Ritornare tutti allo stesso tavolo

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“Non l’articolo 18, ma i tempi incerti della burocrazia e della politica”. Questa frase è riportata da Repubblica dell’ 11 aprile e non è stata espressa da un sovversivo. Fa parte di un’intervista rilasciata al quotidiano dall’amministratore delegato dell’Ikea Italia, Lars Petersson, in occasione dell’annuncio del trasferimento dalla Cina all’Italia di attività che assicurerà un incremento di 200 addetti nell’azienda fornitrice. A suo parere, sono quelli i motivi veri per cui gli investitori esteri sono riluttanti a venire in Italia.

Non è un buon servizio reso al Presidente Monti, ma è sperabile che lo aiuti a rivedere tutta la strategia del suo Governo per mettere sul binario giusto l’economia italiana, che continua a mandare segnali negativi. C’è stata troppa enfasi sulla riforma del lavoro (come panacea per far crescere l’occupazione e attirare imprenditori esteri), si è messa troppa carne al fuoco (superamento del precariato, tutele universali nelle crisi) ma, al dunque, un po’ tutti si sono fatti intrappolare nell’angusto recinto dell’articolo 18. Dalle dichiarazioni che circolano, si ha la sensazione che si debba ritornare alla casella di partenza di un gioco dell’oca che doveva, invece, essere considerato concluso dopo gli aggiustamenti (pro labour) sull’articolo 18. Invece, il sistema delle imprese è insorto e vuole un risarcimento sul lato della flessibilità in entrata.

Così, l’incertezza è tornata dominante. Ex Ministri rilanciano le loro creature, anche se i fatti dimostrano che avevano alimentato brutte distorsioni nel mercato del lavoro, specie nei confronti dei giovani; la neo Ministro Fornero paventa  la fine del Governo se la sua riforma non passa; nel Parlamento ne vedremo delle belle, quando si passerà agli emendamenti. E le parti sociali ridotte a fare il tifo o al meglio, a fare  lobby, perché Monti non ha scelto di percorrere fino in fondo la via della concertazione. L’illusione di aver miglior gioco con i partiti che lo sostengono, lo hanno riportato in alto mare. Anche la carta della fiducia è, su questo tema, un’arma pericolosa. La legge potrebbe passare risicatamente, ma la tenuta politica del suo Governo potrebbe essere fortemente compromessa.

C’è un’altra via, meno spinosa e meglio gestibile? Non è facile rispondere a questa domanda, anche perché nel frattempo la casa ha ripreso a bruciare. I mercati mandano messaggi sfiducianti finanche il buono realizzato finora e l’Europa sembra essersi di nuovo assopita. Con la Germania che tira i remi in barca, almeno fino alle elezioni amministrative, non possiamo attenderci grandi colpi di genio. L’attenzione, ormai, è rivolta alla recessione che si allarga in Europa e sta dilagando in Italia. Tutti invocano misure per la crescita economica, ma nello stesso tempo, i tassi sul debito pubblico si stanno mangiando gli spiccioli disponibili per fare qualche politica keynesiana.

In questo scenario, la questione della riforma del mercato del lavoro diventa parte integrante delle scelte difficili che dovranno essere realizzate per invertire la tendenza recessiva. Ma, forse, proprio questa coincidenza può consentire di riacciuffare per i capelli una situazione che si va sfilacciando e ingarbugliando. E’ da supporre che le parti sociali, nel loro insieme, siano fortemente interessate alle soluzioni di politica economica che dovranno essere prese per il rilancio e queste vanno correlate a ciò che si può modificare sul tema della dualità del mercato del lavoro. In altre parole, qualità della crescita e qualità dell’occupazione sono strettamente connesse e le misure che le renderanno compatibili non possono che maturare da un  confronto costruttivo tra Governo e parti sociali, prima e non durante la discussione tra i partiti e nel Parlamento.

Tutti sanno che le misure da adottare hanno come presupposto l’individuazione di risorse adeguate e  ciò implica che si discuta di abbattimento debito pubblico, di tagli alla spesa della pubblica amministrazione, di messa in  vendita di assets pubblici importanti  e del demanio, di nuovo di costi della politica e finanche di misure fiscali straordinarie sui grandi patrimoni.

La si chiami come si vuole, ma il Governo Monti – se ripristinasse un tavolo di discussione sulle prospettive del sostegno alla produzione, all’occupazione e ai consumi – potrebbe recuperare in questa sede anche il tema del mercato dl lavoro, coinvolgendo le parti sociali nella individuazione delle ulteriori modifiche da apportare. Qualsiasi soluzione che scaturisse da scelte condivise, è meglio di quelle che fossero vissute come imposte da questa o da quella parte. Specie se fossero individuate entro un contesto di scelte che riguardassero anche la crescita. La concertazione non è soltanto un metodo, semmai per dare una golden share del consenso a qualcuno. E’ una scelta politica per la costruzione di un consenso innanzitutto sociale, capace di sbarrare la strada ai corporativismi e alle logiche di potere. Per questo è stato un errore non crederci e sarebbe un vantaggio proporla ora.

Questo non è un momento qualsiasi e l’antipolitica potrebbe avere il sopravvento. A Monti non si può chiedere di fare l’impossibile perché ciò non accada. Ma sicuramente va chiesto di evitare che l’azione di Governo sia in qualche modo condizionata da logiche che non favoriscano la corresponsabilità generale. Contemporaneamente, alle forze sociali, prima ancora di quelle politiche, va chiesto di  dimostrare che sono all’altezza delle sfide del momento. Hanno un patrimonio di credibilità e di consapevolezza che devono spendere per dare al Paese segnali di determinazione e di solidarietà, indicazioni di lungimiranza e di fiducia sulle capacità della gente di potercela fare. Questo è già avvenuto altre volte, in momenti altrettanto difficili e duri. Anche a vantaggio del sistema politico, che ha potuto rimontare la china dell’indebolimento proprio ed istituzionale. E così, si darebbe anche una risposta alle sollecitazioni dell’amministratore delegato dell’Ikea e di quanti, specie dall’estero, intendono investire in Italia. 

Raffaele Morese

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