Il PD, la disintermediazione e chi resta indietro…

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Alla prima seria battuta di arresto del PD la minoranza interna ritorna immediatamente al Nanni Moretti del “di una cosa di sinistra!”. Bastasse questo… È vero che fa un certa impressione dover prendere atto che un partito di centro sinistra si afferma tra chi ce la fa e non incide più di tanto su chi resta indietro. Tra chi va all’estero e fa parlare di sé e non tra chi torna in silenzio sconfitto, tra chi lancia una start up e non tra chi in quella start up si appresta a vivere una ulteriore esperienza da precario. Tra chi amplifica il suo business con il commercio elettronico e chi chiude la sua attività tra un fisco opprimente e le pretese dei “cravattari”. Tra chi si porta a casa bonus milionari senza alcun merito e chi perde i suoi risparmi depositati nella banca di fiducia. E il nuovo termometro sociale di questa situazione diventa la rete. Con i suoi insulti, i suoi rancori e la solitudine di chi alza il tono della polemica con l’unico scopo di farsi notare. Certo c’è un Italia che crede nel futuro, che scommette su di sé, sul cambio generazionale e su chi vince. Per questa Italia Renzi è un solido punto di riferimento. Rottamatore, riformatore, solo contro tutti. Ma c’è un Italia che sembra essersi rassegnata e non ci prova nemmeno a farcela. Si sente tagliata fuori per colpa di un sistema nemico dove si vive in solitudine con i propri problemi e si sente contro tutti gli altri. Politici, istituzioni, stranieri ma anche chi cerca di farcela. E, nel Paese dello zero virgola del PIL in più e dell’occupazione che cresce o forse no, in un’Europa matrigna che ci tratta come scolaretti indisciplinati dove la ripresa economica rischia di riguardare solo alcuni, non è stato difficile indicare in Renzi il bersaglio grosso e facile da colpire. D’altra parte lui non si è sottratto a questo gioco al massacro. Ha lasciato crescere il malcontento nel suo Partito senza affrontarlo, ha individuato nemici dappertutto prima ancora che si manifestassero in tutte quelle associazioni e formazioni che, pur in crisi, hanno sempre costituito i grandi contenitori di partecipazione popolare collaterale del suo partito e ha scommesso tutte le sue fortune sulla crisi della leadership di un centro destra contando sulla possibilità di attrarlo sottovalutando così, non tanto la nascita di un nuovo contenitore politico del malessere né di destra né di sinistra, quanto il malessere stesso che iniziava a crescere nella società e che lui ha pensato di poter affrontare da solo con un manipolo di fedelissimi. Le teorie sulla disintermediazione risentono di questo approccio sbrigativo. Il blitz però, a conti fatti, non è riuscito. I corpi intermedi sono ancora lì, un po’ provati ma intatti nella loro forza propositiva e organizzativa, il centrodestra mantiene una base elettorale sostanzialmente intatta e anche poco disponibile a seguire il PD vecchio o nuovo che sia, anzi più propensa a giocargli contro. L’aver voluto giocare da solo tutta la partita ne amplifica ancora di più le responsabilità personali. Qui siamo. E in autunno ci aspetta un referendum importante dove le ragioni del “SI” e del cambiamento vanno ben oltre lo stesso Matteo Renzi e la sua esperienza politica e personale. Per questo è sbagliata la personalizzazione che si è voluta creare (e sulla quale Renzi ha delle precise responsabilità) intorno a quella scadenza. Personalmente non vedo, in questo momento, alternative serie a Renzi e al suo Governo e condivido che il referendum rappresenti uno spartiacque troppo importante per la credibilità del nostro Paese e quindi mi aspetto, come semplice cittadino, che il nostro Presidente del Consiglio prenda atto della necessità di rivedere la sua impostazione come peraltro alcuni segnali sembrerebbero già indicare. Il punto non è dar ragione ai suoi oppositori ma saper costruire un ponte realistico con la società, tutta la società. Anche con chi vive con smarrimento e preoccupazione questa fase di transizione. La convergenza deve essere con chi vuole veramente cambiare questo Paese, quindi con chi si appresta con motivazioni diverse a impegnarsi per superare la prova referendaria. Occorre far crescere nel Paese un dibattito vero sulle ragioni del cambiamento e sulla necessità di andare oltre gli scontri tutti interni alla politica e lontani dalla comprensione di chi i problemi concreti li vive tutti i giorni. Occorre riprendere a confrontarsi con i corpi intermedi per rilanciare un vero patto per lo sviluppo, dare fiato alle associazioni, costruire punti di convergenza vera, rinnovare i contratti di lavoro scaduti e dare segnali a chi resta indietro anche sul piano fiscale. La legge di stabilità sarà un passaggio importante. Occorre ritornare a parlare al Paese con onestà e sincerità. E su questo giocare le proprie carte. Il Paese ha bisogno di fondisti non di scattisti che si ritirano alle prime difficoltà.

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