UNES. Quando una procedura di riduzione del personale non ben valutata fa più danni di ciò che vorrebbe risolvere….

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Nell’incontro del 19 ottobre presso il Glam Hotel di Milano si è tenuto il secondo incontro con la direzione di UNES previsto dalla procedura di riduzione di personale presentata il 29 settembre. Secondo fonti sindacali l’azienda ha inizialmente ribadito il suo progetto: un cosiddetto “referente aziendale” inquadrato nel secondo livello del CCNL che avrebbe dovuto sostituire formalmente il “direttore” pur continuando a svolgere le medesime attività di primo livello. Quindi nessuna riduzione  di attività e funzioni. Solo di stipendio. Una richiesta  che, presentata così,  è stata rispedita al mittente.

E,  continuando a leggere  il comunicato sindacale:  “Le figure ritenute idonee a ricoprire tale ruolo sarebbero state individuate da un’agenzia di consulenza esterna attraverso prove scritte ed orali e tramite criteri del tutto discrezionali, mentre quelle non idonee sarebbero state automaticamente ritenute in esubero e dunque destinate all’uscita o ad un mortificante demansionamento, utile esclusivamente alla salvaguardia occupazionale”.

Il sindacato, com’era prevedibile,  non  ha potuto far altro che respingere questa impostazione. Creare figure professionali al di fuori del perimetro del CCNL in presenza in azienda  dei titolari del ruolo cercando di sotto  inquadrarle sarebbe stata una operazione  che non avrebbe retto a lungo in nessun tribunale. Anche da parte di chi, obtorto collo, l’avesse accettata e quindi subita, in alternativa al licenziamento. Il ripensamento dell’azienda, pressata dai sindacalisti presenti, ha però segnalato la persistente confusione del management sulla scelte organizzative in grado di contribuire, attraverso un contenimento dei costi,  ad un possibile rilancio dell’azienda.

Rilancio che non sembra essere, a detta dei sindacalisti,  presente nelle parole dei responsabili aziendali al tavolo. La causa della procedura stessa  sarebbe da ricercare  nell’espansione dei discount, nei concorrenti, nell’inflazione, nel destino cinico e baro, ecc. Insomma la colpa è da ricercare altrove. Non bisogna essere degli esperti per comprendere che tagli pesanti del personale non accompagnati da un’idea di futuro o almeno, da una parvenza  di rilancio non portano da nessuna parte. Scartata quindi la prima proposta, assolutamente impraticabile, la nuova prevederebbe il mantenimento dell’attuale figura del “Responsabile del punto vendita”, inquadrato come previsto dal CCNL. Gli esuberi (101 unità) il cui numero  resta invariato, verrebbero gestiti, sollecitando possibili scelte individuali, attraverso  3 opzioni: 

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L’Esselunga di Caprotti è una sola….

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“Le ossa dei Caprotti” (Una storia italiana di Giuseppe Caprotti) è un libro sicuramente da leggere. È la storia di una grande impresa familiare e dei suoi protagonisti raccontata per quello che è stata. Leggendola tutta di un fiato mi è venuto in mente Fabrizio De André. “Cominciò con la luna sul posto e finì con un fiume di inchiostro è una storia un poco scontata, una storia sbagliata”… Probabilmente non serviva un libro per sapere che Bernardo Caprotti non fu uno stinco di santo  e che Giuseppe Caprotti era una persona per bene. Se ci si potesse fermare qui si prenderebbe atto della verità di un protagonista di quella famiglia che per oltre vent’anni ha cercato di emergere in una situazione oggettivamente difficile. Sottolineando, ovviamente,  la mancanza di  un diritto di replica del bersaglio principale del libro, Bernardo Caprotti, che  non può esserci per ovvie ragioni.  Fatti  raccontati e  spiegati meticolosamente che hanno sconvolto la vita e il percorso professionale del primogenito dei Caprotti e che meritano, rispetto da parte di chi legge.

L’Espresso già il 13 dicembre  2012 aveva descritto “una saga familiare, tra risse, tradimenti e drammi attraverso tre generazioni per il controllo di un gruppo da sei miliardi di euro” (oggi 8,5 miliardi ndr). Il libro riprende quel racconto proponendo ulteriori dettagli, particolari inediti, istantanee familiari che coinvolgono soprattutto una parte degli eredi e il loro complesso rapporto con il padre Bernardo.  I confini tra interessi familiari, profili caratteriali e vicende personali, quando colpiscono gli interessi economici dei singoli familiari e si catapultano nelle aziende, ne minacciano quasi sempre stabilità e prospettive. Almeno fino a quando non si individua un percorso chiaro.

Non è un tema che coinvolge solo l’azienda di Pioltello. Va sottolineato, per evitare equivoci. Io penso che nessun imprenditore della GDO (e non solo) sia arrivato a costruire una sua realtà economica importante rispettando semplicemente le regole del gioco. Nella migliore delle ipotesi le ha interpretate, forzate, piegate a proprio favore. Su questo Caprotti senior è solo uno dei tanti. La spregiudicatezza ben descritta dal libro è un tratto caratteristico rintracciabile  in molte situazioni. La differenza è che, la sua, è testimoniata e raccontata  dal figlio. Un fatto senza precedenti. E questo agire fotografato quasi ossessivamente nel libro  consegna alla solitudine il titolare di questi comportamenti circondato spesso da yes men interessati e adulatori. Ma anche da ottimi professionisti ad ogni livello dell’organizzazione aziendale. Esselunga li ha sempre avuti. Non è diventata quello che è, immeritatamente.

Vittorio Merloni, che per un lungo periodo non aveva voluto i figli in azienda, diceva che un padre non deve mai trovarsi nella condizione tragica di dover licenziare un figlio. Caprotti senior lo ha fatto ma non lo ha mai voluto ammettere. L’incompatibilità e la competizione tra padre e figlio  però erano assolute. E non  era solo un problema caratteriale. Era anche di visione dell’azienda e del suo futuro. Problema che travalica il caso in sé. Superata una certa età del fondatore i figli rischiano di essere plagiati o schiacciati dalla personalità e dalla credibilità conquistata del genitore. Sembra cinico affermarlo ma solo quando il passaggio generazionale avviene per tempo o per eventi traumatici che coinvolgono il fondatore in età meno avanzata, i passaggi generazionali sembrano funzionare. Oppure, come in questo caso, dove la seconda moglie di Caprotti, Giuliana, ha tenuto con lungimiranza la figlia lontana dall’epicentro dello scontro familiare proteggendola e agevolandola così nel perseguire i suoi obiettivi. Difficile non giudicare, questa,  una strategia molto più efficace rispetto a quella adottata dall’altro ramo della famiglia. 
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UNES. Quando tra sede e punti vendita il dialogo si complica…

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Una crisi aziendale non nasce improvvisamente. Diversi segnali l’annunciano e la precedono. I numeri non sono l’unico punto di osservazione. Innanzitutto i top manager che vanno e vengono. Poi il turn over. Chi ha una professionalità rivendibile sul mercato lascia l’azienda  appena se ne presenta l’occasione. A questo si aggiunge la difficoltà a reperire personale ad ogni livello. Infine le continue operazioni sull’organico  che si susseguono nel tentativo di comprimere i costi della struttura in attesa, si spera, di altre soluzioni. Ricordo l’ultima fase di Standa quando Mediocredito Lombardo (l’investment bank di Banca Intesa), che ne possedeva due terzi, non l’aveva ancora ceduta a  Rewe. In sede e nei 120 PDV, in quei  mesi di interregno sembrava di essere asserragliati ciascuno in una sorta Fort Alamo dove ci si difendeva  rimbalzando le rispettive responsabilità.

Nel  “caos calmo” che regna in azienda  in quelle condizioni, il responsabile del punto vendita è una delle figure più delicate. È determinante il suo spirito di servizio e la sua capacità di tenere la motivazione ad un livello accettabile, della  squadra di regia e dell’insieme dei collaboratori. “Prendersela” con i responsabili di punto vendita  è come spararsi ad un piede. Qui non si parla di qualche personaggio inadatto al ruolo che deve e può essere sostituito. Si propone di chiudere o trasformare radicalmente  il rapporto con l’intera categoria aziendale in servizio perché non ritenuta in linea con la nuova organizzazione ipotizzata che resta tutta da verificare.

So benissimo che in molte insegne della GDO quelle figure professionali sono state di fatto sostituite,  in termini di livello di inquadramento  e quindi di retribuzione, ormai da tempo. Ma un conto è ridiscutere una ipotetica nuova job description del ruolo in una fase di stabilità, per nuovi assunti o, come hanno fatto altre insegne ,  che mettono in posizione giovani inseriti in processi di crescita, un altro è “azzerare” i ruoli occupati  da persone fisiche e presenti  in azienda. Anche lasciando perdere leggi e contratti e future cause individuali a mio parere resta un autogol sul piano della motivazione, del clima interno  e della qualità del lavoro nei punti vendita.

Ovviamente la mia riflessione va oltre il caso UNES.

Questa figura professionale si trova spesso  tra l’incudine e il martello schiacciata da una gerarchia commerciale di sede che non ha quasi mai il coraggio di assumersi le proprie responsabilità sui risultati soprattutto quando gli errori di strategia si fanno sentire. Le  attività quotidiane del “direttore” in un’ insegna che attraversa una evidente crisi di risultati non sono facilmente descrivibili in una job description tradizionale. Se normalmente la funzione principale  è rappresentata dalla gestione economica di un negozio e la responsabilità della gestione dei lavoratori in situazione di forte tensione si trova a dover rispondere ai clienti che percepiscono immediatamente i segnali di peggioramento, spegnere gli incendi quotidiani, ammortizzare gli errori  della logistica, supervisionare e spesso sostituire il personale indipendentemente dal ruolo  con orari si lavoro che coinvolgono i responsabili molto di più di ciò che si pensa quando se ne discute a tavolino.  Per questo servono competenze sia di tipo organizzativo che di tipo relazionale. E soprattutto tanta disponibilità personale.  Leggi tutto “UNES. Quando tra sede e punti vendita il dialogo si complica…”

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Lidl in Germania. Alla conquista di Vega(ni)….

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Vega era il pianeta da cui partivano i vegani per fare la guerra alla terra. Ci pensava Goldrake con Actarus alla sua guida, a tenerli a bada. Creato da Go Nagai quasi mezzo secolo fa, forse segnalava che già allora i giapponesi non li amavano più di tanto. Infatti ancora oggi, il vegetarianismo e il veganismo non sono diffusi in Giappone come in Occidente.

Le origini del veganismo risalgono al 1847 quando fu fondata la Vegetarian Society, la più antica organizzazione vegetariana esistente al mondo che ha annoverato tra i suoi dirigenti  anche il  Mahatma Gandhi. È all’inizio del ventesimo secolo che sul tema del consumo dei  prodotti lattiero caseario che la Vegetarian Society si ritrovò divisa in due fazioni; nacque così la Vegan Society e il termine Vegan, coniato estrapolando da “Vegetarian” le prime tre lettere e le ultime due. L’esplosione vera e propria della cultura e della filosofia Vegana, e ovviamente della commercializzazione dei prodotti che la caratterizzano iniziano però nel 2010.

La cucina vegana da allora ha preso piede in tutto il mondo con un assortimento molto vasto. Lidl, in Germania si è posta un problema tutt’altro che secondario convinta che il consumo consapevole e sostenibile può essere diffuso solo se la dieta è più facilmente accessibile a tutti. Ad oggi, i prodotti alternativi vegani nella vendita al dettaglio di prodotti alimentari sono significativamente più costosi dei prodotti di derivazione animale.

Lidl, guardando alla probabile evoluzione dei consumi,  ha deciso di abbinare sugli scaffali  i prezzi di quasi tutta la gamma del marchio vegano Lidl-Vemondo a prodotti comparabili di origine animale. Ha recentemente annunciato che introdurrà la parità di prezzo per la maggior parte delle sue alternative vegetali agli alimenti di origine animale tramite il marchio proprio Vemondo.  Di conseguenza, gran parte dei prodotti Vemondo saranno disponibili in futuro allo stesso prezzo base dei loro prodotti di confronto di origine animale.

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Il discount Penny in Germania diventa protagonista in una soap. Funzionerà?

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Un posto al sole è una soap opera italiana in onda su RAI 3 dal 21 ottobre 1996 prodotta a Napoli.  È la più longeva di tutte. In Germania, la soap opera tedesca “Unter Uns” (tra di noi) la supera come anzianità. Si tratta della seconda soap più vista del canale dopo “Gute Zeiten” ma a differenza di questa e di “Verbotene Liebe”, non è un adattamento ma una produzione originale.

La prima puntata risale al 1994. 7300 episodi. Le vicende sono ambientate a Colonia e ruotano attorno agli abitanti di uno stabile situato al 10 di Schillerallee, una via immaginaria, dove la famiglia di panettieri Weigel ne è da sempre al centro. Per la tipologia degli appartamenti e degli amori tra inquilini, la serie ammicca al serial Melrose Place e, nel corso degli anni, diverse famiglie sono cambiate insediandosi nella palazzina. La serie cerca di mantenere sempre un impatto reale, pur non mancando gli ingredienti tipici del genere tra relazioni sentimentali, complotti di potere e inganni.

La fiction è girata a Kalscheuren, una frazione di Hürth, nella Renania Settentrionale-Vestfalia. Da “un passo dal cielo” a “Montalbano”, dal Commissario Ricciardi fino all’”Amica Geniale” per ricordare le più note, la storia proposta e il luogo dove viene girata sono un binomio vincente. Una serie di ricerche internazionali, infatti, motivano l’incremento del turismo a Napoli piuttosto che in Alto Adige, grazie alla trasmissione di alcune serie televisive che mostrano dalle inquadrature la particolarità del territorio e delle tradizioni popolari.

Addirittura l’87% delle persone che vivono in altre parti del mondo e che hanno visto di film e serie TV con quel contorno ha espresso il desiderio di volerci andare almeno una volta nella vita. Ricordo in una recente visita a Civita di Bagno Regio una presenza che mi sembrava un pò esagerata di giapponesi attratti da quel luogo semplicemente perché avevano visto a casa loro Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini che come set della bottega di Mastro Geppetto aveva scelto quella bellissima cittadina. Il binomio sembra  funzionare sempre. Leggi tutto “Il discount Penny in Germania diventa protagonista in una soap. Funzionerà?”

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Metro. Alla ricerca di nuove traiettorie di business…

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Specialista della food distribution per l’horeca con focus sulle imprese della ristorazione di taglia medio-piccola (21 milioni in tutto il mondo), Metro è  presente in 35 paesi con oltre 150.000 collaboratori.  I marchi principali sono Metro e Makro nei cash & carry, e Real nei supermercati (un’insegna molto nota soprattutto in Germania, mentre Metro è un global brand).

METRO Italia, con uno staff di oltre 4.000 dipendenti, è specializzata nel commercio all’ingrosso nel settore Horeca. È presente in Italia in 16 regioni con 49 punti vendita all’ingrosso. Ha un’offerta di servizio integrata con diverse modalità di acquisto in funzione delle specifiche esigenze: dalla consegna (Food Service Distribution – FSD) al Cash and Carry e al canale digitale Mercato Online. La rete distributiva si completa con due depositi rispettivamente nelle aree metropolitane di Milano e di Roma, dedicati esclusivamente all’FSD. L’azienda ha circa 200.000 clienti con un focus specifico sulla ristorazione e l’ospitalità (Horeca). Nell’anno fiscale 2021/2022 METRO Italia ha generato vendite pari a 1,8 miliardi di euro.

Nonostante questa “potenza di fuoco” in Italia è impegnata a confermare nuove traiettorie di business che hanno stentato a funzionare negli ultimi  anni. Il 2023 è stato un anno in salita e quindi si è evidenziata la necessità di ri-concentrarsi sul business principale. Da qui una delle ragioni dell’interruzione della partnership con il gruppo Végé che avrebbe dovuto durare fino al 2024 è che si conclude con un anno di anticipo. Giorgio Santambrogio AD di VéGé lo spiega (https://bit.ly/3M0T8Af) in un’intervista a Distribuzione Moderna con la sua consueta dose di diplomazia.

Un indubbio successo per la capacità di aggregazione a suo tempo di Végé probabilmente interrotto anche a seguito dell’arrivo ad aprile del nuovo CEO e delle strategie di business del gruppo Tedesco. Solo un anno fa Romain Pobè, Direttore Commerciale di METRO Italia dichiarava: “Siamo convinti che soltanto facendo squadra potremo superare le sfide che il contesto economico mondiale attuale ci pone permettendoci di continuare ad essere il partner d’eccellenza per il mondo Horeca”.

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Unes. Una procedura di riduzione di personale può superare il Contratto nazionale?

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Sulle problematiche che coinvolgono Unes e le sue prospettive ho già scritto a luglio  (https://bit.ly/3rWswcn), così sull’annuncio dell’apertura della procedura (https://bit.ly/3rN2Uit). Se provo però a leggere nel merito la procedura di riduzione del personale (artt.4 e 24 legge 23 luglio 1991 n.223) promossa da Unes Maxi, con il distacco necessario  e immaginandomi la reazione sindacale, non posso non manifestare le mie perplessità. E questo al di là dei numeri, dell’impatto economico che si propone di raggiungere e delle persone coinvolte. Ma, procediamo con ordine. Partiamo dalla classificazione prevista dal  CCNL di categoria che, pur in ritardo di rinnovo, è tuttora valido. 

Primo livello (ho estrapolato ciò che riguarda la GDO). A questo livello appartengono i lavoratori con funzioni ad alto contenuto professionale anche con responsabilità di direzione esecutiva, che sovraintendono alle unità produttive o ad una funzione organizzativa con carattere di iniziativa e di autonomia operativa nell’ambito delle responsabilità ad essi delegate, e cioè:[….]  2. gestore o gerente di negozio, di filiale, o di supermercato alimentare anche se integrato in un grande magazzino o magazzino a prezzo unico;

Secondo livello (ho estrapolato ciò che riguarda la GDO) . Appartengono a questo livello i lavoratori di concetto che svolgono compiti operativamente autonomi e/o con funzioni di coordinamento e controllo, nonché il personale che esplica la propria attività con carattere di creatività nell’ambito di una specifica professionalità tecnica e/o scientifica, e cioè: 1. ispettore; 2. cassiere principale che sovraintenda a più casse; […]
5. addetto alla esecuzione di progetti o di parti di essi; 6. capo di reparto o settore anche se non addetto ad operazioni di vendita;

Un testo chiaro, difficile da interpretare diversamente. Una differenza tra i due livelli piuttosto marcata nelle declaratorie.  E come si inserisce il cosiddetto “referente di punto vendita” citato nella procedura e il suo rapporto gerarchico con altri pari livello presenti nel PDV?

Aggiungo che chi è del mestiere credo sappia benissimo cosa fa un responsabile di punto vendita. Ed è molto di  più di quello che prevede la declaratoria. È il garante del PDV, il volto dell’azienda che il cliente vede, la persona in grado di intervenire su ogni problema e di supportare tutto il team. A volte di sostituirne le attività.  Leggendo la procedura, al contrario, parerebbe di capire che, per l’estensore della stessa, sarebbe possibile gestire un negozio di una certa dimensione, le attività commerciali, le priorità, gli intoppi  della logistica, il rapporto con i clienti e le risorse umane interne e le loro problematiche da parte di soggetti che opererebbero “al di fuori del punto vendita”, presumo nella Direzione Centrale, avvalendosi di un mero esecutore all’interno di ciascun  punto vendita. Mi sembra molto improbabile.  Leggi tutto “Unes. Una procedura di riduzione di personale può superare il Contratto nazionale?”

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Unes. Il Viaggiatore è arrivato al capolinea?

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La storia di Unes è la storia di una piccola catena che nella sua crescita ha sempre cercato di essere un punto di novità e di riferimento per l’intera GDO. Nata nel 1967, viene acquisita da Marco Brunelli nel 2002 ed entra in un gruppo dalle grandi ambizioni. Finiper, aveva da poco rinunciato all’acquisizione di Standa passata al gruppo tedesco Rewe. Un dinamismo e una voglia di crescere di uno dei personaggi più importanti della GDO italiana che ho già raccontato (https://bit.ly/3rWswcn).

Il contesto competitivo, l’avanzata dei discount nei suoi territori principali di attività, l’avvicendamento manageriale, la stessa età avanzata del loro pur lucidissimo leader, hanno fatto emergere una pesante difficoltà che sta costringendo l’azienda a ripiegare e ad affrontare il tema dei costi, non come normale e oculata politica gestionale, ma come ultima chance, temo,  prima di decisioni più drastiche.

Lo scrivo con profondo rispetto perché gli ultimi anni di Standa, che ho vissuto da protagonista, hanno seguito un’identica traiettoria. Da politiche commerciali sempre più deboli, alla fuga delle migliori risorse umane e manageriali. Dall’azzeramento della contrattazione aziendale, a tutti quegli interventi di demansionamento e di riduzione di personale a getto continuo, tipici di situazioni dì avvitamento organizzativo e manageriale che, purtroppo, non precedono alcun improbabile rilancio. L’esperienza in ristrutturazioni aziendali mi ha fatto identificare una sorta di  “indice di ribaltamento”, raggiunto il quale, ogni intervento diventa accanimento terapeutico. Ovunque ci si trovi.

Indipendentemente dall’insegna è chiaro che quando si abbandona una identità costruita negli anni e non si propone nulla di nuovo,  i consumatori vanno altrove. È successo, come cliente,  anche a me. Unes era la mia insegna di riferimento a Milano. Come Poli in Val di Sole. Dopo gli anni vissuti a Corbetta e il mio trasferimento a Milano, il punto vendita di Buccinasco  era l’alternativa da me scelta per trovare la qualità dei prodotti proposti dal “Viaggiator Goloso”. Un interessante suggerimento di acquisto nella banalità dell’offerta sui lineari. Leggi tutto “Unes. Il Viaggiatore è arrivato al capolinea?”

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Dal caro carrello al carrello tricolore. La Grande Distribuzione supererà compatta il prossimo trimestre?

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L’operazione “carrello tricolore” è finalmente decollata pur con qualche difficoltà di implementazione tra decisioni e messa a terra. Repubblica l’ha già segata.  Tutto come previsto. Servirà almeno una settimana  per andare a regime. C’è fretta di liquidare negativamente l’evento. Dall’esterno, per demolire un embrione sgradito di patto sociale e dall’interno perché la GDO muovendosi come comparto, e non insegna per insegna, disturba chi sulle divisioni e sulla competizione tra insegne ci ha costruito le proprie teorie. L’elenco delle realtà che hanno aderito è disponibile (https://bit.ly/3RH7MjW). Polemiche, dubbi e mal di pancia accompagneranno questa operazione fino alla scadenza,  come era assolutamente prevedibile. Con il testo ancora caldo delle 32 firme, dei sorrisi e delle strette di mano con il Presidente del Consiglio, anche lo stesso Presidente di Federdistribuzione intervistato da Repubblica,  si è fatto prendere la mano reinterpretando  il  Tom Cruise di Minority Report, e, annunciando, in un modo assolutamente intempestivo che uno dei firmatari, l’industria di marca, con il suo comportamento ondivago contribuirà, di fatto, a depotenziare l’intesa.

Io avrei atteso  il “reato” per contestarlo, piuttosto che darlo per scontato. C’è un problema di coerenza complessiva dell’accordo ed è dato dal contributo di tutti i partecipanti. Grande o modesto, si dimostrerà. Al di là del Governo che non ha alcuna intenzione di intestarsi un eventuale fallimento. Lo scaricherà inevitabilmente sull’ultimo anello della catena. L’IDM lo ha firmato, pur a modo suo, obtorto collo. Però lo ha firmato. Ed è su questa firma che occorre tenere alta la guardia.

Altri sui social banalizzano, già ora, i possibili risultati.  Innanzitutto i pattoscettici, quelli che hanno già deciso che siamo di fronte ad un banale esercizio di stile.  “Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia concluso qualcosa di buono” amava ripetere Giovanni XXIII. Poi c’è ovviamente, chi contesta politicamente questo governo, e quindi, ne sminuisce la portata. Infine i benaltristi e i sognatori. Quelli che pensano che bisognerebbe sempre fare altro. Ovviamente sui social sono i più agitati. C’è poi chi non avrebbe voluto fare nulla, chi ipotizza la diminuzione dei prezzi per decreto, chi sogna aumenti di stipendi generalizzati, chi la giusta remunerazione per tutta la filiera con il conto spedito altrove e messo in carico alla collettività. O al consumatore finale. Giorgio Gaber nella sua famosa canzone quelli che….. avrebbe concluso questo elenco con un Oh Yeah!

Poi fortunatamente ci sono le insegne della Grande Distribuzione e del commercio in genere. Quelle che hanno dato mandato alle loro associazioni. A cominciare dalle principali che si stanno già muovendo con convinzione sperando di non essere lasciate sole dal Governo e dal resto della filiera nel confronto di merito che dovrà seguire nei prossimi mesi. Per ora, le insegne rappresentano  il colibrì della famosa storiella africana. L’incendio della foresta consiglierebbe a tutti di scappare. Di lasciar perdere. Lui no. Con nel becco la sua goccia d’acqua vola sopra l’incendio. E a tutti quelli che scappano e che lo deridono e che gli chiedono cosa pensa di fare con quella goccia d’acqua nel becco lui risponde tranquillo: “la mia parte, solo la mia parte”.

La stragrande maggioranza delle insegne ha deciso di scommetterci  sul serio e di fare la propria parte. Certo c’è chi è convinto  di averlo  sempre fatto (le famose vecchie e care promozioni). E chi in questi due anni ha sacrificato parte dei suoi margini per tenere volumi e clienti. Ma nessuno, fuori dal perimetro, gliene renderà  merito. Il passato conta poco.  Il “caro carrello” era addebitato alla GDO non agli aumenti dei listini, più o meno giustificati.  I clienti, come ho già scritto, leggono lo scontrino. Non le dotte elucubrazioni sulle cause internazionali dell’inflazione o degli andamenti delle materie prime. In questo senso nell’operazione in corso oltre alla normale passerella a favore di telecamera del Governo, c’è ovviamente una componente di comunicazione esterna  importante da parte della GDO senza la quale si sarebbe scatenata una campagna mediatica difficile da arginare. E questo avrebbe determinato a sua volta una rincorsa confusa e pasticciata sui prezzi, insegna per insegna, per rimbalzare le accuse. Questo rischio è, per ora, alle spalle.
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Patto anti inflazione. Trentadue partecipanti al via….

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Non siamo certo al Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (Protocollo Ciampi-Giugni) del 23.07.93 ma l’accordo firmato dal Governo con le 32 associazioni della distribuzione, dell’industria, dell’artigianato, delle cooperative e del mondo dell’agricoltura è un segnale importante. Pur caratterizzato dalla classica liturgia prevista in questi casi a favore di telecamera per enfatizzare l’avvenimento, il ruolo del Governo  e dei  firmatari, il passaggio era comunque delicato e affatto scontato.

Il cosiddetto Trimestre Anti-inflazione prende il via alla presenza istituzionale della Presidente del Consiglio e dei ministeri competenti. Centromarca e Ibc che avevano tentato, in un primo tempo di sottrarsi “hanno confermato oggi a Palazzo Chigi, alla presenza del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, e del Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida, il massimo supporto dell’Industria del Largo Consumo al contenimento delle tensioni inflative”.

Così Federdistribuzione  che ha ribadito  “l’impegno del prossimo trimestre, durante il quale le nostre imprese potenzieranno l’offerta di risparmio per milioni di italiani, si aggiunge infatti a tutto lo sforzo messo in campo negli ultimi diciotto mesi per rallentare l’aumento dei prezzi al consumo, frenando la spinta della crescita dei costi energetici, delle materie prime e dei prezzi di listino dei prodotti industriali. Questo perché l’essenza stessa del nostro settore mette al centro la “Dedicata a te” per dare sostegno alle famiglie a più basso reddito, così come oggi il trimestre anti-inflazione che dimostra, ancora una volta, il senso di responsabilità delle nostre imprese”. E così tutto il resto dei presenti che si è  metaforicamente impegnato con la classica firma collettiva.

Rispettata la liturgia cosa succederà ora? Innanzitutto la scelta di lasciare l’assoluta libertà ai firmatari di declinare il loro impegno puntando sulla responsabilità di ciascuno e non su una imposizione sottolinea la serietà dell’iniziativa. Ci sono aumenti di prezzo inevitabili che non possono essere fermati pena la sopravvivenza di realtà economiche, altri rinviabili e altri ancora frutto di decisioni discutibili legate alle strategie delle singole imprese. Le aziende quindi sono libere di dimostrare o meno la loro sensibilità sociale e di sentirsi parte o meno di uno sforzo collettivo nell’interesse del Paese e dei consumi delle famiglie. I diciotto mesi passati che hanno visto l’impegno sul tema delle insegne della GDO sarebbero passati nel dimenticatoio o banalizzati senza la conferma di questa sperimentazione per il prossimo trimestre.

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