La Grande Distribuzione deve uscire dalla morsa dei costi e dell’inflazione

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La pandemia e la crisi economica nella quale siamo ormai entrati hanno aperto nuovi scenari sugli atteggiamenti dei consumatori rispetto al luogo e alle modalità di acquisto. Ma anche nuove sfide per le imprese. Nel primo caso si è scoperto che un’ottima location poteva essere anche il divano di casa. Non era più indispensabile fare la coda alle casse. Né trovarsi in mezzo a rischi di contagio. Con tutte le opportunità del caso. Dalla consegna rapida a domicilio a quella più lenta determinata da una spesa più complessa o dal click and collect con prezzi online allineati al canale fisico, il ritiro gratuito  e con tempistiche rapide di evasione dell’ordine. La GDO, pur nell’emergenza è riuscita a reggere bene il colpo.

Un mix di possibilità, per ora integrative del business tradizionale, che segnalano nuove traiettorie per il futuro pur lasciando sullo sfondo i progetti di espansione dei giganti della rete. Nella crisi, con la fiammata inflazionistica che ne è derivata, si è cominciato a capire che più del formato del contenitore e della sua collocazione sul territorio era il contenuto, la sua qualità, la logistica collegata ad essere decisivi e a determinare  la convenienza intesa in senso lato che spingono  il consumatore  verso una determinata insegna.

L’affanno imbarazzato  di alcune insegne  di fronte all’impennata dell’inflazione è comprensibile. Qualche errore di comunicazione e qualche nervosismo eccessivo in una fase nuova sono  comprensibili. Il rassicurante scudo anti inflazione sul… pesto ligure di un noto gruppo commerciale  nazionale ne è una dimostrazione evidente. I consumatori sono frastornati e le insegne sono tra l’incudine e il martello. La durata e la natura del fenomeno a cui non siamo preparati e le contromisure messe il campo dalle insegne oltre agli interventi della politica saranno però decisivi.

Se, come sperano molti, l’inflazione verrà messa sotto controllo in prossimità del 2024 Il mercato non farà selezione. Se non sarà così, la profondità della crisi lascerà al palo i più deboli. Fidelizzare i propri clienti in situazione di alta inflazione è  ancora più difficile. Si parla spesso di crisi di alcuni formati tradizionali e di avanzata del discount o dei punti vendita di prossimità.  La location in sé sta perdendo inevitabilmente la sua centralità. Ed entrano in crisi abitudini e fedeltà del consumatore.

La crisi spinge il consumatore ad una sorta di nomadismo dove, a differenza che in passato, non è tanto la collocazione del punto vendita a fare la differenza. È l’appeal dell’insegna, la sua convenienza, spesso più della vastità dell’assortimento e forse della qualità se declamata (spesso a caro prezzo) ma non agìta. La fedeltà passa in secondo piano. E sarà sempre più così per le nuove generazioni. Che vanno conquistate ogni giorno e non date per scontate. Un segnale sono già oggi le borse variopinte che alle casse vengono riempite con la spesa. Spesso, molto spesso, di insegne diverse e concorrenti tra di loro e senza alcun imbarazzo quasi a sottolineare una tendenza in atto.

I discount, dimostrando visione e capacità di interpretazione del contesto, hanno spesso messo in pratica la stessa tecnica raccontata da Gian Maria Volontè magistrale interprete del “caso Mattei” un film del 1972, diretto da Francesco Rosi e dedicato alla figura di Enrico Mattei, presidente dell’ENI. Le famose trivelle oblique che saccheggiavano il gas agli impianti vicini. In fondo i discount, soprattutto italiani,  piazzati vicino agli insediamenti della GDO tradizionale che fanno? Più che puntare alla forza del proprio marchio sfruttano il bacino altrui. E se il vicino ha dei problemi, meglio ancora. Lo si forza a tenere un passo più lungo della gamba spingendolo ad avvitarsi con costi in aumento, fatturati drogati e margini inesistenti.

Il caso di Corbetta in provincia di Milano è paradigmatico. A LIDL Penny, Eurospin è seguito ALDI in meno di 800 metri lineari laddove Esselunga e Carrefour nel passato dominavano la scena. E senza elencare tutti gli altri presenti sul territorio comunale a poca distanza. Carrefour ha chiuso per manifesta inferiorità. Ma non finirà qui. Ma è così un po’ dappertutto dove il bacino dei clienti resta invariato e aumentano solo i concorrenti.

In mancanza di acquisizioni di insegne e di  concentrazioni, la tattica prevale sulla strategia a scapito della redditività e dei costi. È il cane che si morde la coda. Nessuno è in grado di vincere ma tutti sono in grado di farsi del male a vicenda in un gioco a somma zero. Da qui l’inevitabile “ossessione” sui costi. Che blocca tutto. Lo sviluppo, gli investimenti, le acquisizioni e il rinnovo del CCNL.

La forza di LIDL o di ALDI o dei discount in generale è che la GDO classica non ha una strategia comune condivisa. Non l’ha mai avuta. Ciascuno pensa per sé. Crescere ovunque ed essere un passo avanti al concorrente  dovunque come nel secolo scorso non basta più. Arrivati a 23.000 punti vendita in Italia forse qualcosa andrebbe messo in discussione. Non  basta più avere lo sguardo lungo a livello di singola insegna. Occorre costruire e impegnarsi a rispettare nuove regole comuni, credere nella forza della rappresentanza, creare alleanze dotandosi di una strategia nei confronti della politica.  Lo stesso vale nel confronto con i giganti della rete. Non basta dire “stesso mercato stesse regole”. Occorre definirle insieme queste regole.

Gli uni parlano male degli altri ma poi convivono nelle stesse associazioni in italia e in Europa che, ovviamente, non sono in grado di fare alcunché né in termini di programmazione di un futuro condiviso né in termini di sviluppo o di presidio di ciascun segmento. Almeno Confcommercio (lo dico con ironia) quando faceva la guerra alla grande distribuzione si era data una strategia: rallentarne o impedirne lo sviluppo a livello locale e vellicare l’associazione di categoria  a livello nazionale: “un colpo al cerchio e uno alla botte”. E per anni ha pure funzionato. Poi sono esplose le contraddizioni e le strade si sono divise. Oggi però le divisioni stanno danneggiando tutto il comparto. 

Sviluppo del settore, nuovi modelli di concentrazione collegati anche al futuro dei singoli formati distributivi, innovazione tecnologica, ricerca di collaboratori (punto chiave nei prossimi anni), formazione degli addetti non sono materie da confinare nei convegni né semplicemente replicabili  all’infinito ciascuno a casa propria con i costi che comportano. Così come i costi di sede. Alcune scelte dovrebbero trasformarsi in priorità e poi in progetti comuni. Di impegno per gli imprenditori più visionari e per i manager aziendali più sensibili supportati  dal lavoro  delle loro associazioni.

È vero. Ci sono serie preoccupazioni sul futuro e sulla tenuta complessiva del comparto. Ma ci potrebbero essere opportunità per chi ha coraggio imprenditoriale e visione del futuro. Occorre però uscire con la testa e con il cuore dalla propria bottega che non deve trasformarsi in un confine invalicabile.  La sfida è tutta qui.

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