Qualcuno E’ GIA’ nel nido del Cuculo…

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Gli svizzeri, nostri vicini di casa, gli hanno addirittura costruito intorno un orologio chiamandolo “a cucù”. il regista Forman  ci ha vinto cinque Oscar. L’espressione “nido del cuculo” è una forma gergale che indica un “manicomio”.

Sarà un caso ma per chi studia i comportamenti di alcuni politici nostrani  potrebbe costituire un indizio concreto. Il cuculo, d’altra parte, deve la sua notorietà al cosiddetto “parassitismo di cova”.

Le uova, in genere, si assomigliano con quelle della specie “ospite”. Alla schiusa, il piccolo del cuculo si sbarazza delle altre uova non ancora schiuse presenti nel nido rimanendo unico ospite. I genitori adottivi vengono ingannati da questo comportamento e nutrono il cuculo come se fosse un proprio piccolo. Difficile immaginare un paragone più azzeccato.

Le elezioni del 4 marzo avevano certificato un importante ma insufficiente  17% per la Lega Salviniana dovuto più alla crisi di Forza Italia e alla inconsistenza di Fratelli d’Italia che alla credibilità del suo leader Matteo Salvini. La scena era interamente occupata dal movimento 5S vero vincitore della contesa. Leggi tutto “Qualcuno E’ GIA’ nel nido del Cuculo…”

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ILVA. Un dialogo tra sordi…

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Temo che quello che è stato un importante negoziato triangolare tra Governo, Arcelor Mittal e Sindacato non riprenderà almeno nelle forme conosciute fino al 4 marzo.

Carlo Calenda, ex Titolare del MISE non era riuscito a convincere una parte del sindacato a chiudere la partita prima delle elezioni. E probabilmente alcune forzature compiute in buona fede scontavano proprio la volontà di accelerare per concludere. Dall’altra parte Luigi di Maio, nuovo titolare del MISE, a mio parere, sta giocando un’altra partita.

Il sindacato, non accettando unitariamente la “sfida” di Calenda è fermo al palo e Arcelor Mittal non può che abbozzare.

Il neo Ministro pensa di poter tirare ancora un po’ la corda perché sulla riapertura dell’ILVA c’è una forte dose di ambiguità nel suo movimento. C’è un pesante costo economico da pagare ma il messaggio, uscito dalla Conferenza stampa, è chiaro: “Arcelor Mittal è in buona fede e nonostante tutto ciò che mi ha lasciato il mio predecessore che meriterebbe l’abbandono del vecchio progetto, devo andare avanti”. “Però lo farò a modo mio”.

Il sindacato al contrario non sembrerebbe esistere per il Ministro come soggetto titolato e di pari dignità in campo. “Continui pure il negoziato con l’azienda” sembra suggerire  Luigi Di Maio. Poi vedremo.

In campo ci sono il Governo, Arcelor Mittal, i cittadini di Taranto e i lavoratori. Sullo sfondo ci sono gli elettori M5S. La vicenda ILVA sembra aggiungere un altro tassello al disegno di destrutturazione del  vecchio sistema. E’ singolare che la FIOM non l’abbia capito.

I risultati elettorali nello stabilimento di Taranto, le ambiguità di una parte del sindacato, il ruolo da “quinta colonna” della Regione, e le difficoltà delle istituzioni locali, non agevolano una trattativa  di alto livello sui contenuti e l’evanescenza dell’opposizione politica non aiuta.

Quello che avrebbe dovuto e potuto essere un negoziato moderno che provava a mettere insieme lavoro, sicurezza, ambiente e prospettive produttive rischia di deragliare in un qualcosa d’altro.

Un déjà vu dove lo Stato si accollerà tutto ciò che l’azienda dichiarerà di dover accettare per chiudere la partita. Di Maio in fondo cosa vuole? Dimostrare che, nonostante lo stato della vicenda che lui ha trovato, e che fosse dipeso da lui avrebbe gestito in tutt’altro modo, una soluzione è stata individuata.

Le colpe ricadranno sul passato confermate dall’ ”autorevole” Presidente della Regione con buona pace del PD che, in questa vicenda ha mostrato tutta la sua fragilità.

Il sindacato, infine, grazie alla forte dose di ambiguità tenuta dalla FIOM rischia di non essere in grado di giocare un ruolo da protagonista ma di trasformarsi in un probabile futuro parafulmine di un intesa nella quale, gli altri soggetti in campo, nessuno escluso, hanno obiettivi che poco c’entrano con il lavoro, la sicurezza e l’ambiente. Non c’è che dire.

Sarebbe un pessimo risultato. 

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L’andamento lento dei corpi intermedi…

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Siamo in Agosto,  opposizione e sindacati, dalle dichiarazioni e dalle proposte sparate un po’ a casaccio  sembrano ancora tutti in vacanza.

Nelle liturgie di quasi tutti i corpi intermedi che ne scandiscono la vita organizzativa e mediatica ci sono momenti importanti dove si presentano all’esterno tesi e riflessioni che provano ad alimentare il dibattito politico, economico e sociale.

Il Meeting di Comunione Liberazione è certamente uno di questi. Mai banale o scontato, gli organizzatori cercano sempre di scavare nelle viscere profonde dell’uomo contemporaneo alla ricerca di senso, valori e stimoli positivi per proporre una visione del futuro legato all’importanza della comunità come luogo di crescita, integrazione, incontro con l’altro. 

Per questo motivo la sua importanza travalica i confini del movimento stesso, e, al di là della passerella dei partecipanti, più o meno famosi, è importante seguirne i passaggi proposti anche per chi cerca di riflettere sul ruolo dei corpi intermedi più in generale. Leggi tutto “L’andamento lento dei corpi intermedi…”

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Un silenzio doveroso

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Su tutto ciò che riguarda la tragedia di Genova non dirò né scriverò una parola. In campo ci sono troppi politici e giornalisti meschini, troppi sciacalli, troppi esperti del giorno dopo. Per quanto mi riguarda, riesco a vedere solo dolore e morti che non ci sarebbero dovuti essere. Le responsabilità ci sono, vanno accertate e i responsabili condannati senza alcuna indulgenza. Quello che rifiuto è che tutto questo si debba per forza trasformare in una nitida fotografia di dove può spingersi il degrado e la superficialità della politica, del giornalismo ma, purtroppo, anche di ciascuno di noi.

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Più PIL per tutti…

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Ai fautori della decrescita felice, prima o poi, qualcuno ci si doveva mettere contro. Ci ha pensato il leader degli industriali Vincenzo Boccia a pronunciare parole che sembravano ormai cadute nel dimenticatoio del 900: “se le cose non cambieranno saremo costretti ad andare in piazza”.  C’è un’aria strana intorno a noi mentre i vincitori delle elezioni del 4 marzo, Lega e 5S,  esplicitano le loro proposte per il futuro del Paese.

La Lega persegue un disegno di cambiamento percorrendo progetti e sentieri di destra.  Forte nei piccoli e medi imprenditori, punto di riferimento per buona parte del nord produttivo ma diffidente nei confronti dello Stato, dell’Europa e preoccupato dalla competizione internazionale, in questa fase Salvini ha scelto come prioritari i temi delle migrazioni e della sicurezza.

Temi non scelti a caso ma necessari a costruirsi quella autorevolezza e quella forza che il 4 marzo le urne non gli hanno concesso. L’obiettivo vero, però, sembrerebbe essere l’Europa (almeno questa Europa) e probabilmente anche l’Euro in questo aiutati anche da nuovi equilibri internazionali e dall’emergere di una spinta sovranista e antieuropea in molti Paesi del continente.

I 5S, dall’altra parte, pur scontando una imperizia e una faciloneria nei comportamenti e nelle dichiarazioni più da assemblea di condominio che da Governo del Paese, cavalcano una cultura ribellista contro l’establishment a tutto tondo, e, proponendosi come rappresentanti esclusivi del popolo, non riescono ad accettare l’idea che altri, a cominciare dai corpi intermedi, manifestino una rappresentatività in parte concorrenziale attraverso le loro burocrazie.

Nella democrazia dove uno vale uno non sono previsti altri soggetti ritenuti, più o meno, reperti archeologici del novecento. Leggi tutto “Più PIL per tutti…”

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La rappresentanza nell’era dell’uno vale uno…

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La difficoltà ad incidere concretamente la nuova realtà politica e sociale da parte delle organizzazioni di rappresentanza è sempre più evidente. Dario Di Vico, sempre attento a questi fenomeni, ritorna sul Corriere di oggi  (http://bit.ly/2KOHKVE) ad insistere su di un punto a lui molto caro: il potenziale “tradito” dagli aderenti a Rete Imprese Italia, una sorta di alleanza virtuale sostanzialmente difensiva che ha cercato di mettere insieme la rappresentanza delle piccole e medie imprese italiane.

Nata nel 2006 più per dare una dimensione intercategoriale alla protesta contro i contenuti della legge finanziaria dell’allora Governo Prodi ha scoperto, strada facendo, di poter provare ad ambire a qualcosa di più importante: una sorta di rappresentanza di un ceto medio che cominciava a pretendere, seppur in modo disordinato, un ruolo e una decisiva importanza nell’economia del Paese ma anche la propria fragilità nei meccanismi indotti dalla globalizzazione.

L’intuizione, sul piano politico, era interessante ma presupponeva una continuità che però non c’è stata. Il mantenimento di una identica volontà di equidistanza combattiva con i governi che si sarebbero via via succeduti, una generosità sul piano organizzativo e delle scelte non sempre convergenti sul piano degli specifici interessi rappresentati, una gestione a livello locale meno competitiva delle singole sigle e, ultimo ma non ultimo, una visione della evoluzione della situazione economica e della crisi che avrebbe devastato, di lì a poco, proprio le piccole e medie imprese e schiacciato verso il basso l’intero ceto medio.

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GDO tra aste al ribasso, lavoro festivo e immagine pubblica

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Adesso il tema è quello delle aste al ribasso praticato da alcune aziende della GDO ma addebitato a tutte. La ormai famosa passata di pomodoro a 31,5 centesimi con l’immagine che passa in TV dei raccoglitori ridotti in schiavitù dai caporali nei campi del sud e da gravissimi fatti di cronaca. 

Prima era quello del lavoro festivo, prima ancora del lavoro povero e precario. Non è la prima volta che insisto su questo punto. La Grande Distribuzione Organizzata ha un serio problema di immagine complessiva negativa a cui non riescono a sottrarsi neppure le imprese migliori.

Personalmente ho una grande stima per chi guida le aziende nel comparto che cercano di smarcarsi dall’essere considerate “grigie come tutti i gatti, di notte”. Però purtroppo è così e la ragione è molto semplice.

Non esiste nessun comparto economico in esasperata competizione al suo interno che si è caratterizzato nel tempo in quanto tale. Dalla più grande impresa industriale al più modesto esercizio commerciale sotto casa, da importanti settori economici come agricoltura, turismo, logistica nessuna azienda che vi opera ha mai sentito la necessità di mimetizzarsi dietro la sigla di un settore rinunciando in modo così evidente alla specificità di insegna. Leggi tutto “GDO tra aste al ribasso, lavoro festivo e immagine pubblica”

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Il sindacato dei cittadini..

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Giorgio Benvenuto ne aveva accarezzato per primo l’intuizione. La sua organizzazione sindacale, la UIL, nel congresso di Firenze nel novembre 1985 si dichiarò “il sindacato dei cittadini” cercando di valorizzare il ruolo del sindacato anche fuori dal luogo di lavoro nella difesa dei diritti dei lavoratori.

Non poteva immaginare che 35 anni dopo, nel bel mezzo di una rivoluzione pacifica quanto caotica che avrebbe infiammato il nostro Paese, un movimento di nuovo conio si sarebbe impossessato della sua idea per contrapporla al Sistema.

“Cittadini 1, Sistema 0” ha esclamato Luigi Di Maio, capo politico dei 5S, Ministro del lavoro e dello Sviluppo Economico immediatamente dopo l’approvazione al Senato del suo “Decreto Dignità”. Dietro a tutto questo c’è l’idea del cittadino che, privato dei diritti più elementari, a cominciare dal lavoro, prende coscienza del suo stato e inizia ad imporre, tramite il Movimento, nuove regole di convivenza e nuove priorità indipendentemente dal contesto economico politico e sociale nel quale il nostro Paese è inserito.

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Lavoro. Quando l’eccezione diventa la regola…

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Il caso Foodora e la sua decisione di lasciare il nostro Paese riporta in primo piano i rider e rilancia finalmente il loro punto di vista. Fino ad oggi non è stato così. Loro malgrado sono stati trasformati nel simbolo della precarietà ben più di chi lavora in nero o di chi viene sfruttato nei campi dell’agro nocerino.

Ritenuti uno dei più importanti problemi  dal neo Ministro del Lavoro Luigi di Maio, protagonisti di scioperi mediatici che non ci sono mai stati, hanno addirittura  spinto alcune istituzioni a livello locale ad inventarsi tavoli e soluzioni specifiche. Nessuna categoria professionale ha mai avuto lo stesso trattamento.

Le ragioni sono da ricercare negli ingredienti diventati subito indigesti all’opinione pubblica che rendono questa storia diversa da molte altre ben più gravi. Innanzitutto i rider come novelli Davide contro la spregevole multinazionale sfruttatrice Golia. Molti, da  genitori, ci hanno visto il destino dei propri figli impegnati nella ricerca di un lavoro che non trovano e che, trovato, non soddisfa le loro aspettative. Infine la paura del futuro. L’algoritmo, il grande fratello con le sue app che distribuisce e toglie il lavoro a suo piacimento.

A parte qualche giovane rider un po’ più politicizzato degli altri spinto dai sindacati desiderosi di entrare nella vicenda,  il grosso di loro ha assistito con una certa riluttanza a questo eccessivo protagonismo, non richiesto. La ragione è molto semplice. Nella stragrande maggioranza dei casi questi “lavoretti” sono utili sia agli studenti universitari per mettere in tasca qualcosa, sia a chi, in attesa di un lavoro, si mette a disposizione per periodi limitati e compatibili con le proprie aspettative. Ma questo approccio non rendeva mediaticamente interessante il tema.  Leggi tutto “Lavoro. Quando l’eccezione diventa la regola…”

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ILVA. Tertium non datur..

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In azienda, quando un manager viene “dimesso” viene rilanciato puntualmente il racconto delle famose due lettere da scrivere da parte del subentrante. Così come le aveva preparate in passato, chi lo aveva preceduto. Nella prima, da aprire alle prime difficoltà, c’è scritto di scaricare tutte le colpe sul predecessore. Funziona sempre. Nella seconda, però, c’è scritto solo di scrivere due lettere.. Quel momento capita, prima o poi, a  tutti.

Il Ministro Di Maio ha già  aperto la prima lettera. Secondo Giuseppe Sabella adesso ha, davanti a sé, solo due opzioni. La più logica, è quella di “costringere” ArcelorMittal a migliorare la proposta fatta a suo tempo al suo predecessore e ai sindacati prendendosi la libertà di continuare ad accusare Carlo Calenda di superficialità o peggio.

La seconda quella di assecondare la volontà dell’elettorato grillino di Taranto che vorrebbe, di fatto,  l’acciaieria chiusa. La scelta di riunire oltre sessanta associazioni per ascoltarle, un minuto a testa, è la prova che la decisione, quella vera,  non c’è ancora. Nonostante la pressione dei sindacati e il disorientamento di ArcelorMittal. Inoltre i commissari stimano l’esaurimento di cassa a settembre 2018. Lo si legge nella documentazione dei commissari ILVA portata in audizione in Senato.

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