Grande distribuzione. La ripartenza viene dal fresco…

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Se dico che la GDO si è un po’ avvitata su sé stessa scopro l’acqua calda. L’innovazione, quella vera,  langue, i discount fanno da metronomi all’intero comparto e le grandi superfici sono alla ricerca di nuove identità nella speranza di ridimensionarne la crisi. Passa di mano qualche punto vendita tra insegne, soprattutto al nord e tra l’insegna e  franchisee che, attraverso una gestione più “rude” e modellata sul territorio e le sue specificità a volte funziona e a volte sposta solo  il problema più in là.

Non essendo riuscite a governare l’inflazione a monte le insegne e i fornitori stanno concordando promozioni a getto continuo che confondono i clienti ma che non rimuovono l’idea che i prezzi sono schizzati alle stelle e gli “scudi” televisivi e gli uomini mascherati che difendono i consumatori rischiano di essere un pannicello caldo inventato markettari che non vanno a fare la spesa. La GDO sta quindi adottando la tecnica del “fingersi morta” sperando che la nottata passi presto. D’altra parte i fatturati seguono l’onda e illudono che domani è un altro giorno. Nessuna nuova buona nuova, quindi? No. Qualcosa si muove a macchia di leopardo. Presto ritornerò a ragionare sul sud perché è dove la GDO, discount a parte,  sta cercando di dare il meglio di sé. E poi nell’ortofrutta e nel fresco in generale dove la GDO soffre e dove il 2023 ci riserverà qualche sorpresa positiva.

Ho fatto recentemente una visita a Banco Fresco in compagnia di un CEO di un’insegna importante. Il layout  dell’ortofrutta mi ha fatto un’ottima impressione. Aprire a Varedo (MB), di fronte a Eurospin che canta un ottimo fresco a prezzi convenienti e di fianco ad Esselunga  con i suoi 4.500 metri quadrati e un parcheggio con oltre 870 posti auto è stato un segno di grande coraggio.  Banco Fresco, se manterrà le aspettative e i numeri gli daranno ragione, è una prima risposta ai limiti qualitativi della GDO.  Carrefour in Francia  ha lanciato una nuova insegna cittadina e un nuovo format: Potager City: un negozio in franchising, di circa 100 mq, con l’assortimento dell’ortofrutta al centro. Se manterrà ciò che promette forse potremmo vederlo anche da noi. C’è fermento nuovo intorno al tema.

Se guardo a Milano, fuori dalla GDO,  l’ortofrutta è sempre più condizionata dal bacino mediterraneo. Negozi e ambulantato stanno dimostrando che c’è una filiera in costruzione che parte dal nord Africa ed esporta prodotti e addetti per ricongiungersi nelle città. Angelo Angelica su Italiafruit News, un’interessante  servizio di informazione dedicato ai professionisti del settore ortofrutticolo,  racconta l’esperienza messinese del Gruppo Al Centesimo un’insegna che gestisce 14 punti vendita, di cui 2 propri – con insegna Qualità –  e12 affiliati, facendo proprio  dell’ortofrutta il suo punto di forza (https://bit.ly/402KFAE). Non è l’unico ma il segnale che qualcosa deve cambiare non è stato colto solo dalle catene nazionali. Un prodotto bello ma che sa di poco, costa caro  e viene da lontano non è nelle corde del consumatore.

Intanto Milano sull’ortofrutta e sul fresco in generale si ripensa. Da un lato crescono i mini market e l’ambulantato nordafricani e, dall’altro Cesare Ferrero, presidente della Sogemi dal 2016 rilancia sul progetto Foody 2025: “Avremo un’infrastruttura di scambio e logistica di livello europeo. Vicina alla città, che consentirà anche di contribuire alla logistica cittadina, stiamo pensando a realizzare dei Foody point in giro per i quartieri. Non solo la mobilità delle persone ma anche delle merci”.

Nata nel 1965 come Ortomercato la trasformazione in corso porterà quello che oggi è un mercato agroalimentare a diventare   un hub dell’alimentazione. Il piano prevede investimenti pubblici per 300 milioni che  alimenteranno investimenti privati per circa 200 milioni. Un’infrastruttura di scambio e logistica di livello europeo. Ferrero aggiunge: “Il tema dell’alimentazione, che l’Expo 2015 ha mostrato in tutta la sua centralità. I prodotti della terra o del mare continuano a vivere nel mondo fisico e per questo è necessario un nuovo approccio alla logistica. Per certi versi questa infrastruttura è paragonabile a quella di un aeroporto. A Parigi movimentano 10 miliardi di euro, a Barcellona 3, qui con l’indotto siamo a 2,5 miliardi. Ma ci sono margini per crescere.

Dall’ambulantato, ai dettaglianti alla ristorazione, l’ortomercato resta un punto di riferimento per l’economia alimentare della Lombardia e il progetto di rigenerazione vuole coinvolgere più attori”. E continua: “Ci sono grossisti da tre generazioni, qui. «L’altra sfida sarà quella digitale, andare avanti con il tracciamento della qualità, una cosa alla quale i consumatori sono sempre più attenti. Il tema della sostenibilità non è tanto una questione di marketing, ma di sviluppo. Pensi che in tre mesi si consuma tutta la produzione realizzata nell’intero anno nell’area del Mediterraneo. Dunque l’alimentazione per un Paese come il nostro sarà sempre di più una questione produttiva, di ricerca, di logistica, di innovazione. Una rigenerazione urbana non out of the town, fuori dalla città, ma a soli due chilometri dal centro”.

C’è poi un tema sempre più decisivo, l’inclusione sociale. Fondamentale in una città come Milano. “Basta venire qui per vedere tutte le comunità etniche della città, il mercato svolge anche questo ruolo inclusivo con un sistema che deve consentire di conservare la qualità senza che i prezzi diventino insostenibili. I prezzi calmierati delle locazioni vanno in questa direzione” conclude Ferrero.  E senza dimenticare che a Milano insiste una attività di recupero all’interno dell’Ortomercato avviata in concomitanza con lo scoppio della pandemia nel 2020 che ha permesso di recuperare e ridistribuire circa 140000 kg di cibo (principalmente frutta e verdura). Una attività di recupero svolta due volte a settimana da una decina di volontari espressione di altrettante realtà (tra cui Comunità il Gabbiano, Area 51, Brigate Solidarietà, Comitato Inquilini MCO, Parrocchia Sacro Cuore Pontelambro, Radici e le ali, Gap Olmi, La luna, QuBi Stadera/Barona/Monza, Staffette Mutuo Soccorso) che nel territorio milanese si occupano di contrastare la povertà alimentare .

E la GDO? Per ora marcia seguendo lo schema che l’ha portata dove è arrivata. Ottenendo buoni risultati e rispondendo anche alle esigenze di solidarietà attraverso importanti iniziative note e meno note. Ma i tempi cambiano. L’esigenza dei consumatori, il controllo dei costi, la gestione del fresco e del freschissimo impongono che la Grande Distribuzione sia della partita. Sottovalutare i discount è costato caro alla GDO. Speriamo non si ripeta con i freschi e i freschissimi.

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