione della qualità del lavoro attraverso le competenze è una delle modalità fondamentali che ci permettono di capire come i paesi europei hanno reagito alla crisi e quale sia stata, tra il 2007 ed il 2012, l’evoluzione dei rispettivi mercati del lavoro.
Il dato generale è che l’Europa a 27 ha provato a investire sulle competenze: le competenze elevate sono aumentate, mentre quelle medie e basse sono diminuite. Si tratta del dato medio e la valutazione è confortante: si esce dalla crisi con una maggiore qualità del lavoro. Tuttavia le differenze tra le scelte dei paesi europei sono macroscopiche. In Germania ed in Francia cresce l’occupazione tutta, con un peso molto maggiore delle competenze elevate, in Portogallo e nel Regno Unito crescono solo le alte professioni e cala l’occupazione di medio e basso livello, in Irlanda, Grecia e Spagna cala ogni tipo di occupazione. L’Italia vive l’anomalia di un quinquennio di crisi in cui cala l’occupazione di medio ed alto livello, ma aumenta quella di basso livello. L’Italia dunque non è allineata con l’Europa a 27, sembra anzi fare proprio il contrario, anche se molti osservatori parlano più di una “ mancata risposta” che non di risposta sbagliata o diversa.
Vi sono distanze fra settori, comparti produttivi, territori e distretti, ma il rapporto italiano tra competenze e mercato del lavoro mostra una tendenza chiara, con una polarizzazione che prevede una crescita maggiore delle professioni elementari e una crescita delle competenze più elevate, ridotta ma da valutare con attenzione. Si dovrebbe determinare entro il 2015 un aumento fino al 14 per cento delle professioni non qualificate, con un aumento più limitato delle professioni ad elevata specializzazione ( 5 per cento) e delle professioni qualificate nel terziario e nei servizi ( 3,5 per cento).
Si va definendo un sistema binario, che vede la riduzione dello spazio delle professioni con competenze intermedie, o poco specialistiche, e la crescita parallela delle professioni con alte competenze e di quelle con competenze basse o elementari. Questo cambiamento può produrre rischi forti di disagio sociale e di separazione tra i ceti e non appare adeguatamente affrontato dall’Unione, sensibile soprattutto all’emergenza finanziaria e al problema del debito. La polarizzazione del lavoro è destinata ad avere impatto sulla tenuta sociale e sulla stessa organizzazione della rappresentanza e della democrazia del lavoro.
Uno dei temi principali del nuovo secolo sarà la dialettica tra detentori o meno di competenze. Un altro aspetto interessante, segnalato dai ricercatori, è lo sviluppo di professionalità non routinarie, ossia non rimpiazzabili dall’innovazione tecnologica. E’ evidente peraltro che in questa fase la domanda di competenze elevate è inferiore all’offerta. In Italia il fenomeno è molto presente, con i noti rischi di sottoinquadramento. Il rapporto tra titolo di studio ed occupazione mostra che il sottoinquadramento è diffuso. Se confrontiamo i dati prima e dopo la crisi, anche in Italia il tasso di disoccupazione diminuisce man mano cresce il titolo di studio, anche se con una differenza tra uomini e donne. Poiché nello stesso periodo è aumentato il lavoro di minore qualità e diminuito quello di maggiore qualità, appare evidente come molti diplomati e laureati italiani svolgano mansioni inferiori al titolo di studio e, in molti casi, anche alle competenze acquisite.
È chiaro che la capacità competitiva dell’economia italiana dipende molto dalla connessione fra sistema produttivo e domanda di competenze più elevate, presente nel resto d’Europa. Come si è visto, l’Italia è ancora disallineata rispetto al trend europeo : con il polo delle competenze elevate fermo o in calo e quello delle competenze elementari che invece cresce. Questo è uno degli snodi da affrontare : poiché il nostro sistema non premia le competenze elevate assistiamo da alcuni anni a una “fuga di competenze” verso altri paesi europei e a una pericolosa diminuzione del livello nazionale di competenze. Ciò indebolisce e ci fa trovare impreparati nel momento della possibile ripresa, che sarà dominata dai Paesi in grado di determinare e richiedere competenze diffuse ed articolate.
L’aumento del peso specifico del terziario nell’economia italiana rende urgente un innalzamento delle competenze in questo settore.
Solo una forte spinta innovativa che parta dal terziario e coinvolga il manifatturiero tradizionale delle piccole imprese può infatti generare un aumento della domanda di competenze elevate. Non si tratta solo di aumentare gli investimenti per la formazione ed il lavoro, ma anche di collegare questi investimenti a servizi in grado di dare impulso a qualità e opportunità di lavoro.

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