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Tolto il legittimo entusiasmo di Mattia Malgara che si è subito schierato con convinzione, trovo assolutamente prematura questa corsa a salire in massa sul carro NewPrinces. Prima di azzardati paragoni con Jeff Besoz e compagnia vorrei sommessamente ricordare lo stupore dell’intera platea degli osservatori all’arrivo di Angelo Mastrolia. Onestà sarebbe ammettere che nessuno lo ha visto arrivare. E che nessuno, o pochi lo  conoscevano. Sull’idea della “Luxottica del food” propugnata nelle prime interviste, condita con gli esempi nella terra di Guglielmo Tell, andrebbe detto che non siamo di fronte a qualcosa di rivoluzionario. C’è chi lo ha già fatto in giro per il mondo. Migros stessa lo fa dal 1928. Adesso però tocca a NewPrinces dimostrare concretamente che il modello verticale di filiera che ha in mente Angelo Mastrolia è il suo team possa funzionare oggi nel food, in Italia, dove, da molto tempo, è prevalsa una logica di terziarizzazione di tutto ciò che è stato possibile terziarizzare con la conseguente variabilizzazione dei costi spostando quindi parte del tradizionale rischio di impresa, su altri imprenditori. Lo deve a dirigenti, quadri, collaboratori diretti e indiretti che, scaricati dalla multinazionale francese, non possono che puntare le loro carte sul nuovo arrivato sperando che alle dichiarazioni segua un adeguato piano industriale.

L’obiettivo dichiarato esplicitamente da NewPrinces, è quello di costruire una piattaforma integrata tra industria e distribuzione, capace di generare efficienze operative e ripensare le relazioni con i fornitori. Se ci riuscirà, buon per lui. Non è un progetto che cambia alcun paradigma come troppo entusiasticamente stanno sostenendo alcuni. Semplicemente, se funzionerà, andrà ad aggiungersi a ciò che c’è già.  Per ora, alla curiosa e interessata  platea interna  si aggiunge la curiosità dei circa 1500 fornitori italiani della GDO, il 90% dei quali sono PMI operanti del nostro Paese, inserite in 50 settori economici. Tolte le marche più note, per molti di loro la MDD è l’unico business. La GDO è la loro àncora di salvezza. Viaggiano silenziosi dietro a Coop, Lidl, Conad, Esselunga, e grazie alle centrali, a molte altre insegne. Lo stesso vale per Amazon… Con un rapporto qualità/prezzo interessante hanno trovato il modo di vendere alla grande distribuzione portando i loro prodotti in molti degli oltre 50.000 punti vendita alimentari e non alimentari. Gli esempi citati, a prova sulla fattibilità dell’operazione NewPrinces, comprendono il modello svizzero (Coop Suisse e Migros) e qualche realtà nazionale (non solo Esselunga o Finiper). Non poteva poi mancare l’esempio di successo e di forte richiamo mediatico come Luxottica.

Partiamo dalla Svizzera. Nel 1960 il pil pro capite in Svizzera era di 1954 $, in Italia era 836 $. Nel 2024 in Svizzera era di 103.669$ in Italia di  40.226.  La Svizzera ha circa nove milioni di abitanti. Meno della Lombardia. La differenza è che, oltre Chiasso, due insegne Migros e Coop superano il 70% del mercato e quindi le insegne sono, di fatto, le vere marche di fiducia del consumatore elvetico. In Italia le prime 5 non arrivano al 50% e due di loro sono discount. E questo nonostante alcune abbiano un forte radicamento territoriale. E poi, per chi lo sottovaluta,  Migros e Coop sono oggi sotto pressione. Migros ha reagito da tempo e sta riducendo i prezzi dei propri marchi. Il 15 agosto ha raggiunto i cento anni di attività.  Migros è uno dei simboli della Svizzera, con oltre 400 milioni di franchi di utile annuo e circa 98mila dipendenti. Nel centenario della sua fondazione, Migros affronta la più grande ristrutturazione della sua storia. Sotto la guida del nuovo CEO Mario Irminger, il gruppo si concentrerà su vendita al dettaglio, servizi finanziari e salute, cedendo o chiudendo marchi come Bike World, Do it + Garden, Melectronics, Micasa, OBI, SportX, Hotelplan, Mibelle, Misenso e Bestsmile. La scelta, motivata da perdite milionarie, comporterà un calo del fatturato 2025 di circa 3 miliardi di franchi, meno del 10% del totale. Migros investirà  2 miliardi di franchi nelle filiali entro il 2030 come  risposta alla concorrenza di Aldi, Lidl e altri discount. I critici parlano di un possibile rischio di cannibalizzare il proprio discount Denner.

C’è in atto una mutazione dei consumatori secondo Felix Murbach, un esperto di consumi elvetico.  “Agli svizzeri in passato non è mai piaciuto comprare a buon mercato, ma preferivano comprare a prezzo favorevole. Oggi cominciamo a spendere i nostri soldi in modo più consapevole», afferma Murbach. L’inflazione ha modificato il comportamento dei consumatori e molte persone sono diventate più prudenti. «I cambiamenti sociali si riflettono anche sul comportamento d’acquisto. Il biologico e la sostenibilità sono ancora importanti, ma la consapevolezza dei prezzi ha assunto una nuova forma» ha concluso. I discount crescono e il consumatore sta cambiando. e i discount non hanno né i costi fissi né i vincoli produttivi e tecnologici delle due insegne leader. Indubbi punti di forza quando determini e tiri il mercato, punti di debolezza quando devi inseguirlo perché cambia il contesto. Quindi, mi spiace per chi è già sul carro ma solo con la ex Carrefour, oltretutto chiamata GS che sulla carta ha il 3,7% (che deve difendere con le unghie), continuo a pensare che NewPrinces non vada nessuna parte. E per ora, salvo una singola reazione di cortesia, non mi sembra neppure che i leader del comparto siano particolarmente preoccupati della new entry se non per lo scippo dei punti vendita migliori di Carrefour su cui avevano fatto più di un pensiero. E poi, a differenza di alcuni osservatori troppi ottimisti, chi presidia il mercato, vuole vedere le carte prima di esprimersi. E le carte, se arriveranno, le avremo in autunno.

Ho trovato interessante nell’intervista al Sole 24 ore di Mastrolia, in una prospettiva di medio lungo termine, il riferimento all’home delivery e all’horeca. Due business dove diversi retailer anche in Europa, stanno guardando con attenzione. Così come la riflessione riportata da Italia Oggi sulla trasformazione in tutto o in parte degli  ipermercati orientandoli verso il canale  B2B, con un’offerta orientata a target specifici. Altra cosa, nel breve, e qui accenderei i riflettori, sarebbe se, NewPrinces, in attesa della messa a terra del fantomatico progetto palingenetico si limitasse per un ragionevole periodo di tempo, a diventare  una sorta di super master franchisee “mascherato” per il Gruppo Carrefour in Italia, insegna compresa, godendo delle sue centrali di acquisto e delle relazioni internazionali,   gestendo marchio e attività e magari producendo nei suoi stabilimenti anche per i francesi garantendosi così un avviamento graduale in un mercato che non ammette superficialità.

Questo consentirebbe di individuare successive partnership interessate al progetto, valutare con attenzione cosa si è acquisito e l’intero management, la qualità delle risorse umane di sede e periferia, la loro compatibilità con la cultura di chi c’è in rapporto a quella di chi  è subentrato. La sorpresa negativa manifestata da Mastrolia allo smart working  presente in sede Carrefour, ed estraneo alla sua cultura, se confermata,  ne costituisce  un piccolo esempio. Confondere la meta finale,  con la lunghezza e le difficoltà del percorso necessario a raggiungerla, può portare fuori strada. E questo, dando pure per scontato che tutti i competitor GDO restino a guardare senza reagire nei negoziati con le realtà di quel gruppo e nei punti vendita. E che le PMI  italiane, oggi fornitrici efficienti, più che ad adattarsi, i termini di prezzi e flessibilità, ne subiscano l’iniziativa. Capisco la fantasia galoppante e interessata di alcuni osservatori interessati  ma la realtà che abbiamo di fronte, ci dice ben altro.

Ma cosa significa concretamente una “piattaforma integrata tra industria e distribuzione”? E, soprattutto, se il “sogno” Luxottica traslato nell’alimentare ha, o meno, una fattibilità e una sua ragion d’essere nel nostro Paese e nel nostro comparto. Un po’ di realismo non guasterebbe. Per Luxottica investire sul prodotto, sulla qualità è sempre stato un  elemento centrale. Il gruppo deve parte del suo successo per l’impegno nell’esercizio della responsabilità aziendale nei confronti della società, dell’ambiente e delle persone. In Italia l’interesse per le persone di Luxottica si è declinato in un vasto programma di welfare aziendale, caratterizzato da un solido attaccamento al territorio e dalla volontà di coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali. Luxottica pone grande enfasi sulla qualità dei prodotti e sulla customer experience, sia nei negozi propri che attraverso i partner. Tutti elementi, pur declamati a parole da molti nel comparto,  che comportano un carico di costi non indifferenti quindi sostanzialmente estranei alla cultura della GDO. E i margini su cui caricare, cultura e visione, tra occhiali e caciotte,  sono molto diversi. 

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