Grande Distribuzione. L’inflazione morde clienti e dipendenti

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C’è una notevole differenza tra le asciutte dichiarazioni del Premier Draghi che nascondono le preoccupazioni su ciò che presumibilmente ci attende e la folla vociante della politica che lo circonda che sembra preferire parlare d’altro. Sullo sfondo la campagna elettorale che ci attende e i segnali che, anche in Francia, la retorica populista domina la contesa nelle elezioni presidenziali in corso.

Alla base della risalita della Le Pen, inflazione, carovita e fallimento della politica economica del Governo. Non è difficile prevedere una polemica simile anche da noi alle prossime elezioni. Sullo sfondo, la guerra ai nostri confini, le conseguenze attese, la difficile uscita post pandemia.

La Grande Distribuzione fino a qui è arrivata in piedi. Lo spettro di una forte ripresa inflazionistica non lascia però dubbi su ciò che ci attende. L’intera filiera è in fibrillazione da mesi e, la situazione, potrebbe precipitare ulteriormente mettendo a rischio redditi e consumi. Per ora le richieste sostanziali della categoria e della filiera sono cadute nel vuoto.  I sondaggi però parlano chiaro. La principale preoccupazione in Francia come in Italia è il potere d’acquisto.

Siamo così in presenza di un evidente paradosso. Le imprese hanno ragione ad essere preoccupate e caute.  Non vogliono caricarsi di costi e, contemporaneamente, i lavoratori hanno le loro buone ragioni essendo i CCNL scaduti da anni. Rita Querzè rilancia il tema sul Corriere  (https://bit.ly/3DVO5Mm). Sei lavoratori su dieci sono senza rinnovo contrattuale. Nel terziario e nella grande distribuzione sono oltre tre milioni al palo. E, all’orizzonte, non c’è nulla di concreto.

Come uscirne?

Innanzitutto occorrerebbe che la parti concordino sulla straordinarietà della situazione. Inutile illudersi che il procedere lento del confronto in atto porti ad un risultato nel solco della tradizione in tempi ragionevoli. L’innovazione contrattuale che servirebbe al comparto per gestire i cambiamenti in atto non è nelle corde delle imprese. E nemmeno dei sindacati se presi nel loro insieme.

Oggi non c’è il clima per affrontare un negoziato classico. Né la volontà di innovare alcunché. È un’occasione sprecata ma è così. Resta però sul tavolo il problema salariale destinato ad aggravarsi con la crescita (probabile) dell’inflazione. Segnali di consapevolezza cominciano ad intravedersi.

Patrizio Podini ha giocato di anticipo (come al solito) erogando a tutto il personale MD una gift card di 100 euro. Non molto diversa dall’operazione fatta in Francia verso la fine del 2021 tesa a tutelare i redditi sotto i 2000 euro netti con un bonus di 100 euro. Alcune aziende, ad esempio Carrefour France, hanno poi raddoppiato l’importo.

Sono misure straordinarie che, in tempi normali avrebbero fatto gridare al paternalismo o, come nel caso della Francia, a una mancia elettorale in vista delle elezioni presidenziali. Come fu per gli ottanta euro di Renzi. In Germania, in questa fase, si stanno strutturando proprio erogando una tantum che consentano di scavallare questa fase.

L’operazione di MD sarà probabilmente molto criticata. Non certo dai collaboratori del discount italiano.  Risponde però ad una serie di esigenze. Innanzitutto mette cento euro in tasca ai lavoratori in un momento particolare. È defiscalizzata ed è spendibile nei loro punti vendita convenzionati. Ci guadagna il lavoratore ma anche  l’azienda che lo eroga visto che il dipendente farà la spesa da loro.

L’importo nel  Decreto Sostegni, ossia il decreto-legge n. 41 del 22 marzo 2021 (convertito in legge il 19 maggio) aveva elevato la soglia dei fringe benefit da 258,23 euro a 516,46 euro. In molti si sarebbero aspettati un ulteriore proroga o addirittura una stabilizzazione del particolare beneficio anche per il 2022 con la legge di Bilancio 2022 (l. n. 234/2022); in realtà, non è stata una delle misure contemplate dal legislatore, con la conseguenza che a decorrere dal 1° gennaio 2022 si è ritornati ai valori originali previsti dal TUIR ovvero all’ammontare di 258,23 euro su base annua. E su questo, forse,  si potrebbe lavorare.

È chiaro a tutti che un rinnovo contrattuale dovrebbe avere ben altre ambizioni e obiettivi. Tutti i miei interlocutori di comparto mi confermano che però non c’è lo spazio per realizzarlo. Metalmeccanici e chimici stanno anch’essi pensando ad aumenti defiscalizzati.

Difficile pensare che siano fattibili su tredici milioni di lavoratori vista la posta in gioco. Lavorare sui flexible benefit potrebbe essere una strada. Il punto è che non è credibile scaricarne i costi semplicemente sullo Stato. Oggi ci sono ben altre priorità.

Ma quanto può durare questo rimpallo tra due esigenze altrettanto legittime? Quando la corda è destinata a spezzarsi?

Il ministro del lavoro Orlando, sulla questione salariale,  intende coinvolgere a breve le parti sociali. Le preoccupazioni fanno intravvedere un autunno rischioso sul piano sociale. Il salario minimo e la necessità di certificare la reale rappresentanza delle categorie incombono sulla discussione. Occorre fare presto.

Patrizio Podini intanto non si è fatto attendere. Ha fatto ciò che ha ritenuto giusto. 

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