Ritorni la ”buona politica” di Raffaele Morese

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L’esperienza del Governo tecnico è finita. Con un bilancio a tinte variegate. Il miglior merito è stato quello di aver pilotato l’Italia fuori dalla bufera, alimentata dai mercati finanziari e dal discredito internazionale in cui si era cacciata con il precedente Governo. Il demerito è di aver scelto una via rigorista (sia chiaro, obbligata) con politiche discutibili, soprattutto perché hanno precluso la strada dello sviluppo e dell’equità sociale. Monti si sottrae a questa critica, sostenendo che non aveva alternative al picchiare duro sulle pensioni e sulla casa. Ma così non è. Lo dimostrano tanto la vicenda esodati che, per risolverla, richiede risorse che riducono i vantaggi in termini di risparmio previdenziale, a suo tempo sbandierati come il salvataggio del Paese. Tanto la vicenda IMU, che è una patrimoniale più consistente della vecchia ICE, ma anche più iniqua nella sua distribuzione reddituale e sociale.

Monti rinunciò subito ad introdurre una patrimoniale vera, che incidesse sulle rendite ma anche sui redditi, in modo progressivo. Lo fece non tanto perché tecnicamente inattuabile in tempi brevi ed emergenziali quali erano quelli che caratterizzarono le sue prime settimane a Palazzo Chigi, ma per veti politici ben individuabili e forse al di là della sua personale convinzione. Di fatto, rinunciò a disporre di risorse sufficienti per realizzare quanto aveva promesso: rigore, crescita, equità. Ha raccolto molte risorse, ma tutte necessarie per soddisfare il primo di una trilogia che occorreva dipanare contestualmente. Quella rinuncia, oggi, non lo rende leader indiscusso, anche se il Paese deve essergli comunque grato per quanto ha fatto, in tempi così stretti e così turbolenti.

Ma il malcontento resta diffuso, ceto medio e giovani aggrediti nelle loro aspettative, meridionali sempre più ai margini della coesione sociale, imprese e lavoratori sulla difensiva spesso disperata, redditieri di ogni tipo abbarbicati alle loro posizioni di privilegio. E su tutto è dominante l’assenza di umiltà e di lungimiranza, da parte di chi fa politica, nel dare il buon esempio. Il populismo e l’estremismo di qualsiasi colore hanno terreno fertile in cui mestare. E in tempi di elezioni così diffuse – tra politiche, regionali e locali – le radicalizzazioni saranno all’ordine del giorno. Questo è il rischio maggiore che corre il cittadino nelle prossime settimane, anche se le primarie già effettuate tra Bersani e Renzi e le iniziative selettive per i candidati che avverranno tra poco, possono consolidare un metodo partecipativo che di per sé è anche recupero alla “buona politica”.

Di essa se ne sente un gran bisogno. Un ciclo è passato, anche se c’è uno sciame passatista che tenta di sopravvivere. Ma non vedremo più nani e ballerini nelle prime fila della politica. Non assisteremo più alla politica ridotta soltanto a spettacolo. Non si potrà governare strizzando l’occhio a chi si prende gioco dello Stato, evadendo, non rispettando le regole, sottraendo soldi pubblici per fini privati. Il tutto sfacciatamente. Occorrerà molto più dell’onestà, che ovviamente è merce che deve essere offerta per prima e sempre.

Occorrerà visione lunga sulla qualità della società che si intende consolidare, ben sapendo che le ragioni della solidarietà e dell’uguaglianza possono essere affermati soltanto riconducendo tutti al rispetto delle regole, privilegiando il merito e la conoscenza anche come ascensore sociale, alzando il livello della produttività e dell’efficienza con l’innovazione tecnica ed organizzativa, disboscando la vasta area delle rendite di posizione nella burocrazia, nella giustizia, nelle professioni, nella finanza.

In questo contesto e solo in questo contesto, il lavoro può trovare una sua centralità. Si tratta non solo di riprendere le fila attorno al tema dell’accumulazione capitalistica giusta, per restare un paese industrializzato e dal benessere diffuso, ma nello stesso tempo, di modellare una redistribuzione della ricchezza a favore del salario, per lungo tempo bistrattata. Anche se per troppi anni, non si è discusso di politica industriale, ci si può rendere conto che è in atto una fase di ristrutturazione a scala planetaria che può essere pagata pesantemente dal nostro Paese. Scelte strategiche settoriali e territoriali saranno necessarie per prospettare lavoro sicuro a milioni di lavoratori. Contemporaneamente, ci vuole una forte alleanza sociale perché il sistema fiscale sia messo nelle condizioni di stanare gli evasori e di privilegiare la remunerazione di capitali e salari rispetto ad altre forme di arricchimento.

Una progettualità di questa consistenza può essere concretizzata soltanto dall’affermazione della “buona politica”. La responsabilità dei partiti, mai come questa volta, è grande. Spetta, infatti, ad essi proporre una classe dirigente che possa essere credibilmente candidata a gestire una prospettiva di lungo periodo. E se questa classe dirigente non è in parte adeguata, si tenga conto che la società italiana è una miniera di competenze, sensibilità, disponibilità, voglie a cui attingere per rivitalizzare le forze politiche. Le idee hanno bisogno di donne e uomini capaci di renderle fatti.

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