Se il mismatch tra offerta e domanda di lavoro cambia segno…

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Gli anni della crisi e delle ristrutturazioni aziendali hanno portato con sé un mismatch tra offerta e domanda di lavoro di segno opposto a quello lamentato oggi. Bisogna essere obiettivi.

La scuola è stata abbandonata al suo destino, il rapporto tra giovani e imprese si è ridotto ad un problema di costo e, spesso, di mero sfruttamento, gli espulsi dal lavoro oggetto di dumping salariale.

Oggi sembra che qualcosa stia cambiando in profondità. Si è ritornato a parlare di centralità delle risorse umane nei contratti nazionali, di alternanza scuola lavoro, di formazione e di politiche attive.

Confindustria lancia l’allarme e chiede di estendere il più possibile i benefici per le assunzioni dei giovani, le imprese manifatturiere lamentano con sempre maggiore insistenza la difficoltà a reclutare laureati in materie scientifiche. Molti giornali si lanciano in campagne a sostegno delle cosiddette lauree utili.

Occorre rimettere in moto un meccanismo che si è inceppato. Evitando, però, inutili manicheismi. È vero, mancano molte figure professionali richieste dal mercato.

Nel commercio, nel turismo, nei servizi alle imprese, nei settori più innovativi. Mettiamo però in fila i problemi. Prendersela con la la qualità in sé di una laurea piuttosto che favorire la crescita di percorsi interdisciplinari è un errore in un Paese che rappresenta, in questo campo, il fanalino di coda in Europa.

Sui giovani in azienda non è sufficiente chiedere sgravi contributivi. Occorre prevedere opportunità di inserimento che valorizzino le attitudini e l’esperienza scolastica. Al cambiamento culturale necessario nelle imprese i giovani potrebbero dare molto se non venissero immediatamente risucchiati dalle logiche e dalle dinamiche tradizionali.

È la collaborazione tra culture e generazioni diverse che può arricchire il mondo dell’impresa e prepararlo alla sfida della competizione globale. Se il messaggio che verrà  fatto passare sarà che assumere giovani è solo conveniente, come pensiamo si comportino le imprese?

Così come occorre lavorare sul versante culturale e sociale per i senior che dovranno rimanere in azienda per lungo tempo e che l’attuale cultura nelle imprese considera sostanzialmente “vecchi” e non recuperabili, lo stesso lavoro andrà fatto sul versante dei giovani, sul loro potenziale contributo e sulla loro capacità di portare nell’impresa un originale valore aggiunto. Ma questo lavoro va condiviso  dagli imprenditori e dai manager. Non solo rappresentato sui giornali.

Negli anni della crisi, “giovane” è stato sinonimo di “tappabuchi” come “anziano” di “esubero potenziale”. Questo è il punto da cui partire. Il mismatch non si risolve invitando i giovani ad iscriversi a ingegneria o a matematica se non hanno quelle vocazioni!

Si risolve innanzitutto ridando valore all’impegno e allo studio, avvicinando i due mondi, rispettando il contributo che i più giovani possono portare in azienda e favorendo tutte le forme di tutoraggio, affiancamento e scambio di esperienze tra generazioni differenti.

Ne guadagnerà il mondo delle imprese e quindi anche il Paese.

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