Grande distribuzione. Occorre rimettere al centro il lavoro…

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Eppure da noi qualcuno ci aveva creduto. Così come per i medici e gli infermieri finiti sotto i riflettori per la loro abnegazione durante la pandemia anche per il   personale dei supermercati è scattata la stessa regola: “passata la festa, gabbato lo santo”. Stando però alle dichiarazioni del nostro Governo almeno la sanità dovrebbe essere in cima ai prossimi rinnovi contrattuali. Si tratta del triennio 2022-2024, già oggi a dieci mesi dalla scadenza. Riguarda poco più di mezzo milione di lavoratori. Per il terziario e per la GDO, per ora, nulla si muove per il rinnovo del CCNL a 40 mesi dalla sua scadenza con qualche milione di lavoratori coinvolti.

Lo slogan “W le cassiere” era quindi un bluff. Simile  al “Ne usciremo migliori” urlato dai balconi. Ma quello che è successo quattro anni fa, esattamente a dicembre del 2019, non tutti se lo sono dimenticati. Anzi. Negli USA hanno addirittura fissato una data dedicata ai protagonisti di quegli avvenimenti: il 22 febbraio. Nato nel 2021, il “Supermarket Employee Day” con la partecipazione di grossisti, dettaglianti, partner di associazioni statali e fornitori, quest’anno ha appena celebrato la terza edizione proprio per riconoscere il lavoro che i dipendenti dei supermercati svolgono ogni giorno a tutti i  livello. Dal 2022 la “Giornata nazionale dei dipendenti dei supermercati”,  il 22 febbraio, è stata inserita nel calendario delle giornate nazionali da festeggiare. 

Il Presidente e CEO di Food Industry Association (FMI – L’Associazione dell’industria alimentare) Leslie Sarasin ha dichiarato: “Il Supermarket Employee Day è un’opportunità a livello nazionale per ringraziare i lavoratori del retail  per il loro importante contributo nel mantenere il nostro Paese nutrito, anche durante le circostanze più difficili come quelle presentate da una pandemia globale”. E ha  concluso: “E ora, mentre le famiglie in tutto il paese continuano a lottare con l’inflazione, i retailer si impegnano a dare priorità al servizio, al sostegno e al rafforzamento dei legami con le comunità in cui operano. Per l’83% dei negozi di alimentari  il sostegno alla propria comunità è stata una strategia decisiva per coinvolgere i clienti e differenziarsi”.

È, in sostanza, una giornata  di apprezzamento e di riconoscenza per il lavoro dei dipendenti del retail.  Oltre alla tradizionale giornata “Porte Aperte” per far conoscere il luogo di lavoro dei genitori ai figli, gli “open Day” per far conoscere ai giovani il lavoro dell’insegna attraverso incontri e testimonianze che vengono normalmente proposte dalle singole aziende non solo negli USA, in questa giornata numerose insegne hanno organizzato eventi speciali a tema.  Da noi quando si parla di punti vendita si tende a ridurre il  problema limitandolo a cassiere e personale generico.  Negli States la composizione della forza lavoro della GDO è apprezzata e ben diversificata. Comprende anche esperti di evasione e consegna degli acquisti online, analisi dei dati/tecnologi dei dati, cuochi, macellai, pescivendoli, panettieri, farmacisti, dietologi/nutrizionisti registrati e numerosi altri ruoli.

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MD. Non solo Buona spesa…

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MD è un’azienda che si smarca dalle inseguitrici  quando meno te l’aspetti in linea con la visione e l’intuito del patron Patrizio Podini. Difficile appiccicargli etichette. Sfugge alle categorie. Non si sente affatto un discount soprattutto non ne condivide la deminutio capitis associata a quel formato da parte di alcuni osservatori.  MD nel sito ne prende addirittura le distanze definendosi “uno dei più importanti player della grande distribuzione italiana, ormai lontana dai canoni del discount ma sempre più marchio della buona spesa”. Adesso è all’inseguimento dei  discount tedeschi sui terreni a loro  più congeniali: sostenibilità ambientale, impegno verso i territori  e gestione moderna dei collaboratori. D’altra parte l’imprinting dell’anziano leader  è quello.

In un’intervista di luglio a Daniela Polizzi del Corriere della Sera  Maria Luisa Podini e il fratello Marco hanno dichiarato di aver “trasferito la nuda proprietà di una quota pari al 72% del capitale sociale in misura paritaria ai discendenti in linea diretta dei nostri due rami familiari, rappresentanti della quarta generazione della famiglia, pur rimanendo, senza alcuna variazione, a nostro favore i diritti amministrativi“.

Oggi la Vice Presidente di MD SPA presenta il primo bilancio sociale: “Per MD, la sostenibilità non è semplicemente un percorso obbligato, ma un’opportunità reale di crescita virtuosa: MD è sostenibile per vocazione perché il suo progetto d’impresa si è basato sin dall’inizio sull’attenzione alle esigenze di risparmio dei clienti e sulla garanzia del migliore rapporto qualità-prezzo. Ci piacerebbe promuovere la nostra visione di sviluppo sostenibile e fungere da traino per tutte le aziende del settore”. Non è certo l’ambizione che manca in MD. L’obiettivo è chiaro: scalare la classifica salvaguardando le esigenze dei clienti, coinvolgendo i collaboratori, restituendo parte del proprio successo al territorio  e salvaguardando il più possibile l’ambiente.

Un bilancio chiuso con 3,7 miliardi di ricavi, tra i punti vendita MD e l’information technology di Dedagroup che hanno spinto la crescita del 10,61% e portato l’utile a 75,6 milioni (+2,1%). 3,4 miliardi di euro di ricavi netti, con un incremento dell’11% sul 2021, un patrimonio netto di 513 milioni di euro. E con una crescita dei ricavi superiore a quella di LIDL.
L’insegna italiana è nata 30 anni fa con il suo primo punto vendita nel Sud Italia, che oggi conta 785 punti vendita e 6 centri logistici in tutto il territorio nazionale.  Patrizio Podini, classe 1939, il cui padre Vittorio era partito con negozi di vendita al dettaglio oggi  è presidente onorario della holding.

Il primo bilancio di sostenibilità è così presentato da Maria Luisa Podini  “La buona spesa non solo a parole” descrive gli impegni messi a terra già nel 2022 (consultabile qui).  Sull’ambiente  MD ha messo in atto azioni concrete su più fronti. Tra queste, “Zero Sprechi Food”, l’iniziativa di “bollinatura” dei prodotti prossimi alla scadenza e dei prodotti ortofrutta con difetti estetici, offerti a prezzi scontati in un’ottica di riduzione degli sprechi: nel 2022, la percentuale di prodotti “bollinati” venduti è stata del 50% e l’azienda è riuscita ad evitare la produzione di ben 857 tonnellate di rifiuti alimentari. Importante il sostegno dato all’economia circolare con progetti riguardanti il packaging, con la riduzione del 12% della plastica da confezionamento (quello utilizzato per gli imballaggi viene comunque riciclato attraverso il progetto Re.Wind), la scelta di un packaging riciclabile per il 98% dei prodotti a marchio MD e in carta per il 51% dei prodotti no-food, oltre che l’uso di cassette in plastica riutilizzabili e riciclabili per il trasporto dei prodotti di ortofrutta.

Fondamentale la riduzione dei consumi energetici, attraverso politiche di efficientamento energetico, con l’incremento dell’utilizzo di energia autoprodotta da fonti rinnovabili per la riduzione delle emissioni di CO2: nel 2022 sono stati installati 30 nuovi impianti fotovoltaici sui tetti dei punti di vendita e dei centri logistici, il 43% di energia acquistata da terzi proveniva da fonti rinnovabili, e tra il 2021 e il 2022 si è registrata una riduzione dei consumi energetici superiore al 12%, mentre la riduzione di emissioni di anidride carbonica si è ridotta di 141t grazie all’ottimizzazione dei carichi e dei percorsi per la consegna delle merci (-14% del rapporto delle emissioni per mq rispetto al 2021).

Il benessere delle persone passa ovviamente attraverso la qualità e la sicurezza dei prodotti, che vengono costantemente monitorati da un team dedicato in tutte le fasi della catena produttiva e distributiva e dotati di un’etichetta chiara, trasparente e completa. L’innovazione di prodotto e la creazione di gamme dedicate ai vari modelli di alimentazione, insieme al rafforzamento del customer care e l’arricchimento di informazioni nelle piattaforme on-line (siti e-commerce, social) contribuiscono poi a venire incontro alle esigenze di vita di consumatori sempre più attenti e informati, in costante evoluzione. Il 100% dei prodotti a marchio MD viene valutato in termini di qualità, sicurezza e tracciabilità.

Sulle  risorse umane “sono state più di 375 mila le ore di formazione erogate nel 2022, con una media di 43,5 ore per dipendente, quasi 28 mila le giornate di lavoro flessibile usufruite. Sul welfare “Screening individuali gratuiti periodici” ed iscrizioni a carico dell’azienda a fondi di sanità integrativa, oltre che più di 50mila ore dedicate alla formazione sui temi di salute e sicurezza (+55% rispetto al 2021)”.

Numerosi, inoltre, i progetti a favore delle comunità e dei territori: ammontano a 6,2 milioni di euro gli investimenti per il miglioramento degli spazi urbani in relazione ai punti vendita. Da menzionare il significativo supporto fornito alla ricerca scientifica, dalla Fondazione Veronesi (cui sono stati donati oltre 300.000 euro) all’Airc, alla Croce Rossa Italiana e al Banco Alimentare, cui nel 2022 sono state donate 182 tonnellate di prodotti, equivalenti a circa 370 mila pasti. In totale, sono stati donati più di 750 mila euro ad enti benefici e a iniziative per il territorio, di cui circa 146.000 euro ad associazioni scelte dai clienti.

Al di là dei progetti della loro dimensione e della loro messa a terra le migliori realtà della GDO si distinguono se abbandonano la tendenza al social washing e dimostrano, con i fatti, non solo la volontà di crescere e mettere fieno in cascina per gli azionisti ma anche  la loro capacità di “restituire”. Innanzitutto a chi lavora per loro e poi  alle comunità dove sono inseriti e, attraverso lo sviluppo  sostenibile,  all’ambiente più in generale. 

 

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Grande distribuzione. Quando dipendenti e clienti vivono le stesse difficoltà…

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La Grande Distribuzione offre punti di osservazione molto diversi tra di loro. Ci sono quelli formali, a volte un po’ tutti uguali, offerti dalle insegne stesse, quello dei fornitori caratterizzati da “amore e  odio” a seconda del momento e della qualità del rapporto, quello dei dipendenti, sia che si sentano valorizzati o traditi. Quello dei manager che si spostano da un’azienda all’altra. E poi c’è, ovviamente quello dei clienti che lo esercitano confermando il loro interesse o disertando il punto vendita. Ciascuno ha un preciso ruolo in commedia.

Intorno a questo mondo sempre un po’ uguale a sé stesso ogni tanto si aggiungono ulteriori  punti di osservazione. Ne ho “scovati” alcuni nell’ultimo libro di Niccolò Zancan “Antologia degli sconfitti”. L’autore sottolinea: “In un tempo in cui conta solo chi vince e la vittoria consiste nell’arricchimento o nella notorietà, tutti gli altri perdono. E perdono anche il diritto alla soddisfazione, alla bellezza, alla pace. È saltato il paradigma che reggeva il secolo scorso”. L’Italia è tra i Paesi europei in cui le famiglie fanno più fatica ad arrivare alla fine del mese. A fronte di una media Ue del 45,5%, quella italiana va oltre il 63%. Con una quota del 6,9% che denuncia «grandi difficoltà», il 15,4% parla genericamente di difficoltà e il 41,7% parla di qualche difficoltà. Nel 2022 2,2 milioni di famiglie vivevano in povertà assoluta: l’8,3 per cento sul totale. Nel 2010 erano un milione e 156 mila. L’Istat spiega che sono considerate assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore a quella minima necessaria per acquisire l’insieme di beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. E non frequentano solo i discount.

Forse il paradosso  è che le stesse persone quando vanno nei supermercati tradizionali  diventano invisibili agli occhi di chi non vuole vedere. Sono “poveri” se frequentano i discount e diventano clienti altrove. Qualcosa non quadra. Oggi poi, soprattutto in alcune zone, i punti vendita sono talmente diffusi  e vicini tra di loro che non c’è da fare molta strada alla ricerca di ciò che serve. Si entra e si esce un po’ ovunque. Più dell’insegna, che interessa sempre meno, si cercano luoghi (e non luoghi)  per soddisfare le proprie esigenze nell’affanno di chi insegue distintività che spesso è solo sulla carta.

Certo c’è chi può permettersi di pagare il “giusto prezzo” che remunera con equità e giustizia l’intera filiera agroalimentare come  chiedono gli agricoltori. C’è chi, pur potendoselo permettere, sceglie altro o prodotti di importazione che costano meno e c’è chi pure non se lo può permettere e non compra più quei prodotti trasformando la spesa alimentare in un esercizio da equilibrista. Pochi nei punti vendita osservano le facce e  ascoltano collaboratori e clienti. Nel libro di Zancan si parla anche di loro. “Vite che si muovono su un piano inclinato. Quando manca la prospettiva, esiste solo il presente, e ci si cade dentro come fosse un precipizio. L’affitto da pagare, la bolletta della luce. trovare i soldi per il dentista e trovare un senso, un po’ di bellezza”. Sono gli invisibili. Esistono quelli che se la cavano e gli altri. Il libro parla degli altri. Istantanee di vita vera, vissuta ai margini.

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È successo a Firenze. Poteva succedere ovunque.

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Il dato drammatico è che può succedere ovunque e a chiunque. Non serve limitarsi a puntare il dito sull’ultima disgrazia in ordine di tempo. Nel caso specifico serve innanzitutto capire cosa è successo. I pm Francesco Sottosanti e Alessandra Falcone hanno aperto un fascicolo in cui si ipotizzano i reati di omicidio colposo plurimo e crollo colposo. Il primo passo sarà fare chiarezza sulle cause del crollo e determinare così le responsabilità penali dell’accaduto. Secondo il “Corriere Fiorentino” al cantiere del supermercato lavoravano almeno una trentina di aziende  in subappalto. Per il segretario generale di Fillea Cgil Firenze, è difficile che la trave sia stata montata male ed è anzi presumibile che sia stata la stessa componente mal realizzata, forse mal progettata o composta da materiali scadenti. “Se così fosse, l’incidente non sarebbe legato a una carenza di sicurezza nel cantiere”. Marina Caprotti, presidente di Esselunga ha dichiarato: “Esprimiamo profondo cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime del gravissimo incidente nel cantiere di via Mariti a Firenze. Siamo sconvolti per quanto avvenuto. Il cantiere in costruzione era affidato in appalto a una società terza e siamo a disposizione delle autorità per contribuire a chiarire la dinamica di quanto accaduto e per qualsiasi esigenza”.

Quindi, prima di sentenziare, occorre capire. Errore di installazione, difetto di fabbricazione o errore nella progettazione? Ruota intorno a queste tre ipotesi l’inchiesta aperta dai magistrati. A queste ipotesi si aggiungerà inevitabilmente l’analisi della  complessa filiera di appalti e subappalti. Bisognerà capire se gli operai coinvolti avessero o meno un inquadramento professionale equiparato alla loro mansione nel cantiere. Secondo  quanto è emerso, l’azienda committente e la ditta appaltatrice del crollo nel cantiere Esselunga a Firenze risultano gli stessi del cantiere di un altro supermercato sempre Esselunga a Genova, nella zona di San Benigno dove,  il 10 febbraio 2023,  tre operai erano rimasti feriti a causa del cedimento di una rampa del parcheggio: la Villata spa, l’immobiliare partecipata al 100% da Esselunga, e Aep, attività edilizie pavesi, con sede a Pieve del Cairo (Pavia)”. Esselunga è parte fondamentale di una realtà complessa e articolata. Definirla “solo” una azienda importante della GDO è riduttivo. Trasforma prodotti  come una qualsiasi impresa alimentare, è presente nell’HORECA, possiede  beauty boutique, vende vini  online e gestisce  attività edilizie con un patrimonio immobiliare considerevole.  La regia di tutto questo in termini di responsabilità e conoscenza delle problematiche che ne discendono e delle implicazioni dirette e indirette non è affatto semplice.

Landini, da parte sua,  ha già “chiuso” l’indagine (che, al contrario, sarà lunga e complessa) e punta il dito sul nuovo codice degli appalti che ha introdotto l’eliminazione del divieto di subappalto a cascata. Condivido che questo è un problema  da approfondire seriamente.   «Chi vince una gara deve essere responsabile di tutta la filiera, stesse regole per pubblico e privato” ha concluso il segretario della CGIL. Sarà un argomento di confronto politico nel Governo e tra maggioranza e opposizione. Secondo i sindacati dell’edilizia gli operai in subappalto rappresentano il 70% del totale dei morti sul lavoro. Una cifra impressionante. La  pratica del subappalto e del massimo ribasso, oltre a far risparmiare sui costi  deresponsabilizza rispetto agli incidenti essendoci la quasi certezza che i controlli oggi in carico a dieci enti diversi difficilmente ne verrebbero a capo. Dario Nardella ha puntualizzato   “C’è una differenza molto importante fra cantieri pubblici e privati. Purtroppo per i cantieri privati in Italia non abbiamo regole adeguate. E anche nel caso dei cantieri pubblici il codice degli appalti consente il ricorso al subappalto a cascata e al massimo ribasso che può determinare seri problemi. Proprio per questo coi sindacati da qualche settimana stiamo lavorando sia sul protocollo della trasparenza che sul protocollo dei subappalti”.

Per chi vive con passione e partecipazione come il sottoscritto le vicende del Commercio e della Grande Distribuzione quello che è successo a Firenze, nel cantiere dove si stava costruendo un nuovo punto vendita, resta comunque un fatto estremamente doloroso. Condivido ciò che ha scritto Giuseppe De Filippi sul Foglio “Questa tragedia potrebbe mostrare, se dagli accertamenti non emergessero specifici comportamenti dolosi, quanto la formalità dei controlli e delle autorizzazioni non consenta il raggiungimento di una sostanziale sicurezza”. Per questo condivido Giampiero Falasca sul Sole 24 ore “Non si può pensare che gli ispettori del lavoro riescano a controllare ogni azienda e ogni cantiere; serve la collaborazione di tutti gli attori per espellere dal sistema produttivo i soggetti che utilizzano la sicurezza sul lavoro come leva per ridurre i costi”.
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I trattori sono ritornati in cascina. Adesso comincia il secondo tempo

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La pronta risposta della Commissione Europea ha certamente evitato la degenerazione del disagio del mondo agricolo e ha spento sul nascere quella che stava assumendo le caratteristiche di una rivolta continentale di un intero comparto economico. A questo,  ciascun Paese ha poi messo in atto  iniziative specifiche che hanno contribuito a riportare  il clima ad un livello accettabile. Da noi, si è cercato disperatamente  di tenere aperta artificialmente una vicenda ormai chiusa,  alla ricerca, impossibile, dell’individuazione di un colpevole unico  e non, come è in realtà,  una somma di responsabilità, ritardi, inefficienze e incongruenze di una filiera che fatica ad affrontarli per limiti oggettivi e soggettivi. C’è allora chi il colpevole  l’ha trovato nella “matrigna” Europa, chi nelle politiche del  Governo, chi nell’associazionismo autoreferenziale e poco combattivo  e chi negli egoismi delle diverse componenti a valle della filiera.

Passare dalle riviste di comparto e dai comunicati associativi, che affrontano questi temi quasi quotidianamente, alle prime pagine dei giornali determina una inevitabile spettacolarizzazione delle problematiche e l’esaltazione di  leadership modeste  di esagitati che cavalcano una protesta priva di una strategia di lungo periodo. E siccome in alcune situazioni è complicato distinguere il vero dal falso, vale il vecchio  proverbio che ci spiega che di notte tutti i gatti sono bigi e quindi hanno tutti ragione a protestare, pur sapendo benissimo che,  fino a quel momento, nessuno o quasi, tra i decisori veri, si fosse preoccupato degli effetti sul comparto della velocità del cambiamento necessario per ciò che prevede il cosiddetto Green Deal, delle conseguenze della guerra ai confini della UE, delle importazioni che inevitabilmente toccano gli interessi degli agricoltori in alcuni Paesi, dell’inflazione e dei costi con cui le imprese si trovano a dover fare i conti, della differenza che tutto questo provoca sulle imprese agricole di diverse dimensioni e delle diseconomie presenti nei vari passaggi dal campo allo scaffale. E neppure sull’impatto sui consumi. 

Il confronto politico si è così  improvvisamente polarizzato puntando decisamente a monte (l’Europa matrigna) o a valle (la Grande Distribuzione). Con la destra della politica che, in genere, è portata a scegliere il primo bersaglio, mentre la sinistra il secondo. Con scene a dir poco grottesche. La Lega, i cui esponenti parlamentari chiedevano di più per gli agricoltori, a favore di telecamera schiacciando l’occhio alla protesta più radicale, aveva contemporaneamente il ministro Matteo Piantedosi (sempre della Lega) che scoraggiava le proteste convincendo gli organizzatori ad incanalarle in modalità e orari tali da renderle sostanzialmente inutili e con Giancarlo Giorgetti, anch’esso della Lega, che spiegava che le casse erano vuote e che le aspettative  non potevano essere onorate più di tanto. Un esempio di circolarità della politica  difficile da reggere a lungo. A sinistra hanno invece puntato sul classico. Sulle “scelte neoliberali fatte in questi decenni” non si sa bene da chi  o, per chi sta un po’ più al centro,  sulla voracità della Grande Distribuzione. E,  per fare questo, si sono messi ad agitare il drappo rosso della differenza del prezzo pagato all’agricoltore con quello che il consumatore trova sul banco della GDO sperando di recuperare consenso. In mezzo a questa sarabanda di confusione, annunci e interpretazioni, i media ci hanno messo del loro.

Fortunatamente Coldiretti, messa sotto accusa da più parti, ha mantenuto la calma, ha bruciato qualche copertone a Bruxelles e incontrato la Presidente del Parlamento europeo, in Patria ha rinserrato le fila organizzando le assemblee territoriali con i suoi associati, ha incontrato il Governo Italiano ottenendo tutto ciò che era ottenibile in questo contesto economico. Ovviamente in accordo con le altre organizzazioni principali del comparto (Confagricoltura, Cia, Copagri, Alleanza Coperative). La protesta si è così sgonfiata, gli estremisti, le loro sigle e le loro roboanti parole d’ordine sono stati messi in un angolo e le notizie di rievocazioni storiche di fantasiose “marce su Roma” sono sparite velocemente dalle prime pagine. Resta qualche talk show, per chi li guarda, dove i partecipanti  per catturare l’ascolto se la cantano e se la suonano tra di loro.

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La saga dei Caprotti tra due verità, un padre e due fratelli.

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Leggendo la descrizione del padre, proposta dai  due fratelli Caprotti, sembra di  rivivere la parabola indiana dei ciechi a cui è chiesto di descrivere un elefante semplicemente toccandolo con una mano. Lo stesso elefante  viene così presentato, a chi ne ascolta il resoconto, in modo completamente diverso. C’è chi lo racconta  come una colonna avendogli toccato la gamba, chi come una lancia avendogli toccato le zanne e a chi come una frusta, avendogli toccato la coda. Un padre che con il primogenito si comportava più da capo azienda  passando una parte del suo tempo a frustrarne l’iniziativa in competizione perenne con lui mentre  con la figlia “sbucciava i piselli” dopo la spesa al supermercato.  Intollerante e crudele con il primo, affettuoso e premuroso con la seconda al punto da improvvisare “negli ultimi giorni di vita, lucidissimo, istruzioni pratiche su tutto, a cominciare dai collaboratori” come racconta in una intervista al Corriere la figlia Marina.

Una frattura verticale maturata negli anni assolutamente non ricomponibile che ha coinvolto amicizie, manager, collaboratori aziendali ad ogni livello. Tutt’altro che superata. E che per la natura, la dimensione e la composizione, poco più che familiare dell’azienda, caratterizzerà a lungo i giudizi sulla qualità delle scelte manageriali, sui protagonisti di quelle scelte e sulle prospettive future di Esselunga. Le traiettorie vincenti imposte da Bernardo Caprotti ma anche quelle che hanno visto protagonista il  figlio Giuseppe costituiranno  una pietra di paragone costante, fastidiosa ma inevitabile per chi deve dimostrare “qui e ora” e per gli anni a venire di meritarsi sul piano delle scelte imprenditoriali ciò che l’eredità le ha messo a disposizione. E che rende interessante, almeno per il sottoscritto,  seguirne gli sviluppi.

È chiaro che il successo del libro  “Le Ossa dei Caprotti” è un po’ figlio della predisposizione, tipica nostrana, di guardare gli altri attraverso il buco della serratura. Giuseppe Caprotti ha distribuito fatti e racconti di cui è stato protagonista diretto o come “testimone informato sui fatti” per raccontare la “SUA” verità. Il lungo tempo preso per metabolizzare quello che per lui ha rappresentato un grave torto subìto e per descriverne le ragioni ne è la testimonianza. Chi lo ha criticato per la mancanza di sensibilità, generosità e capacità di perdono cristiano per ciò che ha ricevuto comunque in cambio ha dovuto sfoderare un paternalismo d’antan. È certamente più facile metabolizzare i torti (presunti o reali)  altrui, che i propri.

Giuseppe Caprotti è stato “forgiato” e istruito  fin da ragazzo per assolvere un compito preciso: guidare l’azienda di famiglia. Rinfacciare oggi, status o denaro, ad un signore borghese di  quasi sessantaquattro anni,  ricco e benestante, cresciuto e abituato agli  agi da generazioni è un po’ banalizzare una realtà amara. Capisco che molti nella GDO lo ritengano semplicemente il “giovane figlio” di Bernardo  Caprotti, oggi come ieri,  ma nessuno nel mondo del business pensa di accusare  di ingratitudine gli eredi di Agnelli con madre e figli che si trascinano in tribunale con stuoli di avvocati. O le vicissitudini familiari  dei De Benedetti, Benetton o Del Vecchio per citare solo i più noti. O all’estero i Murdoch e le lotte intestine in casa Volkswagen tra la famiglia Porsche, erede diretta del fondatore, l’ingegner Ferdinand, e quella dei successori Piëch. La differenza è che, di solito, splendori e miserie non finiscono sotto i riflettori  descritti così brutalmente e minuziosamente. Che si sia sentito tradito e offeso ingiustamente, ci sta. Soprattutto dopo aver dedicato una lunga parte della propria vita all’azienda e dopo aver dovuto accettare, obtorto  collo, di passare la mano non ad un agguerrito competitor proveniente da oltreoceano ma alla giovane sorella che mai aveva messo piede in azienda e che non era stata “costretta” a subire un’iniziazione aziendale lunga e faticosa con un finale ritenuto, da lui, drammatico che ne ha segnato il profilo umano e manageriale. Leggi tutto “La saga dei Caprotti tra due verità, un padre e due fratelli.”

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Grande distribuzione tedesca. GO Rewe, GO….

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“La tecnologia che usi non impressiona nessuno.
L’esperienza che crei con essa è tutto” Sean Gerety

A due passi dalla foresta di Teutoburgo nel Land della Renania Settentrionale Vestfalia dove nell’anno 9 d.C. le truppe germaniche tesero un’imboscata all’esercito di Publio Quintilio Varo, distruggendolo e fermando per sempre espansione romana  sulla sponda orientale del Reno c’è Paderborn, una città universitaria, sede della più antica università della Vestfalia e del più grande museo di computer del mondo.

Nel centro commerciale Libori, Late Bird Deutschland GmbH (www.mylatebird.de), una piccola azienda con 38 collaboratori ha aperto un piccolo supermercato completamente automatizzato. La prima versione, credo, ad essere installata in un centro commerciale. Un’evoluzione del modello testato anche da Carrefour a Bruxelles di cui avevo scritto (https://bit.ly/48ySanC).  Il prototipo  era già stata implementata  in alcune località della Germania dal 2022 come soluzione tipo “container”. Le sedi, operative dal 2022, includono il parco di ricarica EnBw e Ionity per auto elettriche. Con l’ultimo aperto a Lichtenau/Chemnitz sono già quattordici in Germania. Ad oggi  i “Late Birds”  presenti sulle strade tedesche sono gestiti  con il marchio Rewe Ready.

Il Late Bird nella Galleria Libori è la prima variante posta all’interno di un centro commerciale.  “Siamo molto contenti dell’opportunità di presentarci nel centro commerciale e speriamo di stupire non solo con l’offerta, ma anche con il design del negozio”, afferma Jens Stolze, responsabile di Late Bird Product. Il sistema funziona in totale autonomia e non richiede personale, una persona è necessaria solo per ricaricare le macchine. I clienti possono scegliere tra circa 650 prodotti, anche se l’offerta, nel negozio della Galleria, è diversa da quella delle sedi autostradali i cui distributori automatici sono dotati di prodotti per il consumo “on the go” come bevande, snack, dolciumi, gelati o panini. Nella galleria, Late Bird, invece, riempie sempre più i suoi distributori automatici con alimenti di uso quotidiano come latte, panna, zucchero, formaggio, salsicce, ma fanno parte dell’assortimento anche bevande fredde, snack e dolciumi.

I consumatori ordinano i prodotti desiderati tramite il touchscreen del terminale e pagano con carta. Altro passo avanti: a differenza di Carrefour By Buy, la registrazione non è necessaria. Il sistema rende la merce disponibile sul trasportatore merci in uscita in pochi minuti. “Con le nostre soluzioni creiamo nuove opportunità affinché i consumatori possano soddisfare le loro esigenze. Il funzionamento al terminale è intuitivo, rapido e semplice. Con il Late Bird le lunghe code alla cassa del supermercato appartengono al passato”, afferma Markus Belte, amministratore delegato dell’azienda e inventore del Late Bird. Leggi tutto “Grande distribuzione tedesca. GO Rewe, GO….”

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Gli agricoltori in lotta sono come gli orsi in Trentino. Nessuno sa bene cosa fare….

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C’è un backstage tutto italiano mentre la protesta degli agricoltori dilaga in tutto il continente. Ad animarlo ci ha pensato la lotta delle associazioni agricole minori per scalzare la Coldiretti e la competizione tra i partiti che compongono il Governo in vista delle elezioni europee. A differenza di altri Paesi, dove per la loro intrinseca debolezza vengono regolarmente scavalcate, in Italia, tutte le principali organizzazioni di rappresentanza, tra i loro compiti hanno anche quello di canalizzare il dissenso dentro traiettorie accettabili. Se da noi, fenomeni di malessere sociale, non sfociano in movimenti particolarmente virulenti (gilet gialli, forconi, ecc.) questo è anche dato dal ruolo delle grandi  organizzazioni che lo presidiano. I sindacati canalizzando e stemperando il dissenso sociale del lavoro dipendente, altrimenti incontrollabile, mentre Confindustria, Confcommercio e Coldiretti, finalizzano, con la loro azione, il dissenso dei loro associati mantenendolo all’interno di una normale dialettica democratica e istituzionale.

Le dinamiche indotte della disintermediazione e l’avvento del Governo di centro destra stanno ridisegnando questi ruoli assegnando pesi e nuove classifiche. Confindustria  ha indubbiamente perso ruolo e potere di negoziazione e, a partire dalla scelta del nuovo Presidente, dovrà velocemente riposizionarsi. La vicenda Ilva e Stellantis sono, sotto questo punto di vista, paradigmatiche. Non a caso John Elkann è corso a Roma per incontri ai massimo livelli tesi ad evitare contraccolpi ingestibili nelle aziende che ha ceduto ai francesi. Sugli incentivi e sugli stabilimenti italiani  si giocherà una partita complessa.  Confcommercio, pur sensibile ideologicamente alla coalizione, ha fin da subito, scelto un profilo diverso. Intervenire se conviene mantenendo toni bassi e felpati, negoziando ciò che serve senza alzare la voce (vedi la vicenda dei balneari) e, ogni tanto, rilasciare una blanda dichiarazione di sollecitazione alla politica senza indirizzi precisi…

Coldiretti, no. Ha scelto di costruire un’interlocuzione forte e  privilegiata con il Governo. Un dare/avere preciso. Ha ragione Claudio Cerasa: “È una relazione che non ha pari. Coldiretti unisce uno spirito pragmatico ed elementi di forte modernità svolgendo un ruolo che va al di là della rappresentanza classica. Fa nomine, comunicazione, advocacy, mobilitazione, lobbying, politica, business”. È però quello che dovrebbe fare una moderna associazione di categoria. Oltretutto sta ben lavorando nella filiera agroalimentare nazionale con gli altri interolocutori.  Presto, a mio parere,   dimostrerà di avere un ruolo fondamentale anche nel riportare sulla “retta via” la stessa protesta degli agricoltori destinata a frammentarsi e a disperdersi in particolarismi proprio perché è un movimento (in Italia) che non è in grado di darsi uno sbocco concreto praticabile  e di produrre un risultato pari alle aspettative della mobilitazione. E, aggiungo, il fatto poi che i leader della protesta più dura abbiano messo nel mirino oltre alla UE, la Coldiretti e lo stesso Ministro dell’Agricoltura di un Governo, di fatto a loro vicino, è lì a dimostrare che l’approdo rischia di essere ben diverso da quello desiderato. Vale per i ribelli ma anche per chi li fomenta dietro le quinte.
Leggi tutto “Gli agricoltori in lotta sono come gli orsi in Trentino. Nessuno sa bene cosa fare….”

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Sindacato e lavoratori nella Grande Distribuzione tra Bernardo Caprotti e le teorie strampalate di Renato Curcio

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Com’era prevedibile il libro di Giuseppe Caprotti sta facendo  emergere altre letture, credo ben al di là delle intenzioni dell’autore. Alcune frasi, estrapolate dal contesto narrativo, pesano come macigni rischiando, a distanza di tempo, di apparire provocatorie e offensive non tanto per le traiettorie e gli obiettivi del racconto quanto per le strumentalizzazioni a cui si prestano.  Gabriele Arosio, pastore della chiesa evangelica battista di Bollate, raccoglie qualche aneddoto dal libro per affrontare un tema ricorrente nella storia di Esselunga: la cultura del lavoro e l’atteggiamento nei confronti dei sindacati  (https://bit.ly/48ZU4xS) e conclude il suo commento: “Certo amaro e foriero di grandi sofferenze il destino del figlio cacciato, umiliato, perseguitato e fatto oggetto di stalking durante le lunghe vicende giudiziarie seguite all’allontanamento. Ma certi silenzi tra perdenti pesano e alla fine distruggono”.

Difficile affrontare un tema così complesso all’interno del racconto di una saga familiare raccontata da uno dei protagonisti come Giuseppe Caprotti. Tra poco  uscirà la terza edizione di “Falce e Carrello” (la storia di Esselunga raccontata da Bernardo Caprotti con l’epico scontro con Coop)  uscito nel 2007, con l’aggiunta di un sottotitolo eloquente “In memoria di un uomo che non può più difendersi” insieme all’atteso intervento di  Marina Caprotti, la figlia che ha ereditato l’azienda. Era evidente che, sul piano umano,  le pesanti accuse al padre del primo, impossibilitato per ovvie ragioni a replicare, non lasciassero indifferente la seconda. Per quanto mi riguarda, provo  a restare sul tema proposto da Arosio. È sicuramente  vero che Bernardo Caprotti avesse una pessima opinione dei sindacati e che ha cercato in tutti i modi di contrastarne l’iniziativa. Come, va ricordato,  buona parte degli imprenditori, grandi e piccoli, della Distribuzione commerciale di allora.

Va sottolineato, però, che il suo concetto di azienda e di lavoro, pur essendo diametralmente opposto a quello espresso da buona parte dei sindacalisti che si è trovato di fronte, coincideva abbondantemente con il pensiero della stragrande maggioranza dei lavoratori di Esselunga. E questo, più che alla “paura” e dal profilo del personaggio estrapolati dalle affermazioni contenute nel libro, era dovuto alla forza e alla crescita continua dell’insegna, alle assunzioni, al rispetto dei contratti, alla gestione e sviluppo delle carriere interne,  alle retribuzioni (sicuramente  tra le maggiori del comparto), al coinvolgimento e all’orgoglio di appartenenza che hanno caratterizzato una lunga fase della vita di Esselunga. Banalizzare tutto questo estrapolando una frase è un primo grave errore.

Arosio quindi parte da un pregiudizio dando  scontato ciò che scontato non è. I lavoratori in Esselunga ai tempi di Bernardo Caprotti ma anche in quelli che hanno visto co-protagonista il figlio Giuseppe (certamente diverso per stile e caratteristiche) non sono stati affatto sconfitti o perdenti.  Lo è stata, al contrario, quella parte del sindacato che ha pensato possibile, in un contesto di debolezza organizzativa, di rapporti di forza sfavorevoli e di grande crescita dell’insegna, utilizzare fatti, pur  deprecabili, cercando di elevarli a sistema, nel disinteresse generale (che è altra cosa della paura) dei lavoratori occupati in quell’azienda senza così riuscire ad incidere nella realtà.   Leggi tutto “Sindacato e lavoratori nella Grande Distribuzione tra Bernardo Caprotti e le teorie strampalate di Renato Curcio”

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Amazon Rufus. Un altro balzo in avanti nella costruzione del suo ecosistema….

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Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato, in modo incontrovertibile, alcuni importanti benefici della presenza dei cani in ufficio. Migliora la socialità e la collaborazione tra colleghi, mentre si riduce lo stress legato alle tensioni sul posto di lavoro. Mi piace pensare che il nome Rufus, l’ultima proposta di Amazon, un assistente allo shopping che utilizza l’intelligenza artificiale generativa per aiutare gli utenti a cercare i prodotti, lanciato in questi giorni sia legato alla storia del colosso di Seattle.

Nel 1996 a due anni dall’avvio di quello che sarebbe diventato il numero uno dell’e-commerce, un piccolo corgi gallese vagava per i loro uffici. Oggi i cani che accompagnano i collaboratori di Amazon al lavoro sono circa diecimila. Rufus era un cane eccezionale.  Morto nel 2009, la sua presenza è ancora sentita nella sede di Seattle, dove un edificio porta il suo nome e le foto lo ricordano ancora. Era il cane di Susan ed Eric Benson. Eric, uno dei primi ingegneri informatici dell’azienda, stava costruendo il negozio online partendo da zero e Susan aveva il compito di creare consigli sui libri con un tono editoriale che trasmettesse interesse e passione attraverso lo schermo di un PC.  Erano due tra gli allora  20 dipendenti Amazon che lavoravano in un ex magazzino di forniture per pulizie. Rufus è quindi un nome importante e, credo, non scelto a caso.

È un’evoluzione di Alexa l’assistente vocale che si basa su Cloud, dotato di intelligenza artificiale, in grado rispondere a domande più o meno complesse a seconda della tecnologia integrata nei device. Un esempio di smart speaker è Siri per gli iPhone. Rufus è progettato per aiutare gli utenti a cercare e acquistare prodotti. Utilizza il catalogo di Amazon, le recensioni dei clienti, le domande e le risposte, nonché le informazioni provenienti da tutto il Web per rispondere alle domande. Generiche, all’inizio della ricerca, tipo “cosa considerare quando si acquistano scarpe da corsa?” A confronti come “quali sono le differenze tra scarpe da trail e da strada?” A quelle  più specifiche tipo  “ma sono durevoli?”, Rufus aggiunge valore e aiuta  i clienti a trovare e scoprire i migliori prodotti per soddisfare le loro esigenze.

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