Conad/Auchan. Ogni frutto ha la sua stagione…

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E finalmente l’accordo sindacale è praticamente arrivato. A dieci mesi circa dal closing i  “porcospini” presenti in entrambe le parti hanno trovato il modo di gestire i reciproci aculei ed avvicinarsi costruendo le premesse per l’unica intesa possibile in una situazione veramente complessa e certamente non semplificata dal contesto esterno.

Non l’hanno ancora firmato tutti e tre i sindacati confederali ma questo credo fosse inevitabile. È un passaggio importante per il futuro della nuova Conad. In un angolo sono così finalmente finiti quelli che l’accordo non l’hanno mai né voluto né cercato. Chi trattenuto dalla nostalgia di ciò che ha rappresentato sul piano personale e umano la propria storia sindacale in Auchan chi, probabilmente,  alla ricerca di visibilità personale.

Per chi come me ha seguito questa vicenda  con passione professionale e personale questa  conclusione era necessaria da tempo nell’interesse del futuro di questa importante realtà economica ma anche dei lavoratori molti dei quali si sarebbero trovati in una situazione di non ritorno.

L’accordo non è un colpo di mano antiunitario. Forse c’era chi sperava che la responsabilità della mediazione se la prendesse qualcun altro; il MISE o il Ministero del lavoro. Non enfatizzo nemmeno  il contesto esterno con la GDO nel bel mezzo di una situazione che potrebbe riservare amare sorprese se la vicenda del Coronavirus dovesse protrarsi. Leggi tutto “Conad/Auchan. Ogni frutto ha la sua stagione…”

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La Grande Distribuzione ai tempi del Coronavirus…

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I nodi purtroppo stanno venendo al pettine. La Grande Distribuzione ha retto il primo impatto  del Coronavirus solo grazie alla sua “fanteria”. Logistica e soprattutto il personale di filale hanno  tenuto come e quanto hanno potuto. Organici all’osso, malattie ordinarie e straordinarie del personale, turnazioni saltate, paure per sé e per i propri cari, protezioni da progettare, consumatori disorientati dalla scarsità di certezze stanno creando una situazione di pesantissima difficoltà interna in una situazione straordinaria  di crisi e disorientamento generale che riguarda  più o meno tutte le insegne soprattutto nelle zone più critiche. E non è finita qui.

Il contesto è feroce. Da un lato c’è il dramma delle imprese chiuse. Forse non ce ne rendiamo ancora conto ma, prima o poi, scopriremo che un significativo  numero di quelle imprese rischiano concretamente di fallire durante questo periodo. Non è un problema di incentivi o di sostegno al reddito dei lavoratori. Nessuna azienda può restare per 3/4 mesi in questa situazione.

Dall’altro la virulenza del Coronavirus non lascia alternative. Chiudere tutto è l’unica ricetta possibile. In mezzo c’è la Grande Distribuzione insieme agli ospedali e ai servizi essenziali. Innanzitutto, come ho già scritto, è necessario dare merito alla “fanteria”. Cassiere, banconisti, addetti al caricamento, capi reparto direttori e su spesso fino ai capi area, si sono trovati in trincea a reggere l’urto necessariamente disordinato e imprevedibile dei consumatori.

La GDO, e questo va riconosciuto a tutte le insegne, ha evitato il panico sociale, ha garantito i rifornimenti sui lineari, ha supportato lo sforzo nella fase iniziale impedendo il caos. La maggior parte delle insegne hanno fatto quello che hanno potuto ma adesso il gioco comincia a complicarsi nei tempi e nelle modalità e fa così emergere i limiti di un comparto che fatica nel suo complesso a darsi una visione e un’autorevolezza complessiva con le istituzioni nazionali comprensibilmente impegnate su  problematiche molto complesse. Soprattutto a farlo con la rapidità necessaria.
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Grande distribuzione e responsabilità economica e sociale

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L’esperienza imposta dal Covid-19 è una importante prova di maturità per la grande distribuzione. Al centro della scena subito dopo il sistema sanitario del Paese sta reggendo con professionalità e rigore l’urto del caos generalizzato provocato dall’impennata di acquisti compulsivi generati da una situazione a cui non eravamo preparati.

Nessuno ha perso la calma. Dalle cassiere al personale di filiale e su fino ai top manager si sono ritrovati improvvisamente al centro della scena e l’hanno saputa tenere a tutto campo. Alcune insegne lo hanno capito subito, altre si sono adeguate rapidamente.

Passare improvvisamente da presunti  “speculatori” della filiera, affossatori del piccolo commercio, modello di un consumismo esasperato e “sfruttatori” di lavoro povero a strutture indispensabili per governare il panico popolare, in grado di fornire servizi anche gratuiti alle fasce deboli della popolazione e supportare la stessa protezione civile nel tenere ordinate le comunità improvvisamente coinvolte dall’epidemia è stato un passo importante.

È come se ciascuna insegna nel farsi avanti e nel mettersi a disposizione  sia contemporaneamente riuscita a fare un passo indietro lasciando i riflettori sul problema e non esclusivamente sull’insegna. Esselunga ha dato indubbiamente  la linea anche per il suo essere baricentrata nelle zone più a rischio nella fase iniziale ma molte altre insegne non sono state  da meno. Spesso senza farsi notare.
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Non dimentichiamo chi lavora per noi…

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Quando il coronavirus sarà argomento di ricordo ormai fortunatamente alle nostre spalle  ci resteranno impresse  innanzitutto l’abnegazione del personale sanitario ma anche  la grande prova di tenuta delle strutture pubbliche. Ci racconteremo che non ce l’avremmo mai fatta senza di loro. E poi passeremo alle inevitabili conseguenze.

Sull’economia, su quanto i nostri comportamenti e come si sono modificati nella vita di tutti i i giorni, nel lavoro e nelle nuove priorità di create da questa prova epocale. Forse non ci ricorderemo dei tanti che, grazie al loro lavoro, ci hanno reso la nostra vita meno pesante nella quotidianità. E sono tanti.

Per loro lo smart working è rimasta una parola priva di significato. E non parlo di coloro i quali hanno subito un contraccolpo economico e personale immediato perché il loro lavoro si è fermato o fortemente rallentato. Insieme al loro reddito. Piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, partite IVA. Interi settori precipitati nell’indeterminatezza più assoluta per i quali dovranno essere trovate le risposte adeguate.

C’è un’altra categoria di persone; quelle che “devono” lavorare. Sono quelli che incontriamo tutti i giorni sulle strade per la nostra sicurezza, gli uomini e le donne dei carabinieri, dell’esercito, della polizia anche locale. Sono i trasportatori impegnati a consegnare le merci e tutti coloro che ci consentono di vivere l’emergenza con i minori disagi possibili.

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Conad/Auchan. I quadri e il loro diritto a scegliersi chi li rappresenta alla prova del nove

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“Il cavaliere tra due dame fa la figura del salame” dicevano i nostri nonni. Essere tra due fuochi non è mai auspicabile. Purtroppo succede. I quadri aziendali nel settore del commercio a differenza che in altre categorie si trovano spesso in questa situazione. Altrove sono più laici. Rispettano chi ne rappresenta le istanze e non si fanno molti problemi. Nel commercio non è sempre così.

Sopra di loro i dirigenti che godono di tutele individuali,  sanitarie e previdenziali di prim’ordine garantite da un contratto nazionale specifico gestito da Manageritalia, sotto un mondo variegato che comprende tutta quella popolazione compresa e rappresentata nel perimetro contrattuale firmato dai sindacati dei lavoratori del commercio che, osserva spesso con sospetto questa figura “ambigua” che rappresenta l’azienda, ha una sua autonomia professionale peraltro sancita dalla codice civile   ma convive nel medesimo contratto nazionale beneficiandone nei risultati, soprattutto nel passato, dovuti alla mobilitazione altrui.

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Conad/Auchan. La priorità è oggi l’accordo sindacale e il ricollocamento comunque e ovunque..

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Il direttore generale di ANCD Sergio Imolesi è stato chiaro su questo punto nell’audizione parlamentare. Conad sosterrà con pari importo il contributo messo a disposizione delle regioni alle imprese che assumeranno esuberi di Auchan (oggi Margherita distribuzione).

Personalmente ho scritto fin dall’inizio che sarebbe stato più importante sostenere economicamente i ricollocamenti possibili piuttosto che indennizzare  i licenziamenti. In questi mesi si è però dimostrato necessario lavorare su entrambi i fronti.  Le regioni possono fare molto in termini di moral suasion.

L’auspicato accordo sindacale dovrebbe definire le regole di ingaggio. In altre parole come individuare le posizioni aperte, come certificare l’incontro tra domanda e offerta, le condizioni, i termini dei rifiuti e le conseguenze. Conad con la decisione di sostenere economicamente completa le diverse opportunità da mettere a disposizione.

È importante definire le regole, il sistema di incentivazione collegato, le verifiche e, a mio parere, un gruppo di lavoro misto che dovrà gestire le possibili contraddizioni. Quindi le carte cominciano a vedersi sul tavolo. Incentivi a chi dà le dimissioni spontaneamente, ricollocamento nell’universo Conad, ricollocamenti verso terzi che acquisiscono punti vendita o spazi negli ipermercati, ricollocamenti esterni comunque intesi. A disposizione il 2020.

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Lo smart working tra aspettative, scorciatoie, illusioni e realtà…

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Pensare che il corona virus in qualche modo possa accelerare l’adozione dello Smart working nelle imprese è una delle tante scorciatoie sulla materia che si leggono in queste settimane sui giornali. A parte le poche aziende strutturate e orientate verso modelli organizzativi più flessibili per la stragrande maggioranza di quelle che si sono trovate nella necessità di lasciare a casa parte dei propri collaboratori ci sarà presto un ritorno alla normalità.

In qualche direzione HR si rifletterà se prevederlo nei futuri piani di crisi o se sperimentarlo sul serio.  Lo smart working non è affatto il semplice “lavorare da casa”. In termini generali  è lavorare “anche” al di fuori del tradizionale luogo di lavoro. In questo modo la  postazione di lavoro non è più vincolata ad un luogo fisico, ad un orario di lavoro, ad un controllo visivo della gerarchia. Fanno testo i progetti, gli obiettivi assegnati, i risultati ottenuti. I contenuti del proprio lavoro prevalgono sul contesto organizzativo nel quale questo contenuti si realizzavano in precedenza.

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Conad/Auchan. 32.500 firme per tenere in campo i francesi

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L’obiettivo che si erano prefissi un gruppo di lavoratori  circa tre mesi fa è stato raggiunto. Oltre 32.500 firme raccolte per chiedere un coinvolgimento delle aziende del gruppo Auchan ancora presenti in Italia nell’offrire opportunità occupazionali alle persone che rischiano il posto di lavoro a seguito della “fuga” della multinazionale francese del retail dal nostro Paese.

Con circa  50 miliardi di euro di fatturato, una presenza in 16 paesi e 300 mila dipendenti l’azienda di Villeneuve-d’Ascq, vicino a Lille nel profondo nord della Francia di proprietà del gruppo più familistico del capitalismo francese, la famiglia Mulliez, su cui comanda di fatto ancora  l’ultra ottantenne Gerard Mulliez a capo  dell’Association Familiale Mulliez (1.300 tra figli, nipoti, cugini e cognati) mantiene in Italia, un perimetro di  attività economiche di tutto rispetto.

L’emergenza del Coronavirus tiene purtroppo lontano l’interesse dell’opinione pubblica e delle istituzioni e questo non aiuta ma, questa iniziativa, fuori dagli schemi classici delle tradizionali vicende sindacali segnala comunque la volontà di mantenere una pressione anche sul gruppo francese, sulle sue responsabilità e sulle opportunità di lavoro che è in grado di offrire indipendentemente dalla vicenda legata alla cessione dell’azienda.

La petizione (http://bit.ly/39bHbST) è molto chiara ed è stata recapitata a tutti i potenziali decisori coinvolti in questa operazione e alle istituzioni. Per evitare equivoci di sorta è evidente che ci sono due piani molto diversi tra di loro su cui poter agire. Il primo è quello legato alla cessione a Conad dei punti vendita Auchan. Con la vendita le obbligazioni nei confronti del personale sono passate a BDC, oggi Margherita distribuzione, quindi nulla può essere contestato sul piano formale ai francesi. Gli obblighi sono totalmente in carico all’acquirente italiano.

Ci sono però aree specifiche di sofferenza occupazionale che potrebbero essere affrontate non solo e non tanto in una logica di incentivi alternativi al licenziamento ma di ricollocazione in nuove realtà e a nuove condizioni. Tutte da costruire. Aziende del Gruppo francese comprese.

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L’impasse sui contratti nazionali non è un buon segno per il Paese….

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Mi sembra che pochi osservatori abbiano colto il significato profondo dell’interruzione del trattative per il rinnovo del contratto nazionale dell’industria alimentare. Insieme al comparto chimico sono settori da sempre caratterizzati da una cultura improntata alla collaborazione tra i sindacati dei lavoratori e le associazioni imprenditoriali.

Collaborazione che non è mi venuta meno e che ha consentito in larga parte la gestione delle riorganizzazioni e i processi di cambiamento nelle imprese e nei gruppi del comparto stesso. Abbandonare il confronto dopo sei mesi di negoziato e tre mesi dalla scadenza del CCNL è un segnale forte che potrebbe indicare l’accentuarsi di un cambiamento significativo già presente altrove.

Secondo il sindacato degli alimentaristi il contrasto è di sostanza. Sul diritto soggettivo alla formazione, sugli appalti e sull’inquadramento professionale le imprese del settore sembrano intenzionate a continuare a fare da sole. E nessuna  delle due parti è interessata, più di tanto, a formulazioni generiche quanto inutili sui temi controversi ma ritenuti qualificanti, come in passato. Leggi tutto “L’impasse sui contratti nazionali non è un buon segno per il Paese….”

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Salario minimo. I rischi di una risposta sbagliata ad un problema reale…

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Se fossimo in un Paese normale la discussione sull’introduzione del salario minimo avrebbe ben altri sbocchi. In tempi passati sarebbe stata circoscritta alle parti sociali che lo avrebbero affrontato, quantificato e definito direttamente nei contratti nazionali. In fondo  l’Europa è interessata al merito più che  alla forma.

Non è certo materia che si può imporre. Però l’invito ad affrontare il problema che sta alla base di questa proposta è presente come peraltro prevedono gli accordi politici che hanno determinato l’elezione di Ursula von der Leyen. Andrea Garnero espone un suo condivisibile punto di vista sul sole 24 ore (http://bit.ly/2SPGU2q) cercando di allargare il campo evitando così una discussione sterile e ridotta  al “si o no” al salario minimo.

Come spiega correttamente Giuseppe Sabella (http://bit.ly/37ZQGU0) le parti sociali, da parte loro,  restano  contrarie ad una sua introduzione. Al massimo ne potrebbero tollerare una presenza marginale e limitata a ciò che non può essere compreso nei CCNL. Ovviamente estendendo al massimo possibile la copertura di questi ultimi oltre quel 90% che ne rappresenta il perimetro attuale.

La partita però è molto più complessa di quello che appare. Sul fronte politico il Ministro del lavoro ha, da parte sua, rotto gli indugi e presentato la sua proposta. La cifra di riferimento  sembrerebbe attestarsi  tra i 7 e gli 8 euro, in linea con i maggiori Paesi Ue (solo la Germania è sopra i 9 euro). Leggi tutto “Salario minimo. I rischi di una risposta sbagliata ad un problema reale…”

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