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Oggi, a mio parere, Esselunga non credo valga  la cifra   stabilita dall’arbitrato del 2020. Nessuno  sarebbe disposto a offrirla. Aggiungo alle facili critiche rivolte alla proprietà che chiunque fosse subentrato a Bernardo Caprotti e al suo modello di conduzione della “sua” impresa sarebbe stato  destinato a  pagare pegno. Non solo perché lo stesso Caprotti lo aveva ampiamente messo in conto ma anche perché Esselunga  non aveva alcuna chance di diventare molto diversa in tempi ragionevolmente brevi da ciò che era stata costruita in tanti anni. Eppure, Esselunga, per un milanese o un brianzolo, pur meno distintiva e unica rispetto al passato, resta comunque  Esselunga.

Su ciò che è avvenuto, sulle diatribe che hanno accompagnato l’intera vicenda,  sull’appassionato  e documentato libro del figlio (le Ossa dei Caprotti) e sulla replica della figlia Marina contenuta nella premessa della nuova edizione di “Falce e Carrello” ho scritto più volte la mia opinione sul blog dove chi vuole può andare a cercarla. Il mio interesse, da allora, si è concentrato sul futuro dell’insegna essendo impossibile, a mio parere, contare all’infinito sulla rendita di posizione costruita grazie a Caprotti senior. Per questo, il passato, ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere mi interessa il giusto. Oggi ritorna centrale, a cinque anni dal passaggio di mano, e al di là del possibile valore attuale dell’azienda, la questione di fondo che Caprotti senior aveva peraltro messo nero su bianco: il futuro di Esselunga. Tramontata la strategia  ipotizzata da un top manager esterno come Sami Kahale, la tattica adottata dalla sua uscita è stata eminentemente difensiva. Presidio dell’esistente, nuove aperture per compensare i cali di fatturato del bacino tradizionale, intervento sui costi, test innovativi interessanti ma rimasti tali. Una tattica inevitabile che però non può sostituire troppo a lungo  la strategia perché nel frattempo la concorrenza ha intensificato la sua azione e le difese cominciano a vacillare.

Non avendo (legittimamente) intenzione di cedere l’azienda, soprattutto a questi valori di mercato, per la proprietà si ripropone  quindi il tema della separazioni dei ruoli. Esattamente  come nel 2018. All’insegna non manca nulla per poter ricostruire una nuova identità. La crescita reale è stata indubbiamente inferiore alle attese, ma solo le aperture programmate possono significare diverse decine di milioni di euro di entrate aggiuntive. Quindi sufficienti a spostare le decisioni più in avanti. Servirebbe però una strategia manageriale più convincente che lasci aperte, sia l’opzione di una futura cessione ad un interlocutore internazionale di alto profilo, come auspicato fin da subito da Bernardo Caprotti, sia, perché no,  una scelta di continuità legata al desiderio della famiglia di mantenere la  proprietà del marchio.

Quello che mi aspetto, da osservatore esterno, è che si riapra la ricerca di un CEO in tempi ragionevolmente brevi. Se così fosse, c’è la possibilità che i migliori Head Hunter del mercato si mettano alla ricerca di candidati esterni al comparto. Il 2025 è ancora a disposizione per consentire ad un top manager il tempo necessario per comprendere rapidamente il contesto che lo attende. Un mio consiglio, non richiesto, è che il primo sguardo debba però  essere rivolto all’interno della Grande Distribuzione nazionale.

Innanzitutto la scelta interna. Se la decisione della proprietà è di insistere continuando  con quanto è avvenuto in questi anni, quindi con una strategia essenzialmente difensiva, chi c’è, già oggi in prima linea in azienda, è il migliore su piazza. Tra l’altro in un recente articolo del Sole 24 ore si affronta il tema della differenza tra top manager interni e esterni. “I Board preferiscono spesso puntare su manager interni che abbiano fatto la “gavetta” partendo dal basso. L’ultimo caso è quello del nuovo ceo di Stellantis, l’italiano Antonio Filosa”. Se questa sarà la scelta inutile cercare altrove. C’è all’interno chi conosce l’azienda come le sue tasche e può contribuire a costruire i ricambi necessari.

Se però la proprietà dovesse arrivare alla conclusione che un cambio di strategia e quindi di management, sia necessario, un esame attento dell’intera GDO nostrana mi porta a individuare “solo” due candidati entrambi abituati a gestire fatturati importanti, business complessi in realtà leader. Il primo, più adatto a ridare immediatamente la personalità necessaria all’insegna anche in una prospettiva di una possibile cessione importante di medio periodo, l’altro, più giovane rispetto al  primo però più adatto a costruire una relazione con la proprietà rilanciando il management interno e quindi adatto ad un lavoro sul lungo periodo. È come per i grandi allenatori delle squadre da Champion. Non serve fare i nomi. Quelli bravi si conoscono e lo hanno ben dimostrato in situazioni complesse. I CV parlano per loro.

Il punto di partenza, che dovrebbe  essere assunto  dalla proprietà, è che Esselunga non può  più essere quella che è stata nel passato, ma non può diventare ciò che potrebbe ancora  essere senza un management  in grado di avere carta bianca per rilanciarla. E questo passaggio non può avvenire solo in continuità con il passato. E, aggiungo, dovrebbe avvenire rapidamente. Altrimenti ad ogni passo, il paragone con “quando c’era LUI” diventerà distruttivo sia internamente che esternamente. E si perderà solo tempo prezioso. Esselunga ha ancora abbondanti mezzi per reagire. Deve solo trovare qualcuno che li sappia reinterpretare e  far riemergere.

Il comunicato aziendale sul declassamento di Moody’s del 13 maggio è stringato ma chiaro: “Esselunga informa che l’agenzia di rating Moody’s Investors Service ha confermato il rating di Esselunga a Ba1 e ne ha rivisto l’outlook da stabile a negativo. Emanuele Scarci su Distribuzione Moderna scrive: “Tradotto significa che l’emittente ha una certa vulnerabilità ai problemi finanziari, ma non è considerata ad alto rischio di default.  Secondo l’agenzia, l’abbassamento dell’outlook “riflette la sotto performance della società rispetto al 2023 e alle nostre aspettative”. Inoltre, Moody’s evidenzia “il rischio che la redditività e i flussi di cassa non progrediscano nei prossimi 12-18 mesi e che Esselunga non riesca a ottenere i miglioramenti dei margini previsti e la riduzione della leva finanziaria”. Nulla di drammatico ovviamente. I giudizi vanno e vengono.

Il punto su cui debba riflettere la proprietà  è se ha senso rinviare una decisione che non potrà non essere presa. Prima o poi…

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