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Dunque ci risiamo. Torna alla ribalta il problema delle agitazioni selvagge nella logistica e nella GDO. Con blocchi sia dell’uscita che dell’entrata delle merci nei centri smistamento, soprattutto nel Nord del Paese dove la magistratura spesso sottovaluta il problema e chiude un occhio su danni e responsabilità. Quando addirittura non li copre. Adesso è il turno del Gigante. La motivazione? Secondo il Si Cobas “da troppo tempo i lavoratori vengono sistematicamente sfruttati, impiegati per un anno o un anno e mezzo e poi lasciati a casa senza alcuna garanzia o prospettiva”.

Questo sindacato di base ce l’ha con la decisione della società appaltatrice che gestisce i magazzini del Gigante, colpevole  di aver lasciato a casa alla scadenza prevista, come prevede la legge,  un lavoratore assunto a tempo determinato. E, accusa la società appaltatrice, di utilizzare le scadenze dei contratti a tempo determinato, per sostituire il personale. Cosa peraltro prevista dalla legge. In questo caso effettuata da una  controparte aziendale che non è neppure Il Gigante. Giorgio Panizza, Consigliere di Amministrazione della Rialto, la società proprietaria del marchio Il Gigante, società fondata da uno dei grandi vecchi del comparto, Giancarlo Panizza, ha dichiarato al Giornale: “Viviamo una situazione grave, assurda e paradossale. Il nostro unico magazzino è bloccato dal 5 settembre a causa della protesta di dieci lavoratori iscritti al Si Cobas. Questi si sono organizzati per alternarsi davanti ai cancelli impedendo in questo modo ai nostri camion di uscire e rifornire i nostri supermercati.

Questo significa non soltanto danni per centinaia di migliaia di euro, con merce da buttare ma anche cassa di integrazione per i nostri stessi dipendenti” e ancora “Negli ultimi anni per fare fronte a margini sempre più ridotti abbiamo dovuto razionalizzare la logistica e abbiamo riunito la distribuzione in unico hub da 92mila metri quadri a Bascapè in provincia di Pavia. Da qui partono camion multitemperatura che vanno a servire tutti i nostri punti vendita” ha spiegato  Panizza al Giornale. Una vicenda, quindi, ben lontana da quelle che normalmente attraversano la logistica e che, per la sua modesta dimensione, viene chiarita  in un’aula di tribunale.

Le conseguenze di questo blocco?  250mila le buste di insalata perse, 165mila i chili di frutta e verdura buttati. A questi si aggiungano i 45mila chili di pesce, i 30mila chili di carne, oltre a 2mila torte fresche e 150 torte senza glutine. Il valore economico delle perdite, solo nel primo fine settimana di blocco, è stato stimato in oltre 800mila euro, oltre ai costi ambientali legati allo spreco alimentare e a quelli organizzativi per la gestione dell’emergenza. Oltre all’impatto diretto sull’azienda, il blocco ha coinvolto i fornitori che sono  rimasti fermi, mentre i clienti hanno trovato scaffali e banchi frigo vuoti in diversi punti di vendita. 80 camion sono rimasti bloccati dentro il sito logistico e mille dipendenti sono finiti in cassa integrazione.

I protagonisti non sono centinaia di lavoratori preoccupati o minacciati di licenziamento  ma una decina di iscritti al SI Cobas  che protestano per un contratto di lavoro scaduto e non rinnovato. Al Gigante poi, non è la prima volta che si registrano situazioni di questo tipo.  Ogni anno con una cadenza singolare e con motivazioni sempre diverse la storia si ripete. Prima per il ticket restaurant, poi per contrastare un accordo firmato dalla CGIL non gradito al Si Cobas, poi per un cambio appalto. A febbraio di quest’anno la prova generale. Al grido di “Fermiamo subito lo sfruttamento!” il SI COBAS ha rilanciato. “Vogliamo rivendicare i nostri diritti e combattere contro le ingiustizie che ci riguardano quotidianamente”.

Purtroppo non sempre sottoscrivere accordi con questi sindacati è una buona decisione. Spesso ne approfittano per rilanciare la perenne competizione  che hanno ingaggiato con i sindacati confederali. Giorgio Panizza ha evidenziato al Giornale “un crescente ricorso a proteste organizzate da sigle sindacali autonome, non firmatarie dei contratti collettivi nazionali. In questo caso, il presidio è iniziato nelle prime ore del mattino e, in almeno un’occasione, un solo lavoratore ha bloccato da solo l’intera attività logistica”. La presenza della Digos  ha evitato scontri, ma non ha risolto il problema: solo 60 camion sono usciti su 300, con conseguente rallentamento delle operazioni. Un disastro.

Anche Fiap, la Federazione Italiana Autotrasportatori Professionali, ha espresso preoccupazione per i blocchi in atto: “Siamo i primi a difendere il diritto costituzionale di sciopero e manifestazione, ha dichiarato il segretario generale Alessandro Peron, ma  quando si trasforma in ostruzionismo che colpisce tutti, lavoratori, imprese e cittadini, non è più accettabile. Contestate l’azienda nelle sedi opportune, ma non fate pagare il prezzo a un’intera filiera”. L’azienda della GDO può contare su un’ottantina supermercati tra quelli a gestione diretta e indiretta e ha oltre 5000 dipendenti. Il bilancio 2024 de Il Gigante, secondo Milano Finanza, mostra un utile in rosso di 1,4 milioni di euro, a fronte di ricavi in crescita fino a 1,3 miliardi di euro. Nonostante i ricavi siano aumentati, il risultato è peggiorato rispetto all’utile di 13 milioni del 2023, a causa dell’aumento dei costi, come quelli del personale e dei servizi, che hanno portato a un calo dell’Ebitda e dell’Ebit. Negli ultimi anni per fare fronte al calo dei  margini tra i vari interventi si è resa necessaria una razionalizzazione della logistica convergendo  in unico hub da 92mila metri quadri a Bascapè in provincia di Pavia.

Come uscirne? Innanzitutto non può essere accettata una sproporzione così evidente tra il danno lamentato da chi promuove queste agitazioni  e il danno causato all’azienda. Su questo occorre stabilire un punto fermo  in sede giudiziaria. Qualcuno deve assumersi la responsabilità e i costi dei danni provocati. In secondo luogo queste agitazioni  non possono essere promosse da sindacati che non hanno alcuna rappresentatività complessiva e dovrebbero essere sempre precedute da un referendum tra tutti i lavoratori coinvolti e non in mano a sparute minoranze. Aggiungo che, quando avvengono questi fatti, dovrebbe  essere garantito l’intervento immediato delle forze dell’ordine, uniche in grado di impedire che la situazione degeneri, come purtroppo è già successo in passato  e che, il sacrosanto diritto di sciopero, non entri in conflitto con altri diritti altrettanto legittimi.  E su questo la pressione delle associazioni di categoria nei confronti delle autorità competenti dovrebbe  essere molto più netta. 

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