un fenomeno radicato che può contare su connivenze di ogni tipo non si estirpa in quindici giorni. E chi ha responsabilità farebbe bene a non lanciare messaggi superficiali che rischiano di essere recepiti come tali dal territorio e da chi dovrebbe far seguire fatti alle parole. Lo sfruttamento dei lavoratori agricoli nel sud, migranti o meno, non nasce oggi. Oggi, semmai, si mostra in tutta la sua crudezza e impedisce di voltare altrove lo sguardo. È una delle facce più feroci del lavoro nero che, in molte realtà del sud, è ancora la modalità prevalente di accesso al lavoro. Durante la selezione di addetti per un’azienda della grande distribuzione in diverse realtà del sud, quindi in un settore lontano dall’agricoltura, mi è capitato spesso di sentirmi chiedere se la retribuzione proposta in fase di assunzione fosse “con o senza assicurazione” cioè con o senza i contributi. E alla mia reazione di sorpresa mi veniva spiegato che era assolutamente normale sentirsi proporre assunzioni in nero. Figuriamoci dove non esiste un minimo di società civile, dove l’indignazione è un lusso che non tutti possono permettersi, i controlli sono frammentari o inesistenti, il contesto è socialmente degradato e infine dove i soprusi e la presenza malavitosa sono assolutamente normali. In più parliamo di lavoratori migranti, spesso senza permesso di soggiorno e quindi ancora più esposti al ricatto e ai soprusi. Per questi motivi non c’è una soluzione semplice. Occorre agire su più piani. Innanzitutto sul territorio non è vero che c’è il nulla. Ci sono le istituzioni sia a livello locale che regionale, i sindacati e le associazioni datoriali che ben conoscono la realtà, le reticenze e le connivenze presenti, con le quali va costruito un possibile piano di intervento misurandole su proposte e coerenze. In secondo luogo va coinvolta tutta la filiera (non solo la produzione) nella quale il prodotto raccolto trova il suo sbocco di mercato fino al consumatore finale. E ciascuno deve essere in grado di garantire che il passaggio di cui è responsabile (a cominciare dal prezzo finale del prodotto) sia certificato e coerente con l’intero processo, se condiviso. Poi i controlli che dovranno essere incisivi con sanzioni e pene adeguate e prevedere premi per chi denuncia e aiuta a smantellare queste reti. Ultimo ma non ultimo la trasparenza nel collocamento, la tipologia contrattuale più idonea, gli eventuali sgravi contributivi finalizzati, l’ammontare della retribuzione e la certezza che finisca nelle tasche del lavoratore. Infine occorre considerare che il problema dell’alloggio e dei trasporti nelle campagne non va sottovalutato perché anche su questo i caporali costruiscono il loro potere assoluto. Non si deve però partire da zero. Nel settore delle costruzioni si è affrontato un tema analogo in termini di utilizzo dei lavoratori anche immigrati e, pur con una serie di limiti e reticenze, la situazione è certamente migliore anche grazie alla presenza della cassa edile. L’importante è non illudere nessuno che la soluzione sia semplice e a portata di mano. Sarà una partita lunga e complessa ma utile a dimostrare anche la volontà di sviluppo e di riscatto del mezzogiorno.
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