Alla Coop ci sono arrivato per contrarietà. Da qualche anno in Standa Commerciale come DHR, Francesco Rivolta, CEO dell’azienda, mi chiese di sostituirlo in un viaggio a Bruxelles organizzato da Federdistribuzione per incontrare l’allora commissaria alla concorrenza Neelie Kroes proprio sul dossier Coop. Lì ho conosciuto Bernardo Caprotti il dominus di Esselunga che poi ho incontrato un altro paio di volte. Non credo sarei durato molto a lavorare con lui come DHR ma il personaggio mi ha sempre interessato. Grande ispiratore di quell’azione internazionale di disturbo nei confronti di Coop, era riuscito a trascinarsi appresso, e senza grande fatica, tutte le altre aziende, pur sue concorrenti.
Era il suo modo di indirizzare l’attività della Federazione. Aveva una capacità unica di convincere gli interlocutori che i suoi interessi coincidessero con quelli di tutta la GDO. Sì capiva benissimo che apparteneva ad un’altra categoria. Era, per gli avversari politici e sindacali, il prototipo del “sciur Padrun”. Conservatore, ruvido, egocentrico, determinato a difendere i suoi interessi di imprenditore che coincidevano, esclusivamente, con quelli della sua azienda. Nello stesso libro scritto dal figlio Giuseppe, pur nella descrizione di feroci contrasti, se ne percepisce l’unicità e, soprattutto la non riproducibilità del personaggio. Per questo resto convinto che Bernardo Caprotti abbia lasciato una sostanziosa eredità ai figli ma non abbia lasciato eredi. E questo apre a scenari futuri ancora tutti da decifrare.
Agli antipodi politici e culturali, a due passi dall’Arno, è vissuto (e vive tuttora) un altro personaggio unico della Grande Distribuzione italiana. Forse il dirigente cooperativo che più di altri ha tenuto simbolicamente testa a Caprotti: Turiddo Campaini. I due si stimavano pur non avendo nulla in comune perché, nel loro genere erano unici. Il primo, prototipo del capitalista del novecento che raggiunge i suoi risultati perché capace di dare ai propri clienti, non solo lombardi, ciò che desideravano, come lo desideravano. Il secondo, pur seguendo tutt’altro percorso umano, politico e manageriale, ha rappresentato la dimostrazione della capacità di risposta del sistema cooperativo radicato nei suoi territori fondato sulla figura del socio e sul suo coinvolgimento attivo.
Nel libro di Campaini fresco di stampa (Dal ponte di comando – Storia della cooperativa del popolo di Empoli. Valori e strategia di impresa. Edizioni Polistampa) , che consiglio a tutti, l’autore affronta, dal suo punto di vista, proprio la diversità del sistema cooperativo e la sua capacità di ottenere gli stessi risultati economici condividendoli con tutti coloro che contribuiscono a determinarli. Confermando la battuta di Sergio Staino che Campaini mette in copertina del libro, “le Coop sono l’unico Paese socialista che funziona”. Il libro è molto di più di una storia di donne e uomini e di risultati. Cosa peraltro interessantissima. È un manifesto che guarda con preoccupazione al futuro. Che cerca, pur nella posizione defilata di oggi di Campaini, di far ragionare l’intero sistema sulle priorità, sui valori, sulla necessaria unità interna, sull’inutilità dei personalismi e delle tensioni tra le singole cooperative. E per farlo ripercorre la storia della cooperativa di Empoli. La morale è che, competere, non significa assorbire ciò che di negativo il sistema privato propone ma saper selezionare il “grano dal loglio”. Ciò che ha senso imitare è il che va reinterpretato perché il DNA è diverso.
È dunque un appello che guarda al futuro che prende spunti e insegnamenti dalle umili origini della cooperativa. Racconta la storia di un percorso umano e manageriale che parte dalla città di Empoli devastata dalla guerra dove, tra i 17 fondatori della prima cooperativa, compaiono tre operai, due meccanici, due calzolai, un tipografo, tre commercianti, due industriali, due impiegati, un artigiano e un agricoltore. Un’istantanea di un interclassismo positivo che individua, nell’altro, un compagno di strada e non un nemico, e, nella solidarietà, il principale valore di riferimento. E lo fa, sottolineando che “rivisitare le nostre origini e il nostro divenire, mantenere l’umiltà di attingere da coloro che hanno costruito la realtà in cui viviamo è una base solida per affrontare il futuro”. Come dire che sono le radici profonde che determinano la solidità della pianta e la sua capacità di continuare a produrre frutti.
Sono storie di donne di uomini probabilmente sconosciuti al di fuori di quel mondo ma fondamentali per il loro impegno, la loro abnegazione e la convinzione profonda che le loro speranze si sarebbero potute realizzare. La prima parte è dedicata alle difficoltà del contesto del dopo guerra e dell’inizio delle attività e arriva fino ai profondi cambiamenti del Paese. La fatica di crescere convincendo i soci che il futuro lo si costruisce insieme giorno per giorno. La seconda parte è dedicata alla crescita, dal piccolo supermercato, all’ipermercato e, infine al superstore. Le dinamiche decisionali della cooperazione, i rapporti, spesso complessi, con le amministrazioni locali anche di sinistra, le modificazioni dei consumi, le ripercussioni sociali e sindacali. Dal rischio del fallimento, all’Italia dell’inflazione, fino al primato e al definitivo radicamento nei territori. Il tutto raccontato dal Campaini protagonista che conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che “Successo viene prima di Sudore solo sul vocabolario”…
Infine la parte dedicata agli artefici di questa avventura, “al di là e al di qua della barriera casse”: le persone. Innanzitutto, i soci. “La Coop sei tu” non è solo uno slogan azzeccato. Precede, anticipa e completa la figura e quindi la centralità del cliente e delle sue esigenze. Individua un percorso di fidelizzazione che l’intera GDO va cercando da tempo in altri modi. Il rischio paventato, tra le righe, è che, proprio laddove questo ibrido è nato pur con altre premesse, oggi si perda per strada. Lo stesso vale per il rapporto con i lavoratori e le loro rappresentanze. Coinvolgimento e condivisione rappresentano sempre più il punto di passaggio necessario dal conflitto alla partecipazione. Vero strumento da declinare in modo nuovo. E questa è la parte del libro che sento più vicina.
Che dire, in conclusione, invitando, ancora una volta chi mi segue, a leggere il libro? Il sistema Coop in Toscana ha retto l’usura del tempo anche grazie a due grandi figure. La prima, artefice del sistema, Duilio Susini, assessore comunale del Partito Comunista e uomo delle cooperative fin dalla fondazione nell’immediato dopoguerra, insieme ai più stretti collaboratori come Pietro Ristori e Tito Bini. Il secondo, l’autore del libro, Turiddo Campaini che ha avuto l’onere e la missione di portare il sistema a dama cercando di conservarne l’anima in tempi perigliosi. Il messaggio in bottiglia sempre presente tra le pagine nel libro punta ai più giovani manager e soci che devono riuscire a declinare, sempre in salsa cooperativa, il nuovo secolo.
Turiddo Campaini, personaggio attento al rispetto dei ruoli e prodigo negli interventi tanti anni fa ebbe a dire: «Se ho da dire dico, se non ho da dire non dico» ha probabilmente pensato fosse giunto il momento di dire con chiarezza il suo pensiero cercando certo di ricordare il passato per mettere in fila tasselli di un puzzle che altri sono chiamati a comporre. Io credo alla semplicità ma anche all’efficacia della sua ricetta: mettere sempre le persone al centro. Siano essi soci o collaboratori che rappresentano, insieme, l’anima e la ragion d’essere dell’intero sistema cooperativo.