Il futuro dei negozi di vicinato è in ciò che Kombinano Canada e Giappone?

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Tra  pandemia e guerra ai confini dell’Europa sembra passato un secolo dal gennaio del 2021 quando Couche Tard, la multinazionale canadese di mini market collegati ai  distributori di carburante, aveva messo sul tavolo 16 miliardi di euro per acquisire l’intera Carrefour. Più o meno la stessa cifra che Amazon aveva sborsato per Whole Foods. L’operazione fu poi stoppata dal Governo francese. Oggi l’acquisizione di  2.193 stazioni di servizio TotalEnergies in Europa per l’equivalente di circa 4,5 miliardi di dollari canadesi (3,1 miliardi di euro, otto volte gli utili prima di interessi, tasse e ammortamenti).

L’accordo le consentirà di entrare in nuove realtà in Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. L’azienda del Quebèc ha mosso i primi passi nel vecchio continente  con l’acquisizione del rivenditore norvegese Statoil nel 2012. Specificando che circa il 25% delle vendite in Scandinavia proviene dal cibo.

L’idea è quindi di puntare sui minimarket di Total in Europa  adattandoli  al gusto e alle culture locali. Con questa transazione, l’operatore di minimarket e distributori di benzina espande la propria presenza in Europa, dove conta già quasi 3.100 negozi. Prima dell’annuncio di questa acquisizione multimiliardaria, l’acquisto più recente di Couche-Tard è stato di  45 Big Red Stores (https://bit.ly/3Lf3hJz) in Arkansas il 27 febbraio. Quella mossa ha quadruplicato il numero di negozi in Arkansas. L’obiettivo è però il mercato europeo dei minimarket a cominciare da quelli delle stazioni di servizio ma non solo.

L’acquisizione include (https://bit.ly/3KQuWzm) 1.195 sedi in Germania, 566 in Belgio, 387 nei Paesi Bassi e 45 in Lussemburgo. Aggiungendo le 2193 sedi, la sua impronta europea (https://bit.ly/40uLLW1) aumenta dell’81%. Attualmente ha 2.703 sedi in otto paesi: Norvegia, Svezia, Danimarca, Lituania, Estonia, Lettonia, Irlanda e Polonia. Il CEO Brian Hannasch di Couche-Tard spiega che questa operazione aiuterà l’azienda del Quebec a crescere “all’interno delle economie più forti d’Europa. Inoltre, Couche-Tard ritiene di poter aumentare in modo significativo il servizio di ristorazione e le vendite in negozio nelle sedi acquisite. “Crediamo che il nostro modello europeo, sia dal punto di vista del cibo che del merchandising, farà breccia in questi mercati”, ha affermato Brian Hannasch. Quindi un obiettivo chiaro. Puntare ad un convenience store diverso dove ristorazione, prodotti alimentari limitati e convenenti e no food possano trovare nuove sintesi. Magari attraverso una dimensione tecnologica più accentuata, un servizio più accogliente  e una logistica diversa.

Dall’altra parte del mondo, secondo ciò che ha pubblicato Sophie Baqué su MIND retail, si sta muovendo verso il vecchio continente pure il gruppo giapponese Seven & i Holdings che si  preparerebbe ad entrare in Germania, Francia, Italia, Spagna, ecc. una interessante manovra a tenaglia da parte di due grandi operatori di minimarket, convenience store o Konbini giapponesi comunque li si voglia definire. 7-Eleven è forse la più grande, diffusa e nota catena internazionale di minimarket e convenience store, fondata nel 1927 in Texas, dove tutt’ora ha sede principale.

In Asia, ed in particolare in Giappone dove oggi hanno una diffusione persino maggiore dei normali supermercati, i negozi 7-Eleven sono conosciuti con il nome di Konbini,  aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Si tratta di un business particolarmente apprezzato da turisti, studenti e lavoratori.    7-Eleven punta su negozi di prossimità ed offre una vastissima gamma di prodotti e servizi, a prezzi estremamente concorrenziali ed accessibili, che può variare in base alle normative locali: alimentari di vario genere, prodotti di prima necessità, prodotti per l’igiene, cosmetica, elettronica e telefonia, pagamenti, ritiro di denaro e ricariche, gadget e giocattoli, abbigliamento, prodotti di caffetteria, fast food e pasticceria, birre ed alcolici, e molto altro.

Particolarmente vincente è la possibilità che offrono i 7-Eleven di scaldare e consumare sul posto pasti rapidi acquistati proprio nel minimarket. 7-Eleven è oggi presente a livello internazionale in 18 Paesi, con una concentrazione maggiore in Giappone, Thailandia e Stati Uniti. Se pur alcuni convenience store 7-Eleven siano presenti già anche in Europa.  7-Eleven utilizza con successo la formula franchising per l’espansione del proprio network. Non c’è però solo convenienza.  C’è un ambiente e una cultura particolare.

In Giappone  niente più contenitori colorati per il cibo nei negozi della catena, hanno poi adottato delle buone pratiche per ridurre lo spreco alimentare, agendo sulle date di scadenza e le emissioni di CO2. In particolare, sono cambiate le confezioni del cibo da asporto. I nuovi contenitori per gli alimenti sono bianchi o semitrasparenti e sono realizzati con un ridotto utilizzo di materiale derivato dal petrolio e si possono riciclare. In pratica meno plastica. Inoltre, non viene più utilizzato l’inchiostro o altri coloranti il cui processo di produzione è inquinante perché rilascia anidride carbonica durante il processo di produzione. L’iniziativa è partita ai primi di dicembre in 997 negozi nella prefettura di Hokkaido e, secondo i calcoli della società, farà risparmiare all’incirca 40 tonnellate di emissioni di CO2 l’anno.

Un progetto che ha avuto i suoi epigoni in Italia a Terni di cui ho già scritto (https://bit.ly/40ejaV5).  Già nel 2018 Giuseppe Caprotti si poneva con forte anticipo quella che è la vera domanda che i convenience store hanno di fronte: sono Fast food o superette? O possono essere entrambe le cose. E fino a che punto è possibile. È una domanda legittima? Comincio a pensare che è proprio intorno a questo nuovo equilibrio, alla tecnologia sempre più disponibile  dalla logistica al cliente finale e alle evoluzione dei consumi, che si giocherà una nuova  partita. In Italia alcune insegne si sono attrezzate, vedi Carrefour. Altre lo stanno facendo. La stessa Autogrill potrebbe intravederne  una sua potenziale evoluzione.

Aggiungo che  la presenza di una immigrazione orientale e anche nordafricana ha fatto anche nascere attività e negozi che riempiono, profumano  e colorano le città per ora rivolti alle rispettive comunità ma i negozi di ortofrutta nordafricani e altri Paesi ci insegnano che non è detto che sarà sempre così.  Siamo in una fase di grandi cambiamenti. Grandi giocatori sembrano credere ad un mondo dei consumi e della ristorazione che va disegnando nuovi scenari e sempre più decidono di scendere in campo. Vedremo con che prospettive.

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