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“L’invito del presidente Mattarella a collaborare per il Paese va preso sul serio” sottolineano in una lettera al Governo le  principali confederazioni del Paese e rilanciata da Rita Querzè sul Corriere. Tutte le associazioni, anche le più recalcitranti hanno ormai capito che lavorare insieme, paga. Soprattutto con questo Governo. Non serve distinguersi. È stato così sul “carrello tricolore” (al tavolo ministeriale ben 37 associazioni) come sui “buoni pasto” per citare due esempi dove da un’interlocuzione comune con le istituzioni sia Confcommercio che Federdistribuzione (e tutte le altre) ne hanno beneficiato. Il tramonto della concertazione, così come l’abbiamo conosciuta in passato, ha riportato in primo piano l’esigenza di puntare a nuovi modelli di rappresentanza meno “etnocentrici” e burocratici, certificati e inclusivi, depositari di contratti di lavoro, welfare complementari e in grado di misurarsi con le Istituzioni e con le dinamiche e i ritmi dei nuovi sistemi di comunicazione. Non c’è più spazio per i polli di manzoniana memoria che si beccano tra di loro mentre vengono portati dal pollivendolo.

È quindi evidente che sarebbe interesse dell’intero terziario di mercato ridisegnare l’intero perimetro associativo. Marciare divisi per colpire uniti non basta più. Questa  consiliatura, per la Confederazione di Piazza Belli,  chiude una lunga fase. Il passaggio di testimone tra Luigi Taranto e Marco Barbieri alla Segreteria Generale lo testimonia più delle scontate riconferme dei vicepresidenti. L’Unione del Commercio di Milano da guida implicita (per il peso politico e organizzativo che ha sempre rappresentato) si assume la responsabilità della guida esplicita e formale dell’intera organizzazione. Presidente e Segretario Generale ne sono la massima espressione. Se però il tutto  si fermasse lì, si evidenzierebbe  solo come un’operazione di potere  che  rischierebbe inevitabilmente di accompagnare il declino della Confcommercio  e della sua associazione territoriale  più rappresentativa. Diversamente potrebbe aprire a una nuova fase di transizione verso il futuro.

Lo stesso vale per Federdistribuzione. Il rischio che corrono le aziende della GDO associate è di trovarsi di fronte al “paradosso dell’asino di Buridano” che dimostra  come un’eccessiva razionalità possa condurre alla paralisi. L’asino dell’apologo, nel tentativo di ricercare  la decisione “perfetta”, finisce per non prenderne nessuna. La sua logica impeccabile diventa la sua rovina.  Mentre dibatte internamente sui meriti del fieno rispetto a quelli dell’acqua, il tempo scorre inesorabilmente. E il risultato è tanto tragico quanto assurdo: l’asino muore di fame e sete, circondato da tutto ciò di cui aveva bisogno per sopravvivere. Credo sia fondamentale allargare  il perimetro associativo e condividere una nuova visione comune.

In una recente intervista il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha accennato al contesto competitivo nel commercio  dove più che considerare la dimensione dell’impresa come elemento centrale (oggi improponibile) affronta il tema del  rapporto tra commercio fisico e online. Quindi la definizione di regole del gioco condivise (stesso mercato, stesse regole)  che consentano al primo di puntare alla qualità del rapporto umano, della relazione  e del servizio personalizzato rispetto ad altre caratteristiche, altrettanto importanti tipiche del commercio online. Non l’uno contro l’altro come un tempo, piccola e grande distribuzione si sono inutilmente combattuti e dove Federdistribuzione  si trovava nel difficile ruolo di condividere una linea tollerante  centralmente mentre le sue insegne subivano localmente i rallentamenti e i vincoli della politica e delle associazioni territoriali della confederazione.

Quindi si tratterebbe di aprire una fase nuova, molto diversa dal passato. Dentro questa logica il commercio moderno, grande e piccolo  non può che essere centrale. Penso ad esempio all’equilibrio che FIPE è riuscita a trovare, al suo interno, tra i grandi gruppi e i piccoli esercizi nella ristorazione. E la GDO ha la stessa esigenza perché al proprio interno convivono grandi imprese, multinazionali e locali, discount e  franchising. Formati differenti con problematiche comuni. E, oltre al peso politico complessivo che si potrebbe determinare,  penso anche alle sinergie possibili. Confcommercio potrebbe calibrare diversamente, rispetto ad oggi, l’equilibrio interno tra categorie e associazioni territoriali. Sarebbe un primo passo importante per costruire una Confederazione diversa, intesa come visione comune accompagnata così da un ruolo più importante  dei singoli comparti. 


Già  l’esempio del rapporto di Confcommercio con  Federalberghi e Conftrasporti  dimostra che un livello di autonomia e flessibilità sotto lo stesso tetto, è possibile. FIPE e Federalberghi tra l’altro sono titolari di CCNL specifici rispetto a quello di Confcommercio. Potrebbe essere lo stesso con Federdistribuzione e, perché no, con la cooperazione anche in chiave di peso, collaborazione  e rapporti nelle filiere e tra i tre grandi comparti economici (agricoltura, industria e terziario di mercato).  Ma c’è molto di più. Penso ad esempio, al potenziale del sistema formativo di Confcommercio nelle diverse regioni e di quello che può mettere a disposizione sia per la ricerca e la formazione degli  addetti che non si trovano come in passato ma anche nella stipula di  accordi istituzionali con altri Paesi per gestire flussi migratori controllati anche per la GDO. Senza parlare della bilateralità per lo  sviluppo della previdenza integrativa e della sanità. I CCNL (dirigenti e addetti) potrebbero rappresentare un banco di prova importante da cui far discendere altri tasselli di un puzzle che andrebbe composto insieme prendendosi il tempo necessario.

Nella lettera al Governo le principali associazioni sottolineano “Abbiamo oltre mille contratti, è arrivata l’ora di distinguere quelli in dumping che sminuiscono il lavoro”. Un CCNL quadro di natura confederale che definisca una soglia minima per milioni di lavoratori del terziario di mercato consentirebbe, di fatto, il superamento dei contratti pirata e la definizione  di un vero e proprio salario minimo di comparto definito dalle parti sociali che lascia aperto ai singoli settori  spazi economici e distintività da individuare. Capisco tutte le critiche di merito ma non credo che Confcommercio abbia interesse a rinchiudersi a riccio o imporre la sua dimensione a scapito delle altre realtà associative come esclusivo interlocutore della politica e delle istituzioni. Ed è per questo che credo occorra sviluppare un confronto a tutto campo propedeutico alla fase del rinnovo dei Contratti nazionali di lavoro rimettendo  al centro le esigenze delle imprese e del lavoro di oggi e dei prossimi anni.

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