Le organizzazioni di rappresentanza tra strategia e tattica

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Nel film il Papa Re di Luigi Magni  monsignor Colombo magistralmente interpretato da Nino Manfredi afferma: “È certo che c’hanno torto, ma mica è detto che per questo c’avemo ragione noi”. Deve essere questa la sensazione che ha attraversato gli imprenditori dopo il discorso di Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria, ieri a Vicenza.

La preoccupazione sulle decisioni del Governo in materia di impresa e lavoro è molto forte, così come la sensazione che i continui ribaltamenti di fronte proposti dagli stessi vertici confindustriali rischiano di non approdare a nulla. C’è disorientamento, questo è certo.

Dario Di Vico lo ha colto immediatamente (http://bit.ly/2xPE2Yf). Le preoccupazioni indotte dalla possibile affermazione delle tesi grilline, le deboli reazioni dell’Europa preoccupate più del contagio in vista delle elezioni europee del prossimo anno, il nervosismo e la vacuità delle opposizioni che non riescono a metabolizzare il senso della sconfitta del 4 marzo, inducono alla cautela l’intero mondo della rappresentanza.

Un Governo che ha nel suo DNA la disintermediazione quindi la volontà di rappresentare e interpretare in prima persona  il popolo non è un interlocutore da sottovalutare. Accorgersi poi che una parte consistente dei propri associati ha scelto movimenti politici che per loro natura non amano i corpi intermedi è stato un duro colpo. Da qui le improvvise accelerazioni accompagnate da retromarce altrettante rapide.

Certo colpisce l’endorsement alla Lega del suo Presidente Boccia  in quel di Vicenza. Ma lo sconcerto e la preoccupazione nei confronti dei grillini per la loro cultura antindustriale e punitiva nei confronti dell’impresa sono molto più forti tra gli imprenditori.

Così come la convinzione che la fragilità dell’opposizione non fa prevedere alcun cambiamento positivo a breve. Quindi l’obiettivo è probabilmente quello di stemperare i toni, sperando di far emergere nel Governo qualche contraddizione. Credo che l’appello alla Lega e alla sua capacità di comprendere le esigenze delle imprese vada letto in questo contesto.

Siamo però nel campo della tattica e Dario Di Vico fa bene a sottolinearlo. La strategia è un’altra cosa. Qui sta il punto per l’intero mondo della rappresentanza.

Credo che tutti i corpi intermedi convergano, almeno a parole,  sulle priorità del nostro Paese, sulla sua collocazione in Europa, sulla necessità di riprendere a crescere e di relazionarci positivamente con le economie dalle quali dipendiamo sia per le esportazioni che per l’appartenenza alle filiere globali. Il mondo delle imprese e quello del lavoro sanno benissimo che questa direzione di marcia necessita di un diverso rapporto nelle filiere dalla produzione al consumo, di risorse adeguate da non sprecare sia in direzione di una qualificazione della spesa pubblica (scuola, welfare e lavoro) recuperando sprechi ed evasione fiscale che di un sistema efficace di relazioni industriali.

Tutto questo non c’è nei programmi del Governo ma non c’è stato, fino a prima del 4 marzo,  in misura credibile neanche in quelli di chi oggi è all’opposizione. La diffidenza delle rispettive basi sta tutta qua. E le parole, purtroppo,  non servono a colmare il gap di credibilità perduta.

Però  stare fermi in attesa di qualcosa che non succederà o appoggiare tatticamente il male minore sono entrambi segni di debolezza. E questo è il bivio di fronte al quale sono oggi tutte le organizzazioni di rappresentanza.

Declinare  mostrando gli inevitabili segni del tempo magari accontentandosi dell’interlocuzione offerta da chi ha una strategia rischiosa d’attacco e di cambiamento profondo sia in Europa che in Italia o reagire aprendo una nuova stagione dove la necessaria autonomia dalla politica non è indifferenza rispetto alle opzioni possibili. Il 2019 sarà un anno importante.

Le elezioni europee rischiano di consolidare un quadro di incertezza nel quale le istanze della rappresentanza sociale ed economica potrebbero perdere di mordente e di significato.

È vero che l’intero quadro politico non offre per ora sponde credibili ma il mondo delle imprese e del lavoro sarà certamente, e presto, chiamato a prove difficili come è già successo nel passato.

Solo per questo più che inseguire la politica sul suo terreno occorrerebbe individuare alcun punti fermi condividerli insieme costringendo così la politica ad una forte assunzione di responsabilità tesa a fermare l’inevitabile declino che altrimenti ci attende.

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