Corpi intermedi, leadership declinanti e prospettive..

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C’è un grande differenza tra leadership manageriali e leadership politico-sindacali. Per i primi parlano esclusivamente i risultati di business. Infatti sono rari quelli che durano a lungo. Soprattutto in tempi di crisi.

Non è sempre così per il mondo dei corpi intermedi dove non sono i risultati (molto difficili da valutare) ma la durata della carica  a determinarne l’avvicendamento. D’altra parte il ricambio delle leadership politiche, fisiologico nei tempi e nei modi nel 900, oggi è fondamentale per allineare le organizzazioni di rappresentanza al contesto.

Coldiretti, che si è dimostrata la più svelta a capire i rischi di smottamento del potere nella filiera, si è attrezzata con una squadra di giovani imprenditori per affrontare la Politica con una autorevolezza di prim’ordine. Confindustria continua a prevedere quattro anni di mandato e li rispetta. Confartigianato segue più o meno lo stesso schema. Altri sono più laschi. Confcommercio costituisce un’eccezione. Il suo Presidente è in carica  dal 2006 e forse cercherà di ottenere una ulteriore rinnovo del suo mandato.

Peraltro, in alcune associazioni datoriali o sindacali, non è un’impresa difficile prorogarsi all’infinito. E’ sufficiente, ogni tanto, mettere mano agli statuti per ricominciare daccapo con i mandati. C’è chi riduce il problema all’età di questo o di quel leader. Personalmente non mi hanno mai convinto coloro che pretendono di giudicare i politici con in mano la carta di identità; in certi contesti, però, sembra manchi la volontà di comprendere quando è arrivato il momento di fermarsi, farsi da parte  e quindi di consentire alla propria organizzazione   di voltare pagina nell’interesse stesso di dare continuità a ciò che si è contribuito a costruire.

Che lo si voglia accettare o meno  non esistono leader per tutte le stagioni. Entro pochi anni, se non si correrà ai ripari,  il sistema della rappresentanza subirà inevitabilmente  lo stesso terremoto che ha scosso la politica dal basso.

I confini tra settori hanno sempre meno ragione di esistere già oggi dove fa premio la capacità di interagire con il mondo, di muoversi nelle filiere nazionali e internazionali, di intercettare innovazione e aprirsi al contesto esterno accettando la sfida e la  velocità imposta dal cambiamento. I modelli attuali di rappresentanza però tendono a resistere pervicacemente ad ogni tentativo di rimettersi in discussione. 

I sintomi del declino sono evidenti. Il peso specifico dei corpi intermedi nella società  è ai minimi storici. C’è maggiore vitalità in periferia e nelle federazioni che al centro e l’affannoso attivismo interno è finalizzato, quasi esclusivamente, a mantenere privilegi e potere mentre i livelli di democrazia interna calano ovunque. E’ un mondo sempre più lento e autoreferenziale. I segnali ci sono tutti. Basta volerli cogliere.

Ultimo in ordine di tempo , nel mondo del terziario di mercato, Luca Patané, presidente di Confturismo, durante la recente  convention di Uvet Travel System ha dichiarato: “I tempi sono maturi perché ci sia una sola associazione turistica, che sia in Confcommercio o fuori da Confcommercio”. E’ il mio desiderata, dobbiamo essere liberi, dobbiamo iniziare a rappresentare i nostri interessi. Queste case che hanno ospitato a lungo tempo queste istanze secondo me iniziano ad essere un po’ vecchie per seguire i ritmi del business che sta cambiando. Mi piacerebbe che il turismo fosse libero, non rappresentato da vecchie categorie” (http://www.guidaviaggi.it/notizie/197143/).

Lo stesso ragionamento fatto qualche anno fa da Federdistribuzione quando se n’è andata da Confcommercio. Federalberghi sta da sempre nel sistema Confederale pur tenendolo, per ragioni più o meno analoghe,   a debita distanza. Non c’è astio. C’è, a mio parere, la consapevolezza che si sta arrivando ad un punto di non ritorno.

Ma come si arresta un declino che pare inarrestabile? Innanzitutto avendo chiaro che il passato non è più riproponibile. “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” ci ricorda Seneca.

E’ finita la possibilità di scaricare i costi sullo Stato come in passato, i servizi offerti ai soci rischiano di essere sempre meno concorrenziali, i processi di disintermediazione avanzano inevitabili. Così come  è impossibile ascriversi  il merito di eventuali risultati. La politica ormai non sembra voler cedere più nulla di significativo alle parti sociali. Per non parlare delle grandi vertenze aziendali che stanno cambiando il profilo economico e sociale di alcuni settori e che sembrano cogliere impreparato tutto il sistema della rappresentanza.

La stessa idea di mobilitazione (per o contro qualcosa o qualcuno) è tutta da reinventare. Oggi prevalgono ancora le vecchie liturgie che hanno come pubblico pagante  esclusivamente il proprio bacino che però è destinato a ridursi sempre più. I corpi intermedi non creano convergenze né solidarietà al di fuori dei singoli perimetri associativi. Spesso, come nel caso del cosiddetto partito del PIL, si devono accodare ad iniziative nate dal basso.

Nel mondo dei servizi sta crescendo la consapevolezza che una fase si è chiusa. In Confcommercio, ad esempio,  si affacciano importanti realtà imprenditoriali che cercano di forzare inevitabilmente le maglie strette di un modello che si baricentra ancora su una antiquata  rappresentazione formale del piccolo commercio tradizionale solo per poter mantenere un atteggiamento ostile ad ogni cambiamento.

Realtà della ristorazione, della moderna distribuzione commerciale, del turismo, dei trasporti, della logistica così come importanti realtà della consulenza, dell’informatica e dei servizi alle persone spingono per voltare pagina. Tra l’altro molte delle aziende piccole o grandi, importanti o meno, in comparti che pur applicano il contatto nazionale firmato da Confcommercio si guardano bene dal condividere la scelta associativa in queste condizioni.

Queste imprese chiedono di essere accompagnate nei problemi di oggi,  di avere contratti di lavoro moderni e servizi efficienti, di essere coinvolti in importanti momenti di confronto e di business, di interagire con altri mondi. Pretendono che l’associazione che chiede a loro di aderire sia un luogo aperto e costruttivo di relazioni di alto livello e non di essere chiamati in causa per ascoltare le prediche alla luna  di un gruppo dirigente lento e stanco che guarda il futuro con lo specchietto retrovisore. Chiedono di poter partecipare e di essere protagonisti.

Fortunatamente sta crescendo, anche all’interno di alcune di queste grandi organizzazioni sociali ed economiche  una nuova consapevolezza che può far da contraltare a queste leadership declinanti e rilanciarne un ruolo positivo e costruttivo in un Paese che ha assolutamente bisogno di nuovi protagonisti e di nuove sfide.

D’altra parte, come ci ricorda un antico proverbio cinese, “possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, altrimenti saremo obbligati a mietere continuamente quello che, a suo tempo,  abbiamo piantato”. 

 

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