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Stavo guardando una delle ultime proposte di Netflix intitolata “Legado”. Una  serie che vede protagonista Josè Coronado nei panni di Federico Seligman, un patriarca che ritorna dopo una malattia e scopre che i figli hanno una visione imprenditoriale completamente diversa dalla sua e quindi cerca di fare tutto il possibile per impedire loro di distruggere tutto ciò che ha realizzato.  La domanda retorica che colpisce il telespettatore è in realtà molto chiara: “fino a che punto saresti disposto ad arrivare per proteggere la tua eredità? Il pensiero è andato immediatamente a Bernardo Caprotti. La tempra non era molto diversa dal personaggio di “Legado”. E, a mio parere, Caprotti senior ha fatto tutto quello che umanamente avrebbe potuto fare in vita per proteggere la “sua” azienda. A differenza del personaggio di “Legado” lo ha fatto prima e non dopo. Dal suo punto di vista ha fatto ciò che ha ritenuto giusto fare.

Tre date sono scritte nella pietra. Nel 2005 ha estromesso il figlio Giuseppe. Nel 2014, Bernardo Caprotti  firma un testamento che racchiude in sintesi la sua volontà (e il suo pensiero sul futuro). Nel 2016, muore. Dal 2005 al 2014, pur avendo avuto il tempo per farlo, non predispone alcun ulteriore passaggio di testimone. Quindi il suo pensiero su eventuali possibili successori alla guida dell’azienda, a mio parere,  era evidente. Anzi. Il 9 ottobre del 2014, davanti al notaio Carlo Marchetti, a Milano, come riporta il Foglio sottolinea in una postilla intitolata “Il futuro di Esselunga”: “Sto dotando l’azienda di un management di alta qualità. E’ diventata attrattiva. Però è a rischio. E’ troppo pesante condurla, pesantissimo possederla”. Un messaggio chiaro. Non manca poi una indicazione precisa come riporta La Stampa del 7 ottobre del 2016: “Occorre trovarle, quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati, una collocazione internazionale. Ahold sarebbe ideale. Mercadona no». Nelle 13 pagine del documento, lascia quindi il 70% di Supermakets Italiani (la holding che controlla Esselunga) e il 55% di La Villata (in cui sono molti negozi della catena), congiuntamente alla moglie Giuliana Albera e alla figlia Marina. Ai figli maggiori Giuseppe e Violetta, andrà il 15% ciascuno della società di distribuzione e il 22,50% ciascuno degli immobili.

Originariamente il progetto era diverso, ma «il disegno di ripartizione e di continuità familiare», detta al notaio, «è definitivamente naufragato la sera del 30 luglio 2010». Era sicuro di avere disposto «per il bene di tutti». Aveva ben chiaro che, comunque «famiglia non ci sarà. Ma almeno non ci saranno le lotte. O saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate», auspicando che in futuro «non ci siano ulteriori contrasti e pretese». Fino a qui i resoconti del suo pensiero. Sami Kahale il top manager designato, uno dei migliori in circolazione, diventa inizialmente General Manager nel 2018 e, nel 2021 lascia il ruolo da CEO di Esselunga. “Una risoluzione consensuale” fanno sapere i vertici, che porterà Marina Caprotti, dal giugno 2020 presidente esecutivo e dal 2021 CEO di Esselunga. 

Tra un mese, saranno passati ben cinque anni dall’insediamento della Presidenza di Esselunga. Sufficienti per avere un giudizio? Certo che si. La rivista “Largo Consumo” valutando le voci “poco documentate” sul presunto calo delle performance di Esselunga che circolano, ha voluto procedere a una interessante operazione di  fact-checking commissionando “a Ipsos Italia un’indagine esclusiva e indipendente (www.miglioreinsegna.it) che mettesse a confronto l’esperienza di acquisto dei clienti dell’insegna presso i negozi e sul sito web nell’anno 2024 rispetto al 2023”. Dall’indagine è emerso un avanzamento generale degli indicatori, con l’eccezione di quello relativo alla presenza del personale (-3pp), mentre cresce la percezione di buona assistenza (+2pp) e di cortesia alle casse (+3pp); L’investimento nel contenimento dell’inflazione sembra aver ripagato nella percezione dei clienti: il rapporto qualità-prezzo è cresciuto di 3pp passando dal 98 del 2023 (sotto la mediana) a 101 dell’ultima rilevazione”. Fin qui “Largo Consumo”.

Due fatti sono però avvenuti dopo questa indagine che sembra modifichino, in altri osservatori,  il quadro di riferimento. Innanzitutto a Pioltello hanno cambiato le regole per la raccolta punti: ottenere   sconti diventerà meno vantaggioso per i clienti. Influirà sul giudizio? Presto per dirlo. Io non drammatizzerei. Lo capiremo più avanti. Il motivo del cambio di strategia, forse, potrebbe essere legato, in base a quanto sostiene Distribuzione Moderna, dall’agenzia di rating Moody’s che ha espresso preoccupazione sulla tenuta finanziaria di Esselunga, confermando il giudizio di lungo termine Ba1, ma abbassando l’outlook da stabile a negativo. Nel dettaglio, il downgrade dell’outlook si basa su una performance economica inferiore rispetto alle previsioni e ai risultati del 2023.

Su questo giudizio si è innescato un articolato e critico post in quattro parti  su LinkedIn di Mattia Malgara, un manager di notevole esperienza. (leggi uno , leggi due, leggi tre, leggi quattro). L’incipit è significativo: “Esselunga? l’inizio della fine di una eccellenza del nord? +1,3% di vendite. -53% di utile. Quando il fatturato inganna e la marginalità racconta la verità.” La domanda (retorica) che si pone è importante: “Esselunga vuole restare un unicum nella GDO italiana o diventare l’ennesimo grande player generalista, con margini compressi e dipendenza dal debito?” Il giudizio di Malgara è severo: “Efficienza e patrimonio immobiliare non bastano se si compromette la leva più preziosa: la fiducia. Fin qui Malgara.

Premetto che sia Largo Consumo che Malgara rappresentano punti di vista oggettivi e assolutamente legittimi. C’è però un dato indiscutibile da cui occorrerebbe partire. Esselunga non è in vendita e, fino a prova contraria, l’attuale proprietà non ha nessuna intenzione di farsi da parte. E, va detto prima di qualsiasi giudizio,  che stiamo parlando di un’azienda solida. Meno performante rispetto al passato ma assolutamente  lontana dai concorrenti. Il suo valore, oggi,  è certamente inferiore  del momento dove è avvenuta la  divisione tra i diversi componenti della famiglia. Lontano dalla cifra stabilita dall’arbitrato che ha valutato l’intero gruppo 6,1 miliardi di euro ma,  non lontano affatto,  dal valore che già allora gli advisor messi in campo da Marina Caprotti avevano stimato. L’offerta di 7,3 miliardi di euro del 2017 da parte di un Fondo a cui fa riferimento Malgara non ha avuto alcun seguito e oggi sarebbe assolutamente improponibile. Questo però vale per tutte le aziende della GDO potenzialmente in vendita dove il valore atteso  dai proprietari è lontanissimo dalle disponibilità dei potenziali acquirenti.

Esselunga paga anche un dato ulteriore.  L’intervento della Procura milanese, le vicende che hanno coinvolto l’azienda per responsabilità altrui, errori interni sulla gestione del personale ma anche  esterni a livello politico/istituzionale hanno determinato un pregiudizio trasversale in molti osservatori. Personalmente resto convinto che proprietà e gestione non necessariamente devono coincidere. L’eccezionalità di quella realtà   è figlia di altri tempi. Esselunga resta tra le top del comparto ma è diventata un’azienda a cui si può contendere il mercato.

Pensare però che l’attuale proprietà sia in grado addirittura di competere con il suo fondatore o che debba necessariamente ripercorrerne  le performance  in un contesto completamente mutato è ingeneroso e sbagliato. L’ho già scritto. Non ci sono più né i Campaini né i Caprotti. E nessuno di loro ha lasciato o coltivato eredi.  Quel mondo è finito. C’è un prima e c’è un dopo. E ognuno deve saper interpretare il tempo che gli è stato dato. 

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