Imprese e costi energetici. Occorre prepararsi al peggio…

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Sinceramente mi è difficile comprendere la spasmodica ricerca in corso di tutte le scorciatoie possibili quanto vane per risolvere la crisi legata all’approvvigionamento di energia. Le inevitabili ripercussioni sui costi erano stati  previsti nella loro gravità fin da quando i consumi in Cina ne fecero crescere la domanda in modo così rapido da scatenare una corsa agli acquisti, in particolare tra Asia ed Europa.

C’è anche chi c’è arrivato dopo. “Distratti” dalla pandemia e dalle sue conseguenze pochi hanno pensato di coinvolgere il Paese sulla gravità della situazione che si andava profilando all’orizzonte. La guerra scatenata da Putin ne ha poi fatto volare ulteriormente in prezzi in Europa. Il conto, per le famiglie e le imprese, non è  tardato ad arrivare. E non è certo finita qui.

Due ondate (pandemia e crisi energetica) condite da una ripresa inflazionistica seria che, in campagna elettorale, fanno da sfondo ad accuse reciproche e promesse di risarcimenti a piè di lista che rischiano di provocare un brusco risveglio post elettorale al nostro Paese. Nessuno sembra voler fare i conti con il cambio di fase del quale siamo ormai diventati  protagonisti più o meno consapevoli. Vecchia o nuova, la cosiddetta normalità non esiste più. Imprese e lavoratori sono con le spalle al muro.

L’assalto alla diligenza dei conti pubblici durante la campagna elettorale è un dejà vu e forse non basterà l’ostinazione puntuale di  Draghi contro lo scostamento di bilancio invocato dagli interpreti del  populismo nostrano. Anzi c’è chi lo asseconda sperando di guadagnare spazio sui media  con iniziative perlomeno discutibili come quella di abbassare le luci per protesta per pochi minuti o esporre le bollette energetiche in vetrina. Iniziative queste  decisamente ingenue quanto inutili. La vera forza di una rappresentanza di imprese è nella sua unità. Nel poter parlare sempre con una voce sola. Non dire in tanti le stesse cose. Marciare divisi per colpire uniti non basta più. Le divisioni sono un “lusso” del novecento. Non è mai troppo tardi per ricordarlo. 

Tutte le categorie “pretendono” ristori immediati. Energivore o meno tutti vogliono sostegni economici scambiando però il dito con la luna. Anche quelle, associazioni di impresa comprese, che vagheggiavano una transitorietà del fenomeno inflativo e quindi la necessità di semplici interventi tampone. La coperta è corta e non basta  provare a tirarla dalla propria parte. La tecnica utilizzata  è sempre quella. Quando un evento esterno (pandemia, guerra, clima, ecc.) evoca possibili pesanti conseguenze al sistema e alle sue dinamiche la reazione pavloviana porta innanzitutto ad annunciare sfracelli in arrivo.

Il caso, ad esempio, della ripresa post pandemia è lì a dimostrare che la paura dei sindacati di licenziamenti di massa causati dalla fine del loro blocco si è poi dimostrata una bufala. Come gli annunci, praticamente ad ogni ripresa post feriale, di ipotetici “autunni caldi” in arrivo nel solco della favola “al lupo, al lupo!” Prima o poi succederà di nuovo ma le condizioni che hanno determinato quel fenomeno sociale  non ci sono. Né ci sono segnali premonitori che nel 1969 erano ben presenti e ne precedettero l’esplosione. L’Italia, allora era  il Paese in Europa col più alto livello di conflittualità. Il quasi raddoppio  di adesioni alle organizzazioni sindacali ne costituì un segnale evidente. Quindi nessun autunno caldo in arrivo.

L’anomalia di questo autunno è che, il Governo che uscirà da queste elezioni, dovrà gestire le conseguenze economiche e sociali prodotte dal contesto e aggravate dalla guerra in corso ai confini dell’Europa. Inflazione, costi dell’energia e possibili razionamenti della stessa infiammano la discussione sui media e preannunciano difficoltà per le imprese e conseguenze sul lavoro e quindi sui redditi. Nessuno però sta  preparando il Paese al peggio. Eppure è evidente che i consumi, a cominciare dall’energia,  andranno significativamente ridotti. Questo non significa solo preparare il Paese ad un inverno più freddo ma anche più sobrio, più concentrato sull’essenziale. Meno consumistico. E non credo che l’orizzonte si possa limitare ad una stagione.

È chiaro che le fasce più deboli della popolazione andranno sostenute economicamente. L’inflazione è una brutta bestia in particolare modo per i redditi bassi. Così come le imprese per le quali vanno individuati una serie di meccanismi di sostegno. Non si possono però sprecare risorse a pioggia. Né accontentare tutti. Quello che dovrebbe essere chiaro è che la pandemia prima e la crisi energetica ora sono segnali premonitori quanto evidenti di un cambiamento strutturale in corso. Le ragioni geopolitiche che lo provocano non fanno presagire ritorni ad una qualsivoglia  precedente normalità. Quindi limitarsi a scaricane le conseguenze sui conti pubblici significa precludersi ogni possibilità di futura ripresa.

C’è in atto anche una inevitabile “selezione” della specie. Chi riteneva che l’inflazione fosse un fenomeno transitorio e di semplice natura speculativa ha sbagliato i suoi conti. Per contrastare il caro-bollette non ci sono molte vie. Fondamentale è, innanzitutto, ridurre la domanda così come muoversi con una visione e interventi comuni a livello europeo e diversificando le fonti. I sussidi, fondamentali, devono però essere mirati e non a pioggia. Altrimenti non si andrà da nessuna parte. Ci aspettano restrizioni e razionamenti. Non scorciatoie temporali. E senza scordare i rischi di una possibile nuova crisi sanitaria legata ad una delle infinite varianti del virus.

Anche nella GDO questa crisi, che sarà lunga, farà inevitabilmente selezione.  E gli impatti non saranno tutti uguali sui diversi formati e sulle location. Un centro commerciale, un discount o un superstore non avranno le stesse conseguenze sui loro conti economici. Per ora di questo non c’è traccia. Oggi fa notizia la volontà di mettersi tutti insieme intorno ad un tavolo per far sentire la propria voce.  Bene. Adesso però occorrerebbe guadagnare un confronto di merito evitando le inutili passerelle pre elettorali in programma dove tutti danno ragione a tutti. L’obiettivo è provare ad evitare che, in diversi  contesti,  le luci volontariamente spente per quindici minuti si spengano per sempre.    

 

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