Il sindacato dei cittadini..

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Giorgio Benvenuto ne aveva accarezzato per primo l’intuizione. La sua organizzazione sindacale, la UIL, nel congresso di Firenze nel novembre 1985 si dichiarò “il sindacato dei cittadini” cercando di valorizzare il ruolo del sindacato anche fuori dal luogo di lavoro nella difesa dei diritti dei lavoratori.

Non poteva immaginare che 35 anni dopo, nel bel mezzo di una rivoluzione pacifica quanto caotica che avrebbe infiammato il nostro Paese, un movimento di nuovo conio si sarebbe impossessato della sua idea per contrapporla al Sistema.

“Cittadini 1, Sistema 0” ha esclamato Luigi Di Maio, capo politico dei 5S, Ministro del lavoro e dello Sviluppo Economico immediatamente dopo l’approvazione al Senato del suo “Decreto Dignità”. Dietro a tutto questo c’è l’idea del cittadino che, privato dei diritti più elementari, a cominciare dal lavoro, prende coscienza del suo stato e inizia ad imporre, tramite il Movimento, nuove regole di convivenza e nuove priorità indipendentemente dal contesto economico politico e sociale nel quale il nostro Paese è inserito.

Non a caso emerge sia la volontà di colpevolizzare tutti coloro che hanno tratto vantaggi dal Sistema precedente e quindi la determinazione nell’offrire alla pubblica opinione le punizioni necessarie a placarne la rabbia e la delusione di esserne stati esclusi.

Da qui, l’aereo di Renzi, il suo mutuo per acquistare la nuova casa, il rifiuto del confronto con esponenti politici di altri partiti e via discorrendo. Da qui la reprimenda alle imprese scorrette che sfruttano la precarietà o che delocalizzano che però  di fatto consente una generalizzazione contro l’intero mondo delle imprese indicato come ripiegato sui suoi interessi e indifferente ai problemi della società e dei giovani.

Il messaggio è chiaro. “Adesso ci pensiamo noi” a mettere in riga tutti coloro che pensano di poter lucrare sulle loro rendite di posizione acquisite in passato. “Siamo noi il sindacato dei cittadini”. Del cittadino imprenditore così come del cittadino lavoratore. Altro che corpi intermedi. Uno vale uno.

Così intorno al tavolo dell’ILVA si invitano e si siedono 62 rappresentanti di movimenti e istituzioni che hanno pesi ben differenti nella vicenda ma che servono per ridisegnare la mappa della rappresentanza. Uno vale uno.

“Oggi stiamo facendo la Storia”. L’enfasi, le dichiarazioni e le loro proposte respinte come ridicole, inconsistenti o infantili dall’establishment raggiungono una base che, al contrario, le apprezza e le condivide mantenendo così sempre alto il consenso elettorale.

Alla TAV si contrappongono le esigenze dei pendolari. Alle imprese che non stabilizzano i contratti a tempo determinato l’ aumento dell’indennizzo di licenziamento di un lavoratore di una multinazionale o di un centro commerciale.

Mentre nel Governo c’è chi tenta di mantenere un volto presentabile alla comunità economica internazionale dentro i confini nazionali  la talpa continua a scavare puntando dritta ai pochi pilastri che reggono un Sistema la cui credibilità è già in crisi per la manifesta incapacità di uscire dalla morsa del debito pubblico che sarà stato pure prodotto da chi li ha preceduti ma che è la cartina di tornasole che rischia di allontanare   investitori e spaventare i risparmiatori.

Dall’altra parte la Lega di Salvini che marcia decisa nella sua direzione sovranista giocando però di sponda con il Sistema. Essendo un movimento di destra autentico non nutre forti preoccupazioni per questi “quattro ragazzi” che manifestano idee strampalate. D’altra parte, per il momento i due elettorati si sopportano senza troppi problemi perché caricati a molla contro il passato e, soprattutto contro il PD.

Un Sistema, però, che dal suo interno, a cominciare dal mondo delle imprese del nord, sta lanciando segnali di forte preoccupazione perché comprende i rischi in chiave economica di ciò a cui si sta andando incontro per niente bilanciati dai vantaggi politici. Per il momento sembra che Salvini si limiti a fare spallucce troppo occupato a mettere a terra la sua strategia.

Ma le aziende hanno bisogno di crescere e di competere e non c’è al momento sulla piazza un movimento sindacale che morde ai polpacci, anzi, c’è voglia di collaborazione. Il mondo delle imprese è in difficoltà e teme che tutta questa incertezza metta piombo nelle ali della nostra economia. Teme le possibili speculazioni sul nostro Paese.

Teme che una politica che tenda inevitabilmente ad isolarsi per restare dura e pura venga messa alle corde con contraccolpi pesanti che possano pregiudicare il loro futuro. Ed è su questo che, ad esempio, Confindustria e Confcommercio lanciano allarmi come mai in passato.

Da qui il rischio che l’autunno si scaldi sul fronte dell’impresa, il passo è breve.  Occasioni non ne mancheranno sia per le vertenze aperte sia per le risorse scarse.

La campanella, quella che indica che la ricreazione è finita, sta per suonare. 

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