Verso il congresso di gennaio della CGIL.

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Maurizio Landini: “I miei modelli sono Di Vittorio e Claudio Sabattini, Pierre Carniti e Bruno Trentin, Berlinguer e Ingrao”. Pausa. “E ovviamente Massimo Troisi”. Perché? “Voleva fare nel cinema quel che io vorrei fare nel sindacato: ridare dignità alla rabbia, all’indignazione, lui con la potenza del riso, io con la potenza del lavoro. Voglio cambiare l’Italia cambiando il sindacato”.

Per capire meglio il candidato alla segreteria generale della CGIL è necessario partire da qui. Manca Papa Francesco. Ma è affidata alla presenza di Pierre Carniti in quel pantheon e forse a Massimo Troisi la dimostrazione della laicità del pensiero e della presenza di un senso dell’umorismo non elitario di cui gli altri personaggi citati non ne hanno mai dato segnali.

Riconosciuto come l’ultimo dei giovani pronipoti di «Sandino», come veniva anche chiamato il leader FIOM Claudio Sabattini, Maurizio Landini sta cercando di realizzare con questa candidatura, da un punto di partenza di sinistra-sinistra, ciò che a nessuno nella CGIL era mai riuscito: dare  continuità all’aspirazione dei metalmeccanici Cgil di dettare la linea a tutta la confederazione.

A dire il vero anche Susanna Camusso veniva da lì ma la sua estrazione riformista l’aveva posta spesso in contrasto con i duri e puri della FIOM. E questo l’aveva (forse) immunizzata da quel l’atteggiamento di superiorità  tipico di chi viene da quella esperienza.  Anzi.

Il segretario generale ha dovuto spesso chiedere sostegno a molte categorie oggi in crisi di identità su quel nome proprio  per la mai sopita volontà della FIOM di esercitare una egemonia culturale sull’intera CGIL. In tempi di magri risultati per tutto il sindacato, la notorietà del personaggio, il tono alto e sicuro della voce, la capacità di tessere e distruggere alleanze così come  essere spalla nei negoziati e protagonista nelle chiusure delle trattative complesse, lo rendono molto più popolare di altri possibili candidati a cominciare da Vincenzo Colla già segretario della CGIL dell’Emilia Romagna.

D’altra parte la “pancia” e il “cuore” reclamano un condottiero “senza se e senza ma” . Forse la “testa” e il contesto spingerebbero verso  altre soluzioni.

Susanna Camusso ha provato ad aggirare l’ostacolo del probabile scontro interno con la proposta di Serena Sorrentino una candidatura che avrebbe forse rappresentato, non solo un punto di mediazione ma un vero e proprio salto generazionale sempre auspicato dal Segretario Generale.

I veti interni e forse la debolezza stessa della candidata hanno riportato in campo le due candidature più rappresentative di ciò che la CGIL è oggi e di ciò che potrebbe essere nel dopo Camusso.

In quel “voglio cambiare l’Italia cambiando il sindacato” c’è tutta l’anima, la presunzione, l’illusione  e la determinazione dei metalmeccanici di ogni ordine e grado. E’ quello che a volte me li rende simpatici a prescindere, nel grigiore generale. Però la CGIL è un’altra cosa. La CGIL non è la FIOM.

Nella gestione Landini l’organizzazione dei metalmeccanici  ha perso iscritti, vagolando dal velleitarismo della coalizione sociale fino alla liquidazione della sinistra interna. Dalla fuga dal tavolo FIAT/FCA all’innovativo contratto nazionale firmato con FIM e UILM, dalla sovraesposizione mediatica al “voto” del silenzio, da Renzi a Di Maio.

In tutto questo tempo Susanna Camusso e l’intera CGIL hanno tenuto la barra dritta contenendone spinte e controspinte. La FIOM ha smesso di essere un problema per la CGIL e forse per questo un OPA dei metalmeccanici sull’intera organizzazione è vista con preoccupazione da molti dirigenti di altre categorie.

Certo c’è l’esigenza di una leadership conosciuta da esibire dentro e fuori come certificato di garanzia, c’è una sinistra in pezzi da ricostruire e un’altra da contrastare. Ci sono poi  i 5S da stanare e l’illusione che i voti oggi conquistati dai teorici della decrescita felice e del reddito di cittadinanza possano essere riportati indietro da una sinistra politica e sociale che ormai ha la stessa presa sull’elettorato giovanile di quelli dell’arcicaccia sui vegani.

Ultimo ma non ultimo ci sono visioni sindacali differenti sul rapporto con le imprese, con CISL e UIL e con il Governo in tempi di disintermediazione.

Susanna Camusso nel video Facebook ( http://bit.ly/2pMOviT ) ha detto una cosa importante e scontata. E’ un problema che riguarda la CGIL e sarà dentro la Confederazione che il dibattito e la scelte conseguenti troveranno ascolto e dignità. Non certo sui giornali o sui social. Il risultato finale però non riguarda solo la CGIL.

L’apertura della nuova stagione contrattuale, l’intenzione del Governo giallo verde di giocare in solitaria la partita delle pensioni, del reddito e del lavoro lasciando il sindacato a presidiare le inevitabili conseguenze e le profonde contraddizioni tra comportamenti elettorali degli iscritti e scelte sindacali peseranno come macigni anche sul congresso CGIL di gennaio. Così come l’interlocuzione con le imprese.

Il modello contrattuale costruito nel 900 è alla frutta. Ma la sfida alle imprese non può essere lanciata riproponendo una impostazione superata. E neanche auspicando il ritorno alla contrattazione di prossimità senza avere né idee nuove che la favoriscano né la forza necessaria per imporla. A meno che non ci si rassegni ad inseguire strategie altrui oppure a condannarsi ad una nuova stagione di divisione tra sindacati confederali.

Tutto questo non può che rendere veramente interessante il dibattito che porterà al Congresso della CGIL e ciò che innescherà, nel bene e nel male, in tutto il movimento sindacale. 

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