Lavoro, retribuzioni e reddito, oggi in Italia: un aggiornamento dei dati disponibili

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Nel Gennaio scorso abbiamo esaminato le tematiche delle retribuzioni e della distribuzione del reddito alla luce di tutti i dati disponibili, prevalentemente dell’Istat, pubblicati nel 2011.

Allora si delineava un andamento nella distribuzione del reddito, dei salari, del risparmio e dei consumi di tendenziale impoverimento della popolazione italiana, in un contesto di crescenti divaricazioni tra le punte minime e massime di ciascun fondamentale.

Oggi, –  alla luce dei preoccupanti allarmi dell’Istat sul divario salario – prezzi che segna un livello record per gli ultimi 15 anni, ed ai dati dell’Ocse sugli stipendi e salari in Italia, rapportati a quelli degli altri paesi aderenti a tale organizzazione – pensiamo sia opportuno aggiornare l’esame che facemmo nei primi giorni dell’anno in corso.

Questo ci aiuterà a capire meglio la situazione economico sociale del nostro paese, soprattutto in rapporto alla crisi economica che dura ormai da 5 anni, ci colpisce particolarmente e sembra non declinare. 

Ma vediamo in premessa i campanelli d’allarme suonati in questi giorni.

Il primo è rappresentato dai dati dell’Istat sulle retribuzioni contrattuali che a Marzo 2012 registrano una differenza del 2,1% tra aumenti retributivi (+1,2%) e tasso di inflazione su base annua (+3,3%).

Per trovare una differenza così ampia bisogna risalire almeno al 1983 (anno di avvio di queste rilevazioni).

E’ da notare che, mentre le retribuzioni orarie crescono dell’1,7% nel settore privato, hanno invece una crescita nulla nell’agricoltura, nella pubblica amministrazione, nel credito e nelle assicurazioni.

Da un lato quindi l’Istat ci dice che le retribuzioni non reggono l’aumento dell’inflazione, mentre dall’altro, dati negativi arrivano dal Rapporto annuale dell’Ocse “Taxing wages”, secondo il quale la retribuzione netta media annua nel 2011 in Italia è al 23° posto su 34 con 19.034 € per un lavoratore single senza figli

Ma le retribuzioni sono tra le più basse d’Europa al netto, mentre al lordo sono praticamente nella media degli altri paesi.

Questo è l’effetto della tassazione del lavoro dipendente che vede il nostro paese al 6° posto per l’incidenza.

Il cuneo fiscale da noi (la differenza tra quanto paga il datore di lavoro e quanto entra in tasca del lavoratore, al netto di tasse e contributi sociali) è del 47,6%.

Su questo dato sono  ben 11 anni che l’Italia è sopra la media Ocse, di più del 10% l’anno.

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Ripercorriamo allora la situazione economica e del lavoro, con particolare attenzione ai temi delle retribuzioni e del reddito ed aggiornando il quadro, sopra citato, di fine 2011.

Per quanto riguarda il reddito e risparmio delle famiglie, nel 2011 la loro propensione al risparmio(rapporto tra il risparmio lordo delle famiglie e il loro reddito disponibile)  si è attestata al 12%, il valore più basso dal 1995, mentre il reddito disponibile  in valori correnti è aumentato del 2,1%;  se si tiene però conto dell’inflazione, il loro potere di acquisto nel 2011 è diminuito dello 0,5%.

Per  quanto riguarda i profitti delle società, nel 2011 la quota di profitto delle società non finanziarie (data dal rapporto tra il risultato lordo di gestione e il valore aggiunto lordo ai prezzi base) si è attestata al 40,4%, il valore più basso dal 1995, con un meno 1,1 percentuale rispetto all’anno precedente.

Nel 2011,  l’attività di investimento delle società non finanziarie è diminuita rispetto all’anno precedente; gli investimenti fissi lordi, che nel 2010 avevano visto un + 8%, sono aumentatisolo dell’1,6%.

Per quanto attiene  alla tematica del reddito e delle condizioni di vita, non ci sono ulteriori rapporti dell’Istat oltre a quello per l’anno 2010. Quindi per i dati sulla povertà, sull’esclusione sociale, sui rischi e sulle difficoltà economiche delle famiglie si rinvia all’articolo citato.

A questo riguardo sono importanti i dati  che cominciano ad emergere dal censimento 2011: tra il 2001 e il 2011 le famiglie residenti nel paese sono aumentate da 21.810.676 a 24.512.012.  Si è ridotto invece il numero medio dei componenti per famiglia da 2,6 a 2,4 persone.

Le abitazioni sono 28.863.604 , di cui 23.998.381 occupate da residenti. Le famiglie che risiedono in baracche, roulotte, tende ecc. sono 71.101, in forte aumento sul 2001 (erano 23.336).

Anche per quanto riguarda la struttura del costo del lavoro, purtroppo,  i Report dell’Istat si fermano allo studio,  pubblicato a fine settembre 2011,  sulle retribuzioni del 2008 e non ci sono ancora studi ed analisi sugli anni successivi.

Si rinvia quindi all’articolo citato per i dati analitici sulla composizione del costo del lavoro, sulle ore lavorate, sulle retribuzioni lorde e nette per i vari settori

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Sono invece aggiornati ad Aprile 2012 i dati sui contratti collettivi e retribuzioni contrattuali.  

Alla fine di marzo 2012 i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore corrispondono al 67,4% dei lavoratori dipendenti e al 61,8% del monte retributivo relativo.

Alla fine di marzo la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 32,6% rispetto all’insieme dei settori e del 12,3% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori che hanno il contratto scaduto è, mediamente, di 27 mesi.

In totale, i contratti da rinnovare sono 36 – di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione – relativi a circa 4,3 milioni di lavoratori (di cui circa tre milioni del pubblico impiego).

Da gennaio 2010 tutti i contratti della pubblica amministrazione sono scaduti e la legge 122/2010, art. 9 comma 7,  stabilisce il blocco delle procedure contrattuali relative al triennio 2010-2012.

Abbiamo già affrontato il tema delle retribuzioni contrattuali in altra parte dell’articolo.

Va solo ricordato che nel 2011 le retribuzioni medie aumentano del 2,2% rispetto al 2010, mentre gli oneri sociali crescono del 2,5%. In media d’anno l’aumento del costo del lavoro è del 2,3%.

L’occupazione nelle grandi imprese nel Marzo 2012,  depurata della stagionalità,  è stabile rispetto a Febbraio sia al lordo, sia al netto dei dipendenti in Cassa integrazione guadagni (Cig).

Rispetto a Marzo 2010 l’occupazione nelle grandi imprese scende dello 0,7% al lordo dei dipendenti in Cig e dello 0,2% al netto dei dipendenti in Cig.

Sempre rispetto a Marzo 2010, a parità di calendario, si registra una diminuzione del numero di ore lavorate per dipendente (al netto della Cig) dell’1,2%.

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Di grande interesse e novità è il Report pubblicato dall’Istat ad Aprile 2012 su: “ Disoccupati, inattivi, sottoccupati.” Infatti dal 2011 l’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat) ha previsto che annualmente si diffondano alcuni indicatori complementari al tasso di disoccupazione.

Gli indicatori sono calcolati sulla base dell’indagine sulle forze di lavoro divisa in tre gruppi (occupati, disoccupati, inattivi) secondo i criteri definiti dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e recepiti dai Regolamenti comunitari.  

Per rappresentare la realtà del mercato del lavoro si intende andare oltre la distinzione tra occupati, disoccupati e inattivi, con l’ausilio di indicatori complementari. I primi riguardano due segmenti di inattivi:

–  coloro che non cercano attivamente un lavoro, ma sono disponibili a lavorare;

–  coloro che cercano lavoro ma non sono subito disponibili.

La somma di questi due segmenti rappresenta le “forze di lavoro potenziali”

Un terzo indicatore è calcolato tenendo conto di quanti lavorano con un orario ridotto non per propria scelta, e  vorrebbero lavorare più ore, i quali vengono definiti “sottoccupati part time.”

Nel 2011 gli inattivi che non cercano un impiego ma sono disponibili a lavorare sono 2 milioni 897 mila, con un incremento del 4,8% (+133 mila unità) rispetto al 2010. Gli inattivi, rispetto alle forze di lavoro, crescono tra il 2010 e il 2011, passando dall’11,1% all’11,6%, dato tre volte superiore a quello medio europeo (3,6%).

Gli inattivi sono inclini allo scoraggiamento: il 43% di loro (circa 1,2 milioni di unità) dichiara di non aver cercato un impiego perché convinto di non riuscire a trovarlo.

Gli inattivi che non cercano un impiego (2 milioni 108 mila nel 2011) sono di più dei disoccupati, mentre in Europa, invece, i disoccupati risultano il doppio degli inattivi.

Nel 2011, gli inattivi che cercano un impiego ma non sono disponibili a lavorare sono 121 mila unità (-4,4%,  6 mila in meno nell’anno).

Sommando le forze di lavoro potenziali ai disoccupati si ottengono le persone “potenzialmente impiegabili” nel processo produttivo: nel 2011 circa 5 milioni di unità.

Sempre nel 2011, i sottoccupati part time sono 451 mila unità (+3,9%, 17 mila in più sul 2010) e rappresentano l’1,8% del totale delle forze di lavoro.

Sul mercato del lavoro, dopo 2 anni di calo, nel 2011 l’occupazione ha avuto un leggero aumento (+0,4%, +95.000 in più sul 2010). E’ aumentata l’occupazione straniera (+170.000 unità), mentre è diminuita quella italiana (-75.000 unità): il tutto concentrato nella sola componente maschile.

Nel 2011, si è ridotta di molto l’occupazione nella fascia d’età 15-34 anni (-233.000 unità), è aumentata quella dei 35-54enni (+36.000 unità) e quella con almeno 55 anni di età (+122.000 unità).

Nel 2011 è continuata la diminuzione dell’occupazione giovanile: nella classe 18-29 anni si contano 87.000 occupati in meno (-2,7%). Dal 2008 si sono perse 569.000 unità giovanili ed il tasso di occupazione è sceso dal 47,7% del 2008 al 41% del 2011, una riduzione quattro volte quella media.

Nel 2011 è ancora diminuita l’occupazione a tempo pieno (-0,1%, pari a -19.000 sul 2010), è ancora aumentato il lavoro part time (+3,3%, pari a +114.000 unità), ma  quello involontario, cioè accettato in mancanza di un lavoro a tempo pieno. Le imprese, dal canto loro, preferiscono assumere con contratti a tempo determinato (pari nel 2011 al 13,4% dell’occupazione, contro il  12,8% nel 2010). Nei mesi finali del 2011 il recupero dell’occupazione si è bloccato in quanto gli occupati, nel quarto trimestre del 2011, sono scesi dello 0,1%. La tendenza negativa è continuata nei primi due mesi del 2012, nei quali è cresciuto anche l’utilizzo della CIG.

Nel 2011 la disoccupazione è stata mediamente sull’8,4%;  nel febbraio del 2012 il tasso è al 9,3%,  il  più elevato dal gennaio 2004. Il tasso di disoccupazione femminile è più alto di quello maschile (a febbraio 2012, il 10,3% contro l’8,6%). Si allunga la durata media della disoccupazione, con un’attesa di almeno 12 mesi per un nuovo lavoro nel 50% dei casi.

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La situazione di criticità del nostro paese è infine ribadita dal Rapporto Ocse (2011), Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising, con una nota sull’Italia, pubblicato alla fine del 2011.

Si rileva che la disuguaglianza dei redditi tra le persone in età lavorativa è aumentata drasticamente a partire dai primi anni Novanta ed è proseguita fino ad oggi. Si registrano le seguenti caratteristiche nella situazione italiana.  

”La proporzione dei redditi più elevati è aumentata di più di un terzo.

E’ cresciuto un  ruolo maggiore del reddito da lavoro autonomo.

I  lavoratori meglio pagati lavorano più ore.

Sempre più persone si sposano con persone con redditi da lavoro simili ai loro

La redistribuzione attraverso i servizi pubblici è diminuita.”

Il Rapporto “Divided We Stand” detta, a partire dal 2012, delle “Raccomandazioni politiche fondamentali per i paesi dell’OCSE” qui riportate integralmente:

 “ L’occupazione è il modo migliore per ridurre le disparità. La sfida principale consiste nel creare posti di lavoro qualitativamente e quantitativamente migliori, che offrano buone prospettive di carriera e la possibilità concreta di sfuggire alla povertà.

È essenziale investire nelle risorse umane, un processo che deve iniziare dalla prima infanzia ed essere sostenuto per tutto il ciclo di istruzione obbligatoria. Una volta realizzata la transizione dalla scuola al lavoro, occorre fornire incentivi sufficienti affinché tanto i lavoratori che i datori di lavoro investano nelle competenze lungo l’intero arco della vita lavorativa.

La riforma delle politiche fiscali e previdenziali costituisce lo strumento più diretto per accrescere gli effetti redistributivi. Perdite ampie e persistenti di reddito per i gruppi a basso reddito in coincidenza con le fasi recessive evidenziano l’importanza del ruolo degli ammortizzatori sociali, dei trasferimenti pubblici e delle politiche di sostegno del reddito. Tali meccanismi devono essere ben congegnati al fine di ottenere i risultati sperati.

La quota crescente di reddito per la popolazione con le retribuzioni più elevate suggerisce che la sua capacità contributiva è aumentata. In tale contesto, le autorità potrebbero riesaminare il ruolo redistributivo della fiscalità onde assicurare che i soggetti più abbienti contribuiscano in giusta misura al pagamento degli oneri impositivi.

L’offerta di servizi pubblici gratuiti e di qualità elevata in ambiti quali l’istruzione, la sanità e l’assistenza familiare riveste un ruolo importante.”

Abbiamo riprodotto fedelmente le indicazioni finali del Rapporto Ocse in quanto è difficile essere in disaccordo questa volta con le ricette di questa Organizzazione.

Peccato che le politiche di risanamento e per l’uscita dalla crisi adottate dal Governo non siano adeguate, o peggio, vadano in direzione opposta a tutte le indicazioni raccomandate dall’Ocse su come ridurre le diseguaglianze.

E’ difficile infatti pensare che si possa raddrizzare la situazione economica sociale di questo paese con più precari, più disoccupati, più poveri, più baraccati, con meno ammortizzatori sociali legati alla riqualificazione, meno politica industriale e meno sviluppo, meno istruzione e ricerca, meno cultura, meno arricchimento delle risorse umane, meno welfare, meno servizi sociali.

E per quanto riguarda le risorse per tutto ciò, non si può più eludere, in un paese dove più del 90% degli occupati hanno il sostituto d’imposta e lavorano gratis 6 mesi in favore dello Stato, che ci siano annualmente 120 miliardi di evasione fiscale, 60 miliardi di corruzione, 350 miliardi di economia sommersa, gli stimati (sembra per difetto) 500 miliardi esportati nei paradisi fiscali per non pagare le tasse, i costi per gli incidenti sul lavoro, il costo dell’abusivismo ambientale ed edilizio, i costi di una criminalità organizzata che sottrae sviluppo.

E poi, come riportato dall’inchiesta di Nunzia Penelope, “più della metà delle aziende italiane, di cui ben 320 banche, hanno una sede in qualche paradiso fiscale non solo per ottimizzare il carico fiscale, ma anche per creare partite di giro per nascondere risorse finanziarie.” Come è dimostrato da ormai centinaia di casi portati alla luce dalla Magistratura.

E infine se tutti i lavoratori dipendenti e tutti i pensionati pagano fino all’ultimo euro, perché non tassare anche i patrimoni al di sopra di un limite fissato, avviando un’opera di redistribuzione della ricchezza  detassando i redditi più bassi e prossimi alla soglia di povertà?

Perché non avviare finalmente una vera e sistematica lotta all’evasione ed al lavoro nero?

Se,  come ci dice la Banca d’Italia, il 10% degli italiani possiede circa il 50% della ricchezza nazionale, e se negli ultimi 10 anni più di 10 punti di ricchezza si sono trasferiti dalle retribuzioni alle rendite, allora una redistribuzione non solo è auspicabile, ma è indispensabile per uscire dalla crisi e rilanciare il paese.  Con il calo dei redditi e dei consumi di gran parte delle famiglie infatti, la domanda interna non riparte e si rischia il collasso non solo del sistema produttivo, ma anche del tessuto sociale del paese.

Ferruccio Pelos

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Un 1° maggio di passaggio dalle illusioni alle speranze

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Molti la considerano  una festa stanca. Forse anche tra i lavoratori. Ma quest’anno, provoca un particolare senso di curiosità. Chi marcerà, chi andrà alle manifestazioni, chi arriverà da tutt’Italia all’appuntamento del  Concerto di Piazza S. Giovanni a Roma, con quale spirito parteciperà? Difficile dirlo. I tempi sono duri un po’ per tutti, per i lavoratori tradizionali, per i precari cronici, per i disoccupati che lavorano in nero, per quelli che non sanno cos’è lavorare, ma anche per i commercianti onesti, per gli artigiani laboriosi, per gli imprenditori che si rimboccano le maniche. La cinghia la stanno stringendo tutti quelli che pagano le tasse, che rispettano leggi e contratti, che non navigano nell’oro. Ovviamente, gli altri neanche se ne accorgono che c’è la crisi. Evadono, eludono, si considerano liberi di fare quello che meglio credono, spesso riflettono una inveterata abitudine all’immunità.

Ma il Paese che ci interessa è il primo; per il secondo è sperabile che l’acqua in cui sguazzano diventi sempre più bassa. E quel pezzo di Paese, che sicuramente non accetterebbe mai di abolire la festa del 1° Maggio, sta prendendo le misure nei confronti di questa crisi. Che non è soltanto economica, ma valoriale se non epocale. Quasi tutti si sono fatti avvincere dalla nuvola di illusioni che ha coperto a piene mani una realtà che stava già mutando. Si è dato credito all’idea che lo sviluppo sarebbe stato lineare, forse modesto, ma sempre in crescita. Che i sacrifici potevano essere scansati, ricorrendo a maquillages fantasiosi nel contenimento del deficit del Bilancio pubblico. Che la flessibilità potesse essere un’indispensabile scotto circoscrivibile al  mondo del lavoro, mentre stava precarizzando tutta la vita delle giovani generazioni.

Anche i lavoratori si  sono intimiditi di fronte all’arcobaleno di illusioni che ha caratterizzato gli ultimi venti anni. C’erano valide ragioni, anche se non assolutorie, perché essi e i loro sindacati agissero senza una visione lunga.  L’occupazione reggeva, benchè  drogata dall’aumento delle forme di flessibilità che, a loro volta, deprimevano anche il valore dei salari; ma non c’è stata consapevolezza adeguata della caduta di investimenti, specie innovativi dei prodotti e in formazione. I consumi manteneva regimi tali da far sorgere ovunque mega centri commerciali; ma non si reagiva alla loro scarsa influenza sulla dimensione dei prezzi, tanto che ora, come non mai, il divario tra essi e i salari risulta impressionante. Il welfare, sia pure in affanno, continuava la sua funzione calmieratrice delle tensioni sociali; ma non ci si rendeva conto che riguardava fette sempre più strette dalla società, alimentava più logiche di privilegio che legami di solidarietà e stava cedendo inesorabilmente soprattutto nei confronti delle parti più deboli della società.

La crisi sta scuotendo l’albero delle illusioni e chi ha organizzato la politica in ragione di esse, chi ha creduto di salvaguardare le proprie rappresentanze e le proprie prerogative senza prenderle di petto è costretto ad una progressiva afonia. Non sa più che raccontare, quali bandiere brandire, come rapportarsi con la gente. Questa difficoltà è un vero guaio, sia perché coinvolge la parte sana della popolazione, sia perché anche la parte più avveduta della sua rappresentanza non ancora ha riorganizzato idee e fila per fare da guida a questo crollo delle illusioni.

Ma dalle illusioni non si può passare alle delusioni. Bisogna puntare sulle speranze. La politica, d’altra parte, come diceva padre Balducci “altro non è se non l’organizzazione della speranza” (E. Balducci, Siate ragionevoli, chiedete l’impossibile, Chiarelettere 2012). Il cambiamento va gestito, non subito. Il futuro va costruito, non atteso. Nuovi equilibri vanno disegnati tutti insieme, non delegati ai demiurghi di turno. Se questo ha senso, bisogna essere consapevoli che l’economicismo non può dare tutte le risposte, il realismo non può rassicurare tutti, il moralismo (sarebbe meglio dire la moralità) può accompagnare ma non improntare da solo le scelte. C’è bisogno di un grande sforzo intellettuale, sociale e politico per stilare le guide lines della società futura.

Le organizzazioni sindacali confederali hanno ancora un tasso di credibilità sufficienti per far tornare i lavoratori protagonisti di questa costruzione delle speranze. Hanno tre questioni cruciali sulle quali dire, a buon diritto, la propria. Su come produrre beni, servizi e idee in questo Paese senza farsi irretire nella retorica del  mondo globalizzato, ma trovando le ragioni della qualità delle nostre produzioni nell’affermazione della democrazia economica, sia a livello micro che di sistema. Inoltre, su come redistribuire la ricchezza prodotta, dando privilegio al profitto e al salario rispetto alle rendite di ogni tipo, specie quelle finanziarie, commerciali, immobiliari, professionali, manageriali, burocratiche che per troppo tempo hanno goduto della tolleranza soprattutto dei lavoratori. Infine, su come ridisegnare l’esercizio della democrazia sia istituzionale che sindacale, risultando la prima  inadeguata a fronteggiare la complessità dei cambiamenti in atto e quindi troppo esposta all’antipolitica e la seconda spinta o condizionata al ripiegamento sull’opinionismo attraverso i mass media o al minimalismo della delega a decidere, verso l’alto.

Non sarebbe male se questo 1° maggio archiviasse la stagione delle illusioni e aprisse un ciclo nuovo della dialettica politica  e sindacale, finalizzata a disegnare un futuro più accettabile, meno insicuro, meglio vivibile. Non è un problema di buone intenzioni ma di necessità da cogliere e trasformare in passi in avanti. Le energie intellettuali, operative, finanche organizzative per realizzare una positiva reazione alla caduta delle illusioni  ci sono. Vanno poste nelle condizioni di emergere e di contare.

Raffaele Morese  

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Ritornare tutti allo stesso tavolo

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“Non l’articolo 18, ma i tempi incerti della burocrazia e della politica”. Questa frase è riportata da Repubblica dell’ 11 aprile e non è stata espressa da un sovversivo. Fa parte di un’intervista rilasciata al quotidiano dall’amministratore delegato dell’Ikea Italia, Lars Petersson, in occasione dell’annuncio del trasferimento dalla Cina all’Italia di attività che assicurerà un incremento di 200 addetti nell’azienda fornitrice. A suo parere, sono quelli i motivi veri per cui gli investitori esteri sono riluttanti a venire in Italia.

Non è un buon servizio reso al Presidente Monti, ma è sperabile che lo aiuti a rivedere tutta la strategia del suo Governo per mettere sul binario giusto l’economia italiana, che continua a mandare segnali negativi. C’è stata troppa enfasi sulla riforma del lavoro (come panacea per far crescere l’occupazione e attirare imprenditori esteri), si è messa troppa carne al fuoco (superamento del precariato, tutele universali nelle crisi) ma, al dunque, un po’ tutti si sono fatti intrappolare nell’angusto recinto dell’articolo 18. Dalle dichiarazioni che circolano, si ha la sensazione che si debba ritornare alla casella di partenza di un gioco dell’oca che doveva, invece, essere considerato concluso dopo gli aggiustamenti (pro labour) sull’articolo 18. Invece, il sistema delle imprese è insorto e vuole un risarcimento sul lato della flessibilità in entrata.

Così, l’incertezza è tornata dominante. Ex Ministri rilanciano le loro creature, anche se i fatti dimostrano che avevano alimentato brutte distorsioni nel mercato del lavoro, specie nei confronti dei giovani; la neo Ministro Fornero paventa  la fine del Governo se la sua riforma non passa; nel Parlamento ne vedremo delle belle, quando si passerà agli emendamenti. E le parti sociali ridotte a fare il tifo o al meglio, a fare  lobby, perché Monti non ha scelto di percorrere fino in fondo la via della concertazione. L’illusione di aver miglior gioco con i partiti che lo sostengono, lo hanno riportato in alto mare. Anche la carta della fiducia è, su questo tema, un’arma pericolosa. La legge potrebbe passare risicatamente, ma la tenuta politica del suo Governo potrebbe essere fortemente compromessa.

C’è un’altra via, meno spinosa e meglio gestibile? Non è facile rispondere a questa domanda, anche perché nel frattempo la casa ha ripreso a bruciare. I mercati mandano messaggi sfiducianti finanche il buono realizzato finora e l’Europa sembra essersi di nuovo assopita. Con la Germania che tira i remi in barca, almeno fino alle elezioni amministrative, non possiamo attenderci grandi colpi di genio. L’attenzione, ormai, è rivolta alla recessione che si allarga in Europa e sta dilagando in Italia. Tutti invocano misure per la crescita economica, ma nello stesso tempo, i tassi sul debito pubblico si stanno mangiando gli spiccioli disponibili per fare qualche politica keynesiana.

In questo scenario, la questione della riforma del mercato del lavoro diventa parte integrante delle scelte difficili che dovranno essere realizzate per invertire la tendenza recessiva. Ma, forse, proprio questa coincidenza può consentire di riacciuffare per i capelli una situazione che si va sfilacciando e ingarbugliando. E’ da supporre che le parti sociali, nel loro insieme, siano fortemente interessate alle soluzioni di politica economica che dovranno essere prese per il rilancio e queste vanno correlate a ciò che si può modificare sul tema della dualità del mercato del lavoro. In altre parole, qualità della crescita e qualità dell’occupazione sono strettamente connesse e le misure che le renderanno compatibili non possono che maturare da un  confronto costruttivo tra Governo e parti sociali, prima e non durante la discussione tra i partiti e nel Parlamento.

Tutti sanno che le misure da adottare hanno come presupposto l’individuazione di risorse adeguate e  ciò implica che si discuta di abbattimento debito pubblico, di tagli alla spesa della pubblica amministrazione, di messa in  vendita di assets pubblici importanti  e del demanio, di nuovo di costi della politica e finanche di misure fiscali straordinarie sui grandi patrimoni.

La si chiami come si vuole, ma il Governo Monti – se ripristinasse un tavolo di discussione sulle prospettive del sostegno alla produzione, all’occupazione e ai consumi – potrebbe recuperare in questa sede anche il tema del mercato dl lavoro, coinvolgendo le parti sociali nella individuazione delle ulteriori modifiche da apportare. Qualsiasi soluzione che scaturisse da scelte condivise, è meglio di quelle che fossero vissute come imposte da questa o da quella parte. Specie se fossero individuate entro un contesto di scelte che riguardassero anche la crescita. La concertazione non è soltanto un metodo, semmai per dare una golden share del consenso a qualcuno. E’ una scelta politica per la costruzione di un consenso innanzitutto sociale, capace di sbarrare la strada ai corporativismi e alle logiche di potere. Per questo è stato un errore non crederci e sarebbe un vantaggio proporla ora.

Questo non è un momento qualsiasi e l’antipolitica potrebbe avere il sopravvento. A Monti non si può chiedere di fare l’impossibile perché ciò non accada. Ma sicuramente va chiesto di evitare che l’azione di Governo sia in qualche modo condizionata da logiche che non favoriscano la corresponsabilità generale. Contemporaneamente, alle forze sociali, prima ancora di quelle politiche, va chiesto di  dimostrare che sono all’altezza delle sfide del momento. Hanno un patrimonio di credibilità e di consapevolezza che devono spendere per dare al Paese segnali di determinazione e di solidarietà, indicazioni di lungimiranza e di fiducia sulle capacità della gente di potercela fare. Questo è già avvenuto altre volte, in momenti altrettanto difficili e duri. Anche a vantaggio del sistema politico, che ha potuto rimontare la china dell’indebolimento proprio ed istituzionale. E così, si darebbe anche una risposta alle sollecitazioni dell’amministratore delegato dell’Ikea e di quanti, specie dall’estero, intendono investire in Italia. 

Raffaele Morese

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Indice ISTAT

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Trattamento di fine rapporto – Indice istat marzo 2012

L’Istat, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto di cui alla legge 29 maggio 1982, n. 297, comunica che l’indice nazionale generale dei prezzi al consumo delle famiglie di operai ed impiegati, con base 2010=100, è risultato, per il mese di marzo 105,2.

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Ricerca e innovazione

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Innovazione sull’invecchiamento attivo. E’ stato lanciato un nuovo sito Internet per la cooperazione e il sostegno allo sviluppo di idee e progetti innovanti rivolto a tutti coloro che vogliono essere coinvolti nel Partenariato europeo per l’innovazione sull’invecchiamento attivo e in buona salute (EIP on AHA). Gli obiettivi sono i seguenti: trovare partner, fornire e ricercare informazioni, entrare in contatto con gli stakeholder, partecipare al forum, promuovere eventi, creare gruppi e forum privati.

Premi: ” nessun tag….”

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Occupazione, affari sociali e inclusione

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Anno europeo dell’invecchiamento attivo: avvio a Roma. Nell’ambito delle attività previste per l’Anno europeo 2012 dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, il Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, ed il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, organizzano a Roma il 18 aprile l’incontro “Sfide demografiche e solidarietà tra le generazioni”.

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Fiscalità e dogane

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Misure fiscali dei lavoratori transfrontalieri.
Nel corso dell’anno, la Commissione eseguirà una valutazione dei sistemi nazionali delle imposte dirette per determinare se esse penalizzano i lavoratori che vivono in uno Stato membro e lavorano in un altro. Se dovessero emergere discriminazioni o violazioni delle libertà fondamentali dell’UE, la Commissione le segnalerà alle autorità nazionali e insisterà affinché vengano apportate le necessarie modifiche. Le disposizioni in
materia fiscale degli Stati membri saranno analizzate nell’ambito di un’iniziativa mirata della Commissione, volta a verificare eventuali discriminazioni nei confronti dei lavoratori transfrontalieri.

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Premi di risultato

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Decontribuzione – Modalità operative per lo sgravio contributivo sulle erogazioni, corrisposte nell’anno 2010, previste dai contratti collettivi di secondo livello

L’Inps, con circolare n. 51 del 30 marzo c.a., ha reso noto le modalità operative che i datori di lavoro dovranno seguire per richiedere lo sgravio contributivo, sulle erogazioni previste dai contratti collettivi di secondo livello, riferito agli importi corrisposti nell’anno 2010. Le domande dovranno essere presentate esclusivamente in via telematica e a tutte le istanze inviate verrà assegnato un numero di protocollo informatico.

L’Inps, successivamente, comunicherà giorno e ora a partire da cui sarà possibile la trasmissione telematica delle istanze.

Decontribuzione – Documentazione tecnica per l’invio delle domande di sgravio contributivo sulle erogazioni, corrisposte nell’anno 2010, previste dai contratti collettivi di secondo livello

L’Inps, in attesa che venga resa disponibile sul proprio sito la procedura di invio delle domande di sgravio contributivo sulle erogazioni, corrisposte nell’anno 2010, previste dai contratti collettivi di secondo livello, con messaggio n. 5880 del 3 aprile c.a., fornisce la documentazione tecnica per la creazione dei flussi contenenti molteplici domande.

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Manifesto per un servizio civile universale

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VITA petizioni

Il servizio civile nazionale nato con la legge 64 del 2001 sta morendo. Dal 2008 al 2012 il fondo nazionale è passato da 299 a 68 milioni. I 68 milioni messi a bilancio quest’anno non sono sufficienti neanche a coprire i costi messi a bando.
 
Il primo febbraio risultavano in servizio meno di 9mila volontari. Nel 2006 erano quasi 46mila. Mentre i ragazzi nella fascia di età fra i 18 e i 28 anni che quindi avrebbero diritto ad accedere al servizio civile sono oltre 8 milioni.

Negli ultimi anni i tagli hanno ridotto le possibilità di accesso al servizio civile ma i giovani non si sono fatti scoraggiare: la domanda è sempre stata molto superiore all’offerta. Evidentemente i nostri ragazzi sentono forte la necessità di avere uno strumento di partecipazione civica che consenta loro di essere e sentirsi protagonisti della vita del paese.  
 
Il servizio civile in questi anni si è dimostrato un efficiente moltiplicatore di valore sociale. Secondo le stime del Centro universitario di studi sul servizio civile ogni euro investito produce un controvalore cinque volte maggiore in termini di formazione e servizi sociali offerti.  
 
PER SALVAGUARDARE QUESTO PATRIMONIO  E RESTITUIRE LA DIGNITA’ AL SERVIZIO CIVILE ALLA POLITICA NON  CHIEDIAMO FONDI AGGIUNTIVI, MA L’ISTITUZIONE DI UN SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE APERTO A TUTTI I GIOVANI CHE VIVONO NEL NOSTRO PAESE.

UN SISTEMA A CUI DOVRANNO CONTRIBUIRE SIA LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, SIA I SOGGETTI PRIVATI PROFIT E NON PROFIT.
Vai al sito.

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Dote Tirocini per giovani

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La DG Occupazione e Politiche per il Lavoro della Regione Lombardia ha approvato, con decreto n. 2374 pubblicato sul BURL del 28 marzo 2012, un avviso denominato DOTE LAVORO – TIROCINI PER GIOVANI.

L’avviso è finalizzato a promuove interventi personalizzati di inserimento lavorativo per i giovani al termine di periodi di tirocinio extracurriculare.

Destinatari:

giovani tra i 18 e 29 anni compiuti;
non occupati da almeno 6 mesi (inoccupati, inattivi disponibili al lavoro o disoccupati ma non iscritti nelle liste di mobilità);
residenti o domiciliati in Lombardia.
Dote Lavoro:

la dote prevede due azioni:

il tirocinante, tramite un operatore accreditato ai servizi al lavoro, attiva una serie di servizi, tra i quali il colloquio specialistico, il bilancio di competenze, la definizione del percorso ecc.
in caso di assunzione del giovane presso l’azienda che ha attivato il tirocinio è previsto un bonus assunzionale per l’impresa, variabile tra i 2.000 e i 5.000 euro in relazione alla tipologia di assunzione.
Tempistica:

la domanda è a sportello a partire dal 28 marzo 2012 fino al 30 giugno 2012, salvo esaurimento delle risorse (6.000.000 €)

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