La trasformazione del lavoro tra vecchie rigidità e nuove fragilità

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“Se non sono disposto a pagarla quanto costa se trasportata da un fattorino pagato “il giusto” … me la vado a mangiare all’angolo .. o mi preparo due pomodori col basilico. Che ho pagato quanto serve a remunerare profitto e salari regolari. Semplice”. Fino a qui il tweet di Fabrizio Barca. Ovviamente senza pensare che, pomodori e basilico, vengono magari dall’agro nocerino-sarnese dove a raccoglierli c’è un immigrato di cui non interessa a nessuno la sua retribuzione. Il montatore dei mobili, il consegnatario della spesa a domicilio, il postino 4.0, lo studente che da ripetizioni, il minorenne che porta il caffé e via discorrendo non si percepiscono  come lavoratori.

E’ singolare come la trasformazione del lavoro venga colta da una parte della classe dirigente di cultura novecentesca con reazioni, tutto sommato, scontate. Da Annamaria  Furlan della CISL che non ha mai frequentato un outlet alla domenica e che giudica negativamente chi sceglie di fare shopping i giorni festivi a Fabrizio Barca che rimpiange il vecchio e sano fattorino che, però, da parte sua non ha mai pensato di utilizzare.

E’ ovviamente una cultura rispettabile ma minoritaria che fatica a misurarsi con i cambiamenti in corso e quindi cerca nel passato risposte comunque insufficienti. Manzoni ci ricorda, giustamente, che “non sempre ciò che viene dopo è progresso” ma i cambiamenti non si esorcizzano negandoli. O interpretandoli con categorie superate.

Per la nostra generazione il lavoro ha sempre avuto bisogno di un luogo, di un tempo e di una sua specifica remunerazione. Oggi il lavoro insegue il lavoratore, ne dilata il tempo rendendo labili i confini con il resto della vita privata e lo retribuisce in forme sempre meno riconducibili alle logiche fordiste.

La Gig Economy è solo al punta dell’iceberg. La trasformazione in corso sbriciolerà le certezze del secolo che abbiamo alle spalle che, intorno al concetto di “posto di lavoro” si era costruita e fortificata. E che aveva consentito l’affermazione dei corpi intermedi.

Tipologie, tempi e remunerazione si personalizzeranno sempre di più e le variabili che ne determineranno i contenuti e le prospettive saranno sempre più in carico ai singoli individui. Il lavoro non si dividerà in sicuro e precario ma sarà sicuro o precario se verrà  accompagnato o meno da un sistema di supporto e da un contesto totalmente da adeguare.

Pensare di contrastare questo fenomeno con lo specchietto retrovisore è legittimo quanto ingenuo. L’evoluzione dei modelli di business indotta dalle potenzialità della rete non si fermerà buttando un po’ di sabbia negli ingranaggi ma accompagnando questa evoluzione, costruendo il welfare necessario, individuando una soglia di diritti indiscutibili in capo alle persone e sostenendole nel loro percorso professionale.

Le nuove disuguaglianze sociali non si risolvono trasformando tutti in lavoratori dipendenti, inquadrati nei vecchi contratti e supportati da un welfare inadeguato e non più estendibile alle nuove generazioni. Dario Di Vico ha ragione a sollevare il tema e a inserirlo nel suo percorso di riflessione sulle disuguaglianze che rischiano di lacerare irreparabilmente il rapporto tra le differenti generazioni ( bit.ly/2yobpEn ).

Il neo Ministro del lavoro ha sollevato un problema vero a cui vanno trovate risposte. La vicenda, però, non deve trasformarsi in un tema da scontro politico tra chi ha vinto e chi ha perso il recente confronto elettorale. Ne può essere rinchiusa in vecchie logiche negoziali.

E’ un tema che implica un lavoro paziente di ricucitura tra esigenze di tutela innovative e un modello di business specifico. Continuo a pensare che i rider non sono lavoratori subordinati e quindi andrebbero meglio esplorate le esperienze francesi o spagnole. Le aziende stesse hanno interesse a porsi all’interno di una strategia internazionale credibile e praticabile ne va del loro business in tutto il continente.

Non esiste una soluzione all’italiana. Esiste un percorso nuovo da individuare. Forse il compito del Ministro è proprio quello di aiutare l’emergere di questo nuovo approccio sia in termini di contenuto che di modalità di confronto.  Ed è su questo che si misurerà la sua credibilità.

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