In occasione dei gravi danneggiamenti provocati da estremisti Propal ad alcuni punti vendita Carrefour e ad un aggressivo corteo interno in un ipermercato dell’insegna francese mi è stato chiesto da diversi amici manager di condividere un parere sul senso di quelle proteste e, più in generale se mi fossi aspettato altre azioni contro il governo israeliano. Sulla coinvolgimento di Carrefour si è poi saputo che era una bufala smentita dallo stesso CEO Alexandre Bompard. Nessun rivenditore Carrefour lavora nei territori occupati. Intanto però i danni li hanno subiti i franchisee che non avevano alcuna colpa. Uno dei tanti casi impuniti dove piccoli gruppi di cretini violenti tolgono visibilità a proteste assolutamente legittime.
Aggiungo che, ad esempio Auchan, presente in Ucraina, ha mantenuto per due anni e mezzo i suoi punti vendita anche in Russia e a nessuno delle due parti è mai venuto in mente di boicottare nulla. Ideologia (in genere anticapitalista) e consumismo costituiscono uno dei tanti paradossi con cui misurarsi. Conosco persone che non vanno per principio in Coop per i suoi riferimenti politici e culturali e viceversa altri che non entrano in Esselunga da prima dell’uscita di “Falce e carrello”. Per una parte del Paese ormai l’impegno, una volta collettivo e di lunga durata, si è circoscritto a azioni individuali che lasciano il tempo che trovano. Da un’altro punto di vista una decisione come quella di Coop Alleanza potrebbe aprire scenari su centinaia di prodotti.
Come riportano enti come l’ACLED e lo IED, “attualmente nel mondo sono in corso 56 conflitti – il numero più alto dalla Seconda Guerra Mondiale – che coinvolgono direttamente o indirettamente almeno 92 Paesi, Italia compresa, e che hanno costretto oltre 100 milioni di persone a migrare, sia internamente sia all’estero, per sfuggire alle violenze. Negli ultimi cinque anni, inoltre, gli episodi o eventi violenti associabili a situazioni di conflitto sono quasi raddoppiati, passando da oltre 104.000 nel 2020 a quasi 200.000 nel 2024 (di cui metà rappresentati da bombardamenti). Questi eventi hanno causato oltre 233.000 morti nel solo 2024, una stima che, purtroppo, è molto probabilmente al ribasso. La situazione è così precaria che già da anni vari analisti e personaggi di rilievo, come ad esempio il Papa, parlano di una “terza guerra mondiale a pezzi”. Ovviamente una insegna può decidere ex ante ciò che propone sui suoi scaffali. L’idea poi che sia un’azienda e non il consumatore stesso a decidere se boicottare o meno un prodotto mi lascia perplesso. Tra l’altro il boicottaggio, come strumento di pressione collettiva, è un tipico prodotto della cultura anglosassone e non ha mai fatto breccia della nostro agire collettivo. Figuriamoci promossa da un insegna della Grande Distribuzione.
Coop Alleanza ha fatto dunque una legittima quanto discutibile scelta politica. Lo descrive bene nella sua dichiarazione ufficiale: «Coop Alleanza è da sempre al fianco di chi chiede l’immediata cessazione delle operazioni militari e condanna con fermezza il blocco degli aiuti umanitari imposto dal governo israeliano». Siccome il Governo Italiano non lo ha chiesto, Coop Alleanza 3.0 schiera sé stessa e i suoi 350 punti vendita con quella parte dell’opposizione politica che, in Parlamento e nelle piazze, lo chiede da tempo. Aggiungo che forse, con questa decisione, qualcuno cerca di entrare pure a gamba tesa nel dibattito interno del principale partito di opposizione viste le posizioni che si sono appalesate. Anche questo ci sta.
Oltre alla rimozione di questi prodotti, Coop Alleanza ha aderito alla campagna nazionale “Coop for refugees” e ha aggiunto, nel proprio assortimento la Gaza Cola. Un prodotto destinato al sostegno di progetti umanitari, tra cui proprio la ricostruzione dell’Ospedale Al Karama nel nord di Gaza. Aggiungo sommessamente che l’idea che il prodotto scelto per finanziare il futuro ospedale di Gaza sia una sorta di marca del distributore che ricorda un odiato simbolo del capitalismo americano, un po’ mi fa pensare. Mi dicono che la decisione di togliere i prodotti dagli scaffali sia stata molto dibattuta. Sarà seguita dall’intero universo di Coop Italia? Difficile da giudicare per chi è fuori o non frequenta il mondo dei soci Coop che, pur in modesta parte, spesso scambiano un supermercato per l’ultimo baluardo della democrazia diretta e passano il tempo più a misurare la coerenza politica dei vertici piuttosto che i progetti da mettere in campo. Ma tant’è.
Gestire oltre i 2 milioni di soci che compongono la base sociale di Coop Alleanza con un modello di governance complesso non è cosa facile. Il Cda è poi affiancato da una Commissione etica, un Collegio sindacale e dalla Commissione elettorale. Il Consiglio di amministrazione ha quindi valutato un rapporto presentato dalla Commissione etica, che ha portato alcuni soci attivisti a intervenire direttamente durante l’assemblea generale della Coop, tenutasi il 21 giugno scorso. Da qui la richiesta e la risposta.
Coop Alleanza 3.0 ha quindi deciso di rimuovere dai suoi scaffali alcune referenze di arachidi (le migliori al mondo) e di salsa Tahina, prodotte in Israele, e gli articoli a marchio Sodastream. Piccole cose nel concreto dall’impatto però mediatico comunque forte. Coop Alleanza ha quindi deciso di riprendersi spazio e posizionamento politico sui media. Probabilmente non li seguirà nessuno fuori da quel mondo (o quasi) e nessuno sarà influenzato dal boicottaggio in corso. Chi lo approva continuerà a ritenere che non si possa rimanere indifferente davanti alle violenze in corso nella Striscia di Gaza e crede, in assoluta buona fede, che così si possa contribuire ad ottenere l’immediata cessazione delle operazioni militari. Sarà quindi soddisfatto. Personalmente sono molto scettico sull’efficacia, sull’opportunità e sulla necessità di queste iniziative.