La grande distribuzione dopo il lockdown. Declina o rilancia sull’innovazione?

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È vero che Alessandro Manzoni nella sua opera “Del romanzo storico e, in genere, de i componimenti misti di storia e d’invenzione” ci ricorda che “Non tutto ciò che viene dopo è progresso” però una riflessione sullo stato dell’innovazione tecnologica e di servizio nella GDO sarebbe  necessaria.

L’etichetta di “moderna” applicata alla distribuzione ne ha caratterizzato la seconda metà del 900. Oggi quell’aggettivo sembra un po’ arrugginito. Ne ha  rappresentata la peculiarità e la differenza rispetto a quella più tradizionale identificata con i più piccoli, soprattutto singoli negozi destinati, per i più, ad un inevitabile declino.

Verso la fine del secolo scorso si era  determinato un salto di qualità importante in questo mondo che ha  sempre  corso il rischio di limitarsi ad osservare il proprio ombelico. È infatti dal 1995 (quasi un’era geologica) che i vari  Amazon, eBay e compagnia hanno fatto la loro comparsa sul mercato, segnando di fatto la nascita dell’e-commerce.

Da quel momento il contesto innovativo esterno ha cominciato ad accelerare molto più delle insegne della GDO che nel frattempo si sono limitate a consolidarsi sul territorio nazionale, contenere i costi per non sacrificare i margini,  differenziandosi nei formati e nelle insegne accettando  così, di fatto, l’idea che l’etichetta di “distribuzione moderna” fosse di nuovo contendibile indipendentemente dalla dimensione delle imprese e dal comparto di provenienza e lasciando l’innovazione tecnologica e organizzativa del settore come materie da affrontare solo nei convegni.

La distribuzione autodefinitasi  “moderna” quindi non solo ha faticato a comprendere una possibile nuova direzione di marcia ma anche chi ci ha provato non è riuscito a fare molta strada (per una questione di cultura, risorse umane ed economiche) con ciò che la rete e l’innovazione tecnologica potenzialmente metteva loro a disposizione.

Ci è voluto il lockdown per accorgersi del problema vero. L’innovazione tecnologica e di servizio  al cliente cambia le regole del gioco, consente di scavalcare punti strategici della filiera rendendo così contendibile sia il momento della decisione di acquisto che “l’ultimo miglio” e quindi inevitabilmente la relazione stessa con il cliente. Può farlo l’industria a monte, la logistica stessa ma anche chi fa del suo core business la semplice consegna a domicilio. Infine rimette in gioco i piccoli negozi specializzati a cui la rete può aprire il mondo a 360°. Quindi  l’intero  business diventa  contendibile da chiunque.

Qui nasce l’interrogativo. Cosa può fare la Grande Distribuzione? Ha la capacità di puntare su quello che, di fatto, è un  mestiere diverso di cui non ne possiede né capisce i fondamentali?   Emanuele Scarci ha scelto un titolo sull’acquisizione di Tannico da parte di Campari che mi ha fatto riflettere: “un affare o un bidone?”. 47 milioni per una una start up che dal 2016 al 2018 ha perso circa 4 milioni di euro. L’amico Mario Gasbarrino ha dato la sua spiegazione: “nel mondo di domani fisico ed online sono destinati a fondersi sempre più, sia sul versante del retail che produttivo. Non esistono aziende che abbiano competenze sui due fronti ed è chiaro che in futuro vedremo sempre più spesso ad aziende fisiche che comprano aziende online e viceversa (vedi Amazon con Whole Foods). Tuttavia dato che di aziende online ce ne sono poche, il loro prezzo è destinato a salire”.

Se, in questo caso si tratterà di “Affare o bidone” lo vedremo ma il problema è sul tavolo. E questa operazione segnala comunque un salto di qualità. C’è arrivata la Campari mentre le aziende della GDO arrancavano alla ricerca di esperti della materia da introdurre nel proprio organico quasi fosse quello il problema e non un cambio di approccio dell’impresa stessa.

L’innovazione, quella vera, non è fare le cose di sempre in modo nuovo ma fare cose nuove in modo nuovo. Impone un salto culturale, una revisione dei processi, del peso della ricerca e sviluppo  interna e delle professionalità  che non si vede ancora.

In tutti questi anni l’ultimo miglio, quello tra il negozio e la casa lo ha sempre percorso, di fatto,  il cliente con le sue gambe. La consegna a domicilio è sempre stata accessoria per la GDO. La tecnologia e la rete hanno via via occupato questo spazio mettendosi d fatto in concorrenza con il negozio grande o piccolo e stravolgendo le regole del gioco. Che si tratti di Amazon, di Tannico, di Cortilia o dei gruppi di acquisto solidale questo spazio è aperto a tutti. Non solo Campari. Il gruppo Lactalis (Galbani e Parmalat) e molte altre aziende produttrici ci stanno provando. Solo la GDO sembra inchiodata all’eterna discussione da convegno tra negozio fisico e virtuale. Non solo.

25 anni sembra non abbiano insegnato nulla e c’è voluto il lockdown per dimostrare che oltre al momento della consegna anche quello della decisione di acquisto stanno mutando di segno. Praticamente già presidiati  dai player logistici nel non alimentare ma con ottime probabilità di replicarsi in un tempo ragionevole anche nell’alimentare a 360°. La grande distribuzione rischia di essere spinta in una posizione di semplice difesa dell’esistente.

L’intero  Retail, quindi, tra post lockdown, incertezze economiche, cambiamenti negli stili di vita e nuove tecnologie  deve  decidere come affrontare il modo nuovo la relazione con i clienti. Un contesto sempre più “phygital” dove potersi muovere con semplicità e naturalezza. Facile a dirsi, difficile da farsi.

L’obiettivo diventa quindi la capacità di garantire ai consumatori un’esperienza coerente tra fisico e digitale anche attraverso la digital transformation. Solo così sarà possibile analizzare il comportamento d’acquisto degli utenti, sviluppare nuovi modelli di relazione e realizzare ambienti di vendita più coinvolgenti per il cliente. Senza dimenticare le ricadute qualitative e quantitative sulle risorse umane.

Il declino o il rilancio passa anche da qui. Non solo nel rivendicare giuste regole del gioco uguale per tutti i competitor vecchi e nuovi. La GDO se non prosegue nei processi di concentrazione, innovazione tecnologica e trasformazione organizzativa rischia di finire come la famosa rana bollita della storia. 

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