Grande Distribuzione e Industria. Il rischio di un conflitto di interessi destinato a provocare danni reciproci

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Per ora il Natale sul piano dei fatturati non decolla. E stiamo parlando grossomodo dei 23 miliardi circa che consentono alle vendite al dettaglio di realizzare il 25% in più del resto dell’anno non solo nella GDO.  Già a novembre  Carlo Buttarelli dell’ufficio studi di  Federdistribuzione lo aveva anticipato: “ La tenuta dei consumi nelle prossime settimane, le ultime dell’anno, sono fondamentali per i bilanci delle imprese della Distribuzione Moderna”. Solo in prodotti alimentari e bevande parliamo di circa 15 miliardi di euro. Quante di queste vendite mancheranno all’appello lo sapremo tra poco. La preoccupazione però è forte nella GDO e non solo.

L’elevata inflazione causata dalla crisi energetica, scoppiata lo scorso anno e amplificata dopo l’invasione dell’Ucraina, condiziona le scelte dei consumatori rallentandone gli acquisti. Si profila un quadro preoccupante, che potrebbe avere il suo epicentro nel 2023. In questo contesto  sale di tono la polemica tra Grande Distribuzione e Industria sulle richieste di quest’ultima di adeguamento dei listini. Le dichiarazioni alla stampa di settore e ai quotidiani non lasciano spazio a dubbi. Maniele Tasca, direttore generale di Selex, ha lanciato il primo allarme: “I risultati del 2022 ci soddisfano ma siamo molto preoccupati dall’effetto che l’incremento dei prezzi sta determinando sui consumi in queste ultime settimane. Abbiamo esaurito la capacità del settore di assorbire gli aumenti dei costi di gestione e per limitare il rischio di ulteriore inflazione abbiamo chiesto ai fornitori di sospendere gli aumenti di listino per i prossimi mesi, in attesa si definisca meglio il contesto di riferimento del 2023“.

Esselunga li ha seguiti con una mail a tutti i fornitori che conclude con: “Allo stato attuale non possiamo più accogliere ulteriori aumenti di listini, in quanto rischierebbero di ricadere sui consumatori”. infine si è mossa ADM con una pagina intera sui quotidiani chiedendo un incontro urgente  a cui ha già replicato Francesco Mutti da Centromarca: “Una ipotesi di moratoria rischia di non affrontare il problema dei rincari alla radice, a fronte di un beneficio molto temporaneo, ma scarica una parte del problema sulla filiera industriale. La dinamica inflattiva è legata all’energia e con il nuovo anno le aziende rischiano di non avere più il credito d’imposta per le spese sostenute per l’acquisto di energia elettrica e gas”.

Pedroni da ADM rilancia: “Le quotazioni di parecchie materie prime si sono raffreddate, per questo pensiamo che gli aumenti prospettati non siano coerenti con il nuovo corso e molte industrie, molti fornitori, nell’incertezza giocano d’anticipo aumentando i listini. Siamo di fronte a una situazione insostenibile e questi aumenti non si possono trasferire ai consumatori in una spirale recessiva che si autoalimenta”. Secondo Pedroni i numeri confortano le tesi della GDO: “Quest’anno perderemo una quota importante di marginalità netta che per la GDO al massimo arriva all’1,5-2% mentre per l’industria è al 6-7%. Il crollo dei volumi porta ulteriori difficoltà al conto economico. Nelle ultime settimane c’è un calo dei pezzi venduti intorno all’8% e un primo abbassamento del valore del carrello della spesa”.

La GDO si trova quindi per la prima volta da molti anni davanti ad un dilemma: arrendersi o andare fino in fondo. La richiesta all’industria di sedersi intorno ad un tavolo per individuare insieme percorsi comuni è stata, per il momento, irragionevolmente respinta. A questo punto la  tentazione di numerose insegne di forzare la mano e bloccare, almeno fino a marzo,  ogni aumento richiesto dall’industria viene considerata l’arma finale. Romperebbe ogni equilibrio ma costringerebbe al confronto. Anche in sede politica. Francesco Pugliese alla conferenza di presentazione dei consuntivi 2022 Conad rilancia: “Chiediamo una azione di responsabilità all’intera filiera. Dobbiamo difendere il potere di acquisto dei consumatori, delle famiglie, che sono quelle che fanno lavorare tutti noi”.

Ecco qui sta il punto.

Il Natale non sembra decollare come gli altri anni, il 2023 si presenta difficile per i consumi degli italiani preoccupati da tutti gli aumenti in arrivo e dagli stipendi fermi al palo e l’industria rifiuta un tavolo di confronto pensando di risolvere ogni problema scaricandolo sui prezzi? La distribuzione, soprattutto quella medio grande, è dunque sotto attacco. Il “caro carrello” è inteso dai più come una scelta deliberata delle insegne e non come una conseguenza del contesto, le “indagini” strumentali su presunti quanto improbabili aumenti dei panettoni “industriali”, le interviste che confermano la percezione di aumenti di prezzi generalizzati e mettono la sordina a ciò che la GDO ha assorbito in questi mesi e testimoniano un clima che cerca il colpevole nella GDO senza distinguere “il grano dal loglio”.

La Grande Distribuzione balbetta avendo predisposto una linea difensiva che, come in tempi normali, continua a mostrare al consumatore  il “nemico” più nell’insegna concorrente che nel contesto e nella speculazione che produce. È così, divisa e a più voci che si elidono l’un l’altra nel lamento continuo, giudicata dai consumatori alle prese con gli aumenti determinati dall’inflazione e influenzati da chi ha interesse ad alimentare il pessimismo cosmico nazionale, si appresta a chiudere un 2022 temendo che l’effetto negativo sui consumi si farà sentire nei primi mesi del 2023 se il tavolo proposto oltre all’industria e al resto della filiera non vedrà una Politica disponibile a confrontarsi anch’essa sulle priorità del Paese.

La GDO oggi paga l’individualismo d’insegna che l’ha caratterizzata nella sua fase di crescita continua. Un atteggiamento che ci riporta ad Alessandro Manzoni che, nei “Promessi Sposi”, parla del giovane Renzo Tramaglino quando va dall’Avvocato Azzeccagarbugli portandogli quattro capponi, a titolo di pagamento. Durante il tragitto, i capponi “s’ingegnavano a beccarsi l’uno con l’altro, come accade troppo sovente ai compagni di sventura”. L’illusione che il “nemico” fosse semplicemente  il concorrente e che la fidelizzazione “ossessiva” del proprio bacino di clienti reggesse nel tempo l’urto delle modificazione dei modelli di consumo, della demografia, dei nuovi formati distributivi e dell’innovazione ha fatto passare in secondo piano l’importanza dell’associazionismo e della difesa comune mentre industria e agricoltura hanno scelto altre strade. E, soprattutto, che pandemie, guerre e ansie da futuro fossero sostanzialmente profezie da fattucchiere e non contesti con cui ci si sarebbe potuti misurare e che necessitano ben altre strategie e strumentazioni. E adesso siamo arrivati in vista del capolinea.

E, purtroppo, senza una nuova consapevolezza diffusa  e un conseguente scatto di orgoglio basta osservare le rispettive leadership dell’intera litigiosa rappresentanza del commercio grande e piccolo per comprenderne il destino.

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