La grande distribuzione non può reggere da sola il virus del panico sociale

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Il Coronavirus costringe a scelte drammatiche. Stare chiusi in casa per evitare l’espandersi del contagio è fondamentale. Ma, a mio modesto parere,  sarebbe altrettanto fondamentale tenere accesa la macchina produttiva. Ieri un  sindacalista ha affermato che fatica a pensare che acque minerali o merendine siano così imprescindibili per una dozzina di giorni. Ecco forse qui sta il punto.

Saper distinguere ciò che è tutela della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro da ciò che, se non valutato in maniera scevra da pregiudizi, può contribuire a provocare molti più danni di quelli che intende evitare.

Innanzitutto il metodo. Al Governo e ai sindacati è stato affidato il compito di decidere cosa è essenziale e cosa non lo è. Non cosa è essenziale in termini di sicurezza dei lavoratori. E questo è stato un errore. Nessuno credo contesti che la salute e la sicurezza vengano prima del lavoro, dell’impresa  e del reddito ma separare gli aspetti del problema stabilendone una loro incompatibilità a prescindere potrebbe essere una decisione che saremo destinati a pagare molto caro tra non molto.

Sidacato e istituzioni rischiano di sottovalutare un punto fondamentale anche perché chiudere le fabbriche e mettere in sicurezza il reddito da lavoro dipendente è immediato. Il nostro Paese è abituato agli automatismi di protezione sociale sul versante del lavoro  dipendente. Non ha però strumenti né visione sul lavoro nero, sui lavoratori autonomi, sulle professioni e sulle aree problematiche del disagio sociale.

Guido Crosetto pone un tema ineludibile. Per molte famiglie i soldi stanno finendo. Noi vediamo le code davanti ai supermercati. Ne discutiamo la congruenza. Non siamo abituati a fare i conti con le code di invisibili alla Caritas. Né se queste dovessero riversarsi altrove.

Le prime ci sembrano assurde, figlie di una paura irrazionale. Giudichiamo i comportamenti di chi le anima. E come questo impatta sui lavoratori  della grande distribuzione. Del rischio di diffusione del Coronavirus per gli inevitabili assembramenti.

Concentrarsi sul problema principale è fondamentale ma rischia di spingerci tutti a fare lo stesso mestiere. A giocare nello stesso ruolo. A non immaginare l’evoluzione e le urgenze di ciascuno dei soggetti sociali in campo. visibili e invisibili. 

Ascoltiamo la quotidiana contabilità dei morti, le curve di crescita o di decrescita del contagio, gli effetti nel mondo. Misuriamo vittoria e sconfitta con i parametri di chi ce la fa comunque. Ci commuoviamo e ci indigniamo per i comportamenti che ci passano davanti. Non vediamo i drammi che avanzano nella pancia della nostra società.

I negozi chiusi da tempo con chi ci lavora senza reddito, la paura di non poter più riprendere la propria attività, l’effetto psicologico ed economico dei rinvii e non la soppressione delle scadenze di pagamento. Gli impegni economici delle famiglie che non possono essere onorati.

L’accaparramento è il segnale più evidente di questa fase. Fortunatamente la GDO sta tenendo sotto controllo le speculazioni sui prezzi. I segnali di un loro contenimento nei prossimi mesi sono importanti.

Ma la talpa dell’incertezza sta scavando e lacerando ogni giorno di più la tenuta del nostro tessuto sociale. Per molte persone al problema della possibile perdita del lavoro si sta aggiungendo il problema del reddito disponibile. Che si sta drammaticamente esaurendo in molte situazioni.

Non voglio enfatizzare ciò che è successo a Palermo ma è necessario riflettere su quello che potrà succedere se questa situazione dovesse continuare nel tempo e le risposte delle istituzioni dimostrarsi insufficienti o inadeguate.

La GDO ha avuto un ruolo decisivo nel contenere il panico sociale. Si è trovata sola con i propri addetti ad affrontare la paura della scarsità improvvisa che ha pervaso l’intera comunità. Ha retto bene grazie all’abnegazione della stragrande maggioranza di loro. Purtroppo non è finita qui.

Di fronte al perdurarsi della crisi la grande distribuzione si potrà trovare sola a reggere i drammi sociali che nel frattempo la situazione potrebbe generare soprattutto nelle periferie delle aree metropolitane o dove il lavoro nero era ed è fonte primaria di reddito. Occorre prepararsi.

Ma la GDO non può essere lasciata sola ancora una volta. Né subirne le conseguenze per una sottovalutazione da parte della politica e delle istituzioni. E questi scenari purtroppo possibili vanno studiati, anticipati e trovate, insieme alle istituzioni, risposte adeguate. E non lo possono fare le singole aziende. Occorre muoversi.

Nell’immediato perché i rischi sociali sono evidenti ma anche nel medio periodo perché è  chiaro  che non ci potranno essere risorse a pioggia per tutti e questo determinerà inevitabilmente “vincenti e perdenti” prodotti  da questa situazione. Con tutte le conseguenze del caso. 

E le scelte, che vanno fatte fin da subito, accompagneranno inevitabilmente, il lungo periodo di ritorno ad una presunta normalità. Non c’è un prima e un dopo. Ci sono scelte o non scelte che determineranno il dopo.

Tenere fermo l’intero sistema produttivo senza articolarne la ripartenza nei tempi e nelle modalità, al di là dei codici ateco, è un errore che rischiamo di pagare molto caro. Così come sottovalutare il problema del reddito disponibile  in diverse realtà del Paese.

Sul primo il dialogo tra Confindustria e il sindacato deve riprendere il più rapidamente possibile. Sul secondo la GDO deve muoversi con decisione  confrontandosi unitariamente con le istituzioni nazionali e locali per trovare risposte adeguate di gestione della crisi che non la espongano a conseguenze immaginabili e quindi assolutamente da evitare. 

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Una risposta a “La grande distribuzione non può reggere da sola il virus del panico sociale”

  1. Ottima analisi del periodo storico che stiamo vivendo, dopo altre emergenze grandi che abbiamo vissuto ma localizzate, come i vari terremoti dell’Irpinia, del Friuli e dell’Abruzzo,Marche e Umbria, questa pandemia è il prodotto della globalizzazione, nessuno ne è scampato, tranne un paesino vicino Pavia.
    Il discorso del ritornare alla vita frenetica precedente velocemente, penso interessi maggiormente alla fascia medio alta della popolazione italiana, perché la fascia bassa con pochi soldi era e pochi soldi avrà anche dopo la riapertura di tutte le aziende, bar, ristoranti e centri commerciali.
    Ma la Cina, il Giappone e la Corea non insegna niente? Alle normalità ci si arriverà, ma con molta gradualità e senza fare festeggiamenti, nel silenzio e tenendo gli altri a debita distanza. Si continuerà ad usare le mascherine per uno o due mesi in luoghi pubblici come supermercati e centri commerciali. Forse si imparerà a rispettare gli altri come fanno in Thailandia, Korea e Giappone, al primo raffreddore o tosse, mascherina obbligatoria. Soprattutto nei luoghi di lavoro e nei trasporti pubblici compresi gli aerei.
    Volevo fare un commento sulla GDO, che in questo periodo sopperisce alla chiusura dei ristoranti e vende molto di più. Non tutte le aziende perderanno denaro, c’è ne saranno molte che aumenteranno molto i loro ricavi, agroalimentare, aziende chimiche, in pratica le 80 attività della lista di Conte, inclusi purtroppo le onoranze funebri.
    Chi lavora in nero al sud in agricoltura e nel turismo non avrà la cassa integrazione e dovranno accontentarsi della Postepay del reddito di cittadinanza.

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