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Il nome del famosissimo ristorante milanese che ha rilanciato il tema è “Trippa”. Non ha l’articolo determinativo ma, dopo aver annunciato la decisione di chiudere  il sabato, oltre alla domenica, il pensiero dei sindacati di categoria e di molti giovani dipendenti della ristorazione (ma credo anche della GDO) vada al film Gli Onorevoli del 1963 dove, l’ufficiale in pensione, Antonio La Trippa, classico militare “tutto di un pezzo”, esperto ante-litteram in marketing elettorale, grida il famosissimo: Vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio La Trippa!”.

Naturalmente si tratta di un esperimento su cui Rossi e Caroli, proprietari del locale si riservano di fare qualche valutazione in funzione della risposta del pubblico. Una decisione che riapre un contenzioso  che va ben oltre i confini della ristorazione. È un tema che riemerge un po’ dovunque. Anche in GDO dove più che di week end, ritenuto fondamentale per le insegne,  si discute del lavoro nelle festività. Soprattutto tre (Natale, Capodanno e 1° Maggio) dove, con un po’ di buon senso reciproco, si potrebbe arrivare alla chiusura dei punti vendita superando le polemiche  che ogni anno precedono e accompagnano quelle specifiche aperture.  E dove, di fatto,  stanno già convergendo autonomamente, diverse insegne. Sullo sfondo ci sono le note difficoltà nella ricerca di personale, i livelli degli stipendi, la copertura di orari e l’organizzazione del lavoro non sono attrattivi per tutti. Soprattutto delle generazioni più giovani.  Il rischio è, non solo di non trovare risorse adatte, ma di perdere quelle che con grande fatica si sono formate, spinge alcune realtà della ristorazione a chiudere due giorni alla settimana. 

Il week end per la maggior parte dei ristoratori è fondamentale. Filippo Sironi, CEO e fondatore del Mannarino tuona su LinkedIn: “Cosa succederebbe se tutti i ristoranti facessero lo stesso? Chi lavora in ufficio dal lunedì al venerdì, e nel weekend vuole andare a cena fuori, cosa dovrebbe fare? E se quei lavoratori iniziassero a chiedere ferie proprio nei giorni in cui i ristoranti sono aperti? Il rischio è che, inseguendo il benessere di una categoria, si crei uno squilibrio per tutte le altre. Ogni mestiere ha i suoi tempi: l’infermiere lavora la notte, l’insegnante segue il calendario scolastico, il ristoratore lavora nei weekend. La sfida non è cancellare i giorni “scomodi”, ma trovare un equilibrio che tenga conto sia del lavoro che della vita. Se no rischiamo di trasformare tutto in un paradosso”.

Non è però un caso che alcuni tra i ristoranti più alla moda di Milano si siano posti il problema. Nel 2023 il bistrot Remulass, poi il Ratanà e il Ribot. E via via molti  in altre regioni.  Non è però una novità assoluta. È una tendenza che ha ripreso vigore dopo la pandemia. E non riguarda solo l’Italia. Per non perdere il personale, quella del doppio riposo è ormai la tendenza verso la quale un po’ tutti si stanno orientando» spiega Carlo Squeri, segretario di Epam (l’Associazione pubblici esercizi di Confcommercio Milano) al Corriere di Milano. «Una tendenza trasversale a tutto il settore della ristorazione che permette di affrontare uno dei due problemi cronici, quello della carenza di personale qualificato. In questo settore, pur molto disomogeneo, la formazione del personale è una questione cruciale. E in questo momento reperire personale qualificato, formarlo e fare in modo che rimanga negli anni è diventata la sfida più impegnativa».

L’altro problema, e non solo a Milano, riguarda invece l’aumento dei costi fissi: da quello delle materie prime alle bollette di luce e gas fino, naturalmente, agli affitti. «Per alcuni piccoli ristoratori la soluzione può essere quella di optare per la doppia chiusura in altri giorni, per esempio la domenica e il lunedì, tradizionalmente il giorno più tranquillo della settimana. In questo modo si risparmia anche sulla maggiorazione festiva dovuta a dipendenti e collaboratori, senza però rinunciare all’incasso del sabato sera». Per i ristoranti più grandi, con molti dipendenti, si possono fare i turni in modo da garantire due giorni di riposo e l’apertura sette giorni su sette. Può sembrare contraddittorio chiudere nel WE ma, per molti ristoratori milanesi carichi di prenotazioni durante la settimana, può essere la soluzione migliore.  «Cominceremo in ottobre, ora dobbiamo smaltire le prenotazioni già prese per settembre» spiega Pietro Caroli al Corriere. «Poi, oltre alla domenica che è sempre stato il nostro giorno libero, terremo chiuso anche il sabato».

I dipendenti di Trippa, una decina che si divide tra la cucina e la sala, sono tutti qualificati e formati nel tempo dai due soci fondatori: perderli sarebbe un danno. «Per noi ma anche per i nostri clienti più affezionati, che devono trovare lo stesso personale, con il quale nasce anche un rapporto di fiducia. Per farlo, non potendo aumentare all’infinito gli stipendi, servono condizioni di lavoro migliori e questa nuova organizzazione della settimana è la soluzione». Così, a parità di stipendio, c’è più tempo per stare con figli, mogli e fidanzate. Ma come compensare i mancati incassi de sabato sera? «Per noi il sabato non è diverso dagli altri giorni: lavoriamo molto bene tutte le sere. Così, per rientrare almeno in parte delle perdite, la novità è che due giorni a settimana (cominceremo con il venerdì, poi vedremo), apriremo anche a pranzo. Questo non compenserà i mancati guadagni del sabato sera: a mezzogiorno non c’è il doppio turno e normalmente si tengono più leggere, mangiano poco e bevono meno vino. Abbiamo calcolato che lavorando due giorni a pranzo incasseremo la metà. Ma forse saremo più felici». Non solo, il personale avrà anche tempo per un po’ di formazione, per esempio seguendo gli eventi che Diego Rossi in genere tiene nel weekend o, per chi si occupa dei vini, di farsi un giro di degustazioni per conoscere nuovi vini da inserire nella carta.

Estenderlo è però impensabile. La levata di scudi di molti ristoratori lo dimostra. Chiuderà chi può permetterselo. La pandemia ha comunque cambiato le abitudini sia del personale che dei collaboratori. Ad esempio i clienti ora arrivano molto presto al ristorante, questa era un’abitudine degli stranieri ora è anche una prassi italiana. Per alcuni TRIPPA però gioca un “campionato a parte”; il ristorante è sempre pieno e persone in lista di attesa tutta la settimana. Si possono permettere una scelta del genere, ma  rimane un caso più unico che raro.

Rimane il tema del benessere dei dipendenti, che nella ristorazione (e in GDO) non è banale. Può essere declinato anche in altri modi? Pur non essendo paragonabile al problema delle festività lavorate in GDO, sarebbe interessante sfruttare l’attenzione al tema causato da  queste scelte per avviare una riflessione su quali strumenti e quali modalità possano esserci oggi, in un mondo cambiato, per rendere attrattivi settori da cui i talenti stanno fuggendo o non si sentono attratti. 

 

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