Movimenti e politica dopo il novecento

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Oggi sul Corriere Pierluigi Battista conclude, forse troppo drasticamente, che il novecento è morto e che i nuovi movimenti si stanno consolidando in tutta Europa. Il novecento, a mio parere, non è affatto morto. Anzi. È proprio la sua estrema vitalità sul piano politico e della rappresentanza che ne impedisce l’auspicato quanto necessario superamento. I vari movimenti politici che si propongono in tutta Europa segnalano un disagio profondo; il disorientamento dei cittadini di quasi tutti i Paesi causato dalla globalizzazione. È la ricerca di risposte semplici, immediate, che riportino indietro il tempo. Non c’è in nessun nuovo movimento uno sguardo sul futuro. C’è una vaga quanto ingenua promessa che con maggiore onestà e una più puntuale difesa degli interessi nazionali tutto possa ritornare come prima per il ceto medio, gli anziani che si sentono emarginati e, ovviamente per il futuro dei giovani. Addirittura si tende a far passare l’idea che i fenomeni migratori siano causati dalla incapacità della politica tradizionale e delle istituzioni di affrontarli contingentarli e risolverli rapidamente. Non esiste un’analisi sulla inevitabilità dei flussi migratori e sulla necessità di prepararsi ad un mondo profondamente diverso da quello al quale siamo cresciuti. Il sussulto della Brexit va in quella direzione, così come tutto ciò che sta avvenendo al di fuori del “controllo” della destra e della sinistra tradizionale nel mondo. L’inadeguatezza delle risposte tradizionali viene sostituita dall’inadeguatezza delle risposte nuove. Tutto qua. La globalizzazione ha messo in campo le sue priorità e la politica come elemento di mediazione e di proposta non è tra quelle. Inoltre la cosiddetta disintermediazione, sul piano planetario ha colpito innanzitutto le istituzioni e la politica dei singoli Paesi mostrandone l’inefficacia nel governare i fenomeni e determinando quindi  una risposta di “pancia” delle persone lasciate sole con i loro problemi. Gli schemi stanno saltando un po’ dappertutto ma non credo siano sufficienti le ingenue risposte messe in campo fino ad oggi. Resto convinto che questo non è il tempo per risposte parziali, difensive o spinte localistiche. È, al contrario, il tempo delle grandi coalizioni nazionali e internazionali omogenee che possano rimettere al centro una discussione vera sulle regole di governo dell’economia, gli assetti della democrazia, le grandi onde migratorie e trovino anche le risposte per chi resta necessariamente indietro in questa fase di transizione. Il meccanismo che è stato messo in moto non ci dice quale sarà l’approdo finale. Ci dice solo che ciò che abbiamo alle spalle è inadeguato e che il “viaggio” è obbligato. C’è chi pretende di ritornare indietro, chi non vuole andare avanti e chi propone risposte semplici a problemi complessi. Molti sono affascinati dai dilettanti, dagli inesperti, dalle scorciatoie. Al contrario questa è la fase dove i migliori professionisti dovrebbero lavorare insieme per costruire il futuro. Il novecento ha prodotto pensiero, ricchezza e speranze. I grandi movimenti politici e sociali che sono nati e cresciuti in quegli anni e in quelle circostanze devono saper trovare cosa li unisce e sapere quale è la posta in gioco. Per questo io non credo affatto che siano al capolinea. Perché come afferma un vecchio proverbio arabo: “tra morto e morto e sepolto c’è un’enorme differenza.” È il momento di dimostrare che verrà il giorno dove destra e sinistra si confronteranno ancora su versanti opposti con proposte differenti perché si dovrà decidere come distribuire la ricchezza prodotta. Però non è questo il giorno. Oggi è tempo di convergenza e di unità di intenti tra tutte le forze politiche e sociali a cui i cittadini, tra l’altro, continuano a dare la maggioranza dei consensi. In Europa ma anche nei singoli Paesi che la compongono. Solo così quei movimenti ritorneranno ad avere una funzione utile di pungolo per la democrazia e di partecipazione per le nostre comunità. Ma in un quadro governato e sicuro.

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