In questo caso non ci sono equivoci interpretativi. Non siamo di fronte alla cosiddetta “eterodirezione algoritmica”. Per alcuni magistrati milanesi con questo termine si dimostrerebbe la colpevolezza e quindi l’illecito comportamento di alcune imprese della logistica e della GDO negli appalti di manodopera. Per quest’ultime, al contrario, la responsabilità della gestione, e anche a degli obblighi amministrativi nei confronti dei lavoratori, dovrebbe essere in capo al terzista e basta. Per ora la Procura milanese sequestra e spinge gli inquisiti ad accordi secondo il principio “cuius commoda, eius et incomoda”. Vedremo nei tribunali come finirà l’intera vicenda. In agricoltura, al contrario, non c’è alcun algoritmo in campo. Il problema è molto più evidente nella sua drammaticità. Così come le responsabilità. La differenza tra imprenditori e “prenditori” è però netta. Basterebbe ricordare che il caporalato in Italia, ha origine agli inizi del Novecento. E, nella mafia siciliana del XIX secolo, i cosiddetti Gabellotti ne sono sicuramente gli antesignani. Ma torniamo ai giorni nostri.
Nell’operazione “Turione” eseguita dalla Guardia di Finanza, reato e colpevoli sono molto netti. Il turione di asparago è raccolto in molte campagne italiane. Si taglia a livello del terreno, quando raggiunge una altezza variabile da 17 a 25 cm. La raccolta avviene in aprile e si prolunga per circa 2 mesi. Il taglio dei turioni dev’essere netto, va fatto in obliquo a 2-4 cm sotto il terreno. Non è quindi un caso che la Guardia di Finanza ne abbia adottato il nome, la stagione e il taglio netto che ne è derivato, in un’importante operazione che ha portato alla luce un vasto fenomeno di lavoro nero e irregolare nella Provincia di Bolzano e in Veneto, in collaborazione con il personale ispettivo dell’INPS.
I militari hanno passato al setaccio circa 700 posizioni lavorative di braccianti agricoli impiegati nella raccolta di ortaggi, scoprendo che oltre il 75% (488) di queste erano irregolari. La maggior parte dei salari veniva addirittura pagata in contanti, così da non essere dichiarata ufficialmente, con il conseguente versamento inferiore di contributi previdenziali e assistenziali. Durante le ispezioni, è emerso che molti lavoratori prestavano ore di lavoro significativamente superiori rispetto a quelle indicate nei contratti, con le ore in più retribuite in contanti. Un metodo che consente sia allo “sfruttato” di guadagnare sul netto che allo “sfruttatore” di guadagnare sul lordo. Pratica diffusa in diversi comparti. Inoltre, le ispezioni hanno rivelato che 21 lavoratori erano impiegati in nero, senza alcun contratto e senza la comunicazione obbligatoria alla Direzione Provinciale del Lavoro. Questo tipo di illegalità, oltre a danneggiare i lavoratori dal punto di vista economico e previdenziale, aumenta considerevolmente i rischi per la loro sicurezza. Questo consente, in caso di infortunio, di dichiarare che il lavoratore aveva preso servizio solo poche ore prima e a giustificare l’assenza di coperture.
L’operazione ha portato a sanzioni per un totale di oltre 84mila euro e ha messo in evidenza una evasione contributiva pari a circa 700mila euro. Le sei aziende agricole coinvolte, operanti nella provincia di Bolzano e in Veneto, sono state sanzionate per il mancato versamento dei contributi e per l’impiego irregolare dei lavoratori. Tra gli 8mila e i 10mila in Piemonte, oltre 6mila in Trentino, più di 10mila in Basilicata, circa 12mila in Calabria, e in tutto il Paese arrivano a 200mila: sono le lavoratrici e i lavoratori irregolari nell’agricoltura italiana, un settore che vale 73,5 miliardi di euro e in cui imperversano sfruttamento e lavoro nero. Troppo e troppo diffuso per circoscrivere le critiche all’avidità della GDO. È un modo per giustificare pratiche che non possono essere giustificate per nessuna ragione.
È un quadro preoccupante quello tratteggiato nell’ultimo Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, giunto alla sua settima edizione e presentato a Roma pochi mesi fa. (leggi qui). Su un totale di 3.529 controlli nel settore agricolo conclusi dall’Ispettorato nazionale del lavoro lo scorso anno, 2.090 hanno rilevato irregolarità, pari al 59,2 per cento. “Il punto è che le ispezioni sono ancora troppo poche. Solamente nei controlli successivi alla morte dell’operaio agricolo Satnam Singh, compiuti il 3 luglio, 25 luglio e nei primi 10 giorni di agosto 2024, sono state ispezionate 1.377 aziende agricole. Poco meno della metà di quelle compiute in tutto il 2023. Nel complesso del settore agroalimentare italiano, reati e illeciti amministrativi sono aumentati del 9,1 per cento” rileva la Flai Cgil. E poi c’è il dramma del lavoro povero, di chi lavora per vivere, ma ha paghe da fame. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Placido Rizzotto, è di circa 6.000 euro la retribuzione media lorda annuale dei dipendenti agricoli in Italia, e di 7.500 euro quella media. Questi numeri, insieme ad analisi, inchieste, riflessioni e testimonianze raccolte sul campo sull’irregolarità lavorativa in agricoltura, sono il contenuto del VII Rapporto Agromafie e Caporalato. (leggi qui).
Il Rapporto dedica particolare attenzione anche al collegamento fra precarietà e lavoro nero, fornendo uno spaccato dei numerosi problemi che affliggono il settore primario. Così come affronta il tema, quantomai delicato, della vulnerabilità delle lavoratrici agricole e il legame tra sfruttamento e violenza di genere, con focus complessivi riguardanti il Piemonte, la Basilicata, la Calabria e il Trentino. Lo studio dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil svela la strutturalità dei fenomeni di sfruttamento che non investono solo il Meridione del Paese, ma anche le regioni del Centro e del Nord, fenomeni che non di rado si intrecciano con l’inquinamento del settore da parte della criminalità organizzata. Le retribuzioni della maggior parte dei dipendenti agricoli sono al di sotto della soglia di povertà retributiva calcolata sul resto del settore privato e sono del tutto insufficienti a garantire un’esistenza dignitosa. Due terzi delle aziende controllate risultate irregolari, un lavoratore su tre non in regola, il 10% completamente in nero.
Sono numeri preoccupanti quelli che emergono dalla maxi-ispezione svolta nel 2024 in tutta Italia, nel settore agricolo, dall’Ispettorato nazionale del lavoro e dal comando dei carabinieri per la tutela del lavoro. Un blitz a tappeto per fare luce non soltanto sulle condizioni di sicurezza sul lavoro nei campi, ma anche sulla gestione dei rapporti con gli occupati, in un frangente in cui l’attenzione alla piaga del caporalato era particolarmente alta. Sono state controllate 310 aziende agricole di cui 206 sono risultate irregolari (66,45%), i lavoratori controllati sono stati 2.051, di cui 616 risultati irregolari (30,03%), di questi 216 sono risultati completamente in nero (10,53%); 786 posizioni lavorative (38,32%) sono risultate essere ricoperte da cittadini extracomunitari, dei quali 308 (39,18%) impiegati irregolarmente con 96 persone completamente in nero e 22 privi di permesso di soggiorno. Oltre a privare il lavoratore di qualsiasi diritto, oltre a non permettergli di crearsi una stabilità che possa essere garanzia per un progetto futuro (quale ad esempio una famiglia), incide sicuramente sull’applicazione ed il rispetto delle norme sulla sicurezza ed anche su tanti infortuni non denunciati.
Secondo l’ISTAT nel 2022 il valore dell’economia non osservata cresce di 17,6 miliardi, segnando un aumento del 9,6% rispetto al 2021 (+8,4% la crescita del Pil corrente). L’economia sommersa (ovvero al netto delle attività illegali) si attesta a poco meno di 182 miliardi di euro, in crescita di 16,3 miliardi rispetto all’anno precedente, mentre le attività illegali sfiorano i 20 miliardi. Le unità di lavoro irregolari sono 2 milioni 986mila, stabile rispetto al 2021. (leggi qui) Ed è solo prendendo coscienza della vastità del lato oscuro del mondo del lavoro che possiamo impegnarci per cambiarlo e non, limitandoci a girare la testa dall’altra parte.