Ultimi interventi legislativi sul Welfare e sul Lavoro

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Art.1, comma 20 – Età pensionabile donne 

L’elevazione dell’età pensionabile delle lavoratrici del settore privato, nel corso dell’iter parlamentare del provvedimento è stata anticipata all’1.1.2014, rispetto all’1.1.2016, come previsto dal testo originario del decreto-legge in esame ed all’1.1.2020, come previsto ancor prima dalla manovra di luglio (art.18 del D.L. 98/2011, convertito con la Legge n.111/2011).

Pertanto, per le lavoratrici dipendenti del settore privato e per le lavoratrici autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria nonché della Gestione Separata INPS, la decorrenza dell’incremento di un mese del requisito anagrafico di sessanta anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema retributivo e misto ed in quello contributivo,  è anticipata a partire dal 1° gennaio 2014.

Tale requisito anagrafico è incrementato di ulteriori due mesi a decorrere dal 1° gennaio 2015, di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1° gennaio 2016, di ulteriori quattro mesi a decorrere dal 1° gennaio 2017, di ulteriori cinque mesi a decorrere dal 1° gennaio 2018, di ulteriori sei mesi a decorrere dal 1° gennaio 2019 e per ogni anno successivo fino al 2025 e di ulteriori tre mesi a decorrere dal 1° gennaio 2026.

Pertanto, l’età pensionabile raggiungerà i 65 anni, a regime, dal 1° gennaio 2026, invece che dall’1.1.2028 come prevedeva il testo originario del decreto-legge in esame e dall’1.1.2032 come previsto dalla manovra di luglio.

Anno Incremento in mesi decorrente dal 1° gennaio dell’anno (rispetto all’anno precedente) Incremento cumulato in mesi
20142015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

2025

2026

12

3

4

5

6

6

6

6

6

6

6

3

13

6

10

15

21

27

33

39

45

51

57

60

Resta ferma la disciplina vigente in materia di decorrenza del trattamento pensionistico (cosiddette finestre mobili) e di adeguamento dei requisiti pensionistici agli incrementi della speranza di vita.

Art.6, comma 6-bis – Contenzioso bonus bebè

 

Nei confronti di coloro che hanno beneficiato del bonus bebè (assegno di mille euro per ogni figlio nato o adottato nel 2005)  senza possedere i prescritti requisiti reddituali, non si applicano le sanzioni penali ed amministrative qualora restituiscano le somme indebitamente percepite entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

I procedimenti penali ed amministrativi eventualmente avviati sono sospesi sino alla scadenza del predetto periodo e si estinguono a seguito dell’avvenuta restituzione.

Misure a sostegno dell’occupazione

 

Art. 8 – sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità

La norma introduce la possibilità che la contrattazione di secondo livello deroghi le previsioni contenute nei contratti collettivi nazionali per realizzare intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori.

Sono, inoltre, state definite le condizioni necessarie per la legittimità e l’applicabilità dei predetti accordi.

Con riferimento al primo aspetto, è stato previsto che la legittimità sia subordinata alla sottoscrizione da parte di associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi delle previsioni di legge e degli accordi interconfederali vigenti (ivi compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 sottoscritto fra Confindustria, CGIL, CISL e UIL).

Per quanto concerne, poi, l’applicabilità la norma dispone che siano efficaci nei confronti di tutti i lavoratori interessati solo se sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze.

I predetti accordi potranno riguardare le materie l’organizzazione del lavoro e della produzione riferimento ai seguenti aspetti:

a)     impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie;

b)     mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale;

c)     contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

d)     disciplina dell’orario di lavoro;

e)     modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

La norma, inoltre, riconosce altresì forza giuridica generale ai contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, sottoscritto fra Confidustria, CGIL, CISL e UIL, a condizione che siano stati approvati con votazione a maggioranza dei lavoratori.

 

Art. 9 – Collocamento obbligatorio e regime delle compensazioni

La modifica dell’art. 5 della L. n. 68/1999, permetterà di rispettare gli obblighi di assunzione  di lavoratori disabili a livello nazionale.

Pertanto, i datori di lavoro privati che abbiano alle loro dipendenze lavoratori occupati in diverse unità produttive potranno realizzare automaticamente la procedura di compensazione territoriale, comunicandola ai servizi competenti delle province in cui si trovano le unità produttive mediante l’invio del prospetto informativo di cui all’art. 9, comma 6, L. n. 68/99, da cui si evince l’adempimento dell’obbligo a livello nazionale.

La medesima possibilità con l’identica procedura è stata prevista, inoltre, per i gruppi di imprese che potranno effettuare la compensazione, ferma restando la quota di riserva per ciascuna singola impresa, anche nell’ambito del gruppo stesso.

Art. 10 – Fondi interprofessionali per la formazione continua

 

La previsione amplia i beneficiari degli interventi di formazione continua, riconoscendo ai Fondi interprofessionali la possibilità di promuovere azioni di formazione per gli apprendisti e per i lavoratori coordinati e continuativi nella modalità a progetto.

Art. 11 – Livelli di tutela essenziali per l’attivazione dei tirocini

La norma detta una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale, prevedendo che i tirocini formativi e di orientamento non curriculari abbiano una durata non superiore a 6 mesi, comprese le eventuali proroghe, e che possano essere promossi esclusivamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei relativo titolo di studio.

I suddetti limiti non operano, tuttavia, nei confronti di talune tipologie di soggetti, quali i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i detenuti ammessi a misure alternative di detenzione, quelli promossi a favore degli immigrati, nell’ambito del decreto flussi, dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, nonché quelli rivolti a soggetti svantaggiati destinatari di specifiche iniziative di inserimento o reinserimento al lavoro.

 

Art. 12 – Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

La previsione introduce quale ulteriore ipotesi di reato quella di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, che si aggiunge a quelle già esistenti per i casi di esercizio senza autorizzazione delle attività di somministrazione e intermediazione di manodopera.

In particolare, la norma, nel considerare sia la fattispecie della mediazione abusiva, che quella svolta da soggetti autorizzati, determina quale elemento distintivo del reato lo sfruttamento (rinvenibile anche nel caso di violazione sistematica delle norme di tutela del lavoro di legge o di contratto), la violenza, la minaccia o l’intimidazione dei lavoratori.

La sanzione prevista è la reclusione da 5 ad 8 anni a cui si aggiunge la multa da euro 1.000 a 2.000 per ciascun lavoratore reclutato.

 

 

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Inps – Incentivo per l’assunzione di giovani genitori

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L’Inps,con la circolare n. 115 del 5 settembre c.a., informa che, come previsto dal Decreto del Ministro della Gioventù del 19 novembre 2010 è stata istituita, presso l’Istituto, la “Banca dati per l’occupazione dei giovani genitori” nella quale possono iscriversi i giovani genitori di figli minori, in cerca di una stabile occupazione.

Tale banca dati è finalizzata a consentire l’erogazione di un incentivo di € 5.000 in favore delle imprese private che provvedano ad assumere, con un contratto a tempo indeterminato, anche parziale, le persone iscritte alla banca dati stessa.

I requisiti, che devono sussistere congiuntamente alla data di presentazione della domanda, per iscriversi alla suddetta banca dati sono: 

età non superiore a 35 anni (da intendersi fino al giorno precedente il compimento del trentaseiesimo anno di età);
essere genitori di figli minori – legittimi, naturali o adottivi – ovvero affidatari di minori;
essere titolari di uno dei seguenti rapporti di lavoro:
– lavoro subordinato a tempo determinato
– lavoro in somministrazione
– lavoro intermittente
– lavoro ripartito
– contratto di inserimento
– collaborazione a progetto o occasionale
– lavoro accessorio
– collaborazione coordinata e continuativa.
 
La domanda d’iscrizione può essere presentata anche da  una persona cessata da uno dei rapporti sopra indicati; in tal caso ulteriore requisito è la registrazione dello stato di disoccupazione presso un Centro per l’Impiego.
 
I soggetti aventi diritto potranno iscriversi alla banca dati a decorrere dalla data di pubblicazione di apposito avviso sulla Gazzetta Ufficiale.

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Contrattare. Più che dove direi come, cosa e perché…

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Riflettere sui livelli della contrattazione è importante soprattutto per cercare di trovare risposte adeguate ai problemi delle imprese e dei lavoratori, oggi.
Un modello basato esclusivamente sul Contratto Nazionale, con vincoli e regole uguale per tutti, non regge più soprattutto se ad esso si sommano vincoli e regole della contrattazione aziendale o di secondo livello.
Negli anni si è costruito un sistema rigido sia sul piano economico che normativo assolutamente inadatto ad affrontare le sfide che il mercato impone.
Affrontare i nodi strutturali che questo sistema determina non sarà facile.
Confindustria ha proposto e concordato con le OO.SS un nuovo modello che dovrebbe ruotare intorno all’azienda e alle sue esigenze specifiche, sostanzialmente alternativo al CCNL.
Questa scelta consentirebbe alle parti di decidere cosa concordare su tutte le materie che riguardano l’impresa, le sue esigenze di produzione, la qualità e la quantità di lavoro necessario e il relativo corrispettivo economico.
Un modello certamente più adatto ad alcune grandi imprese ma che, non necessariamente, si dimostrerà più efficace rispetto ad altri modelli che possono essere rivisitati e approfonditi soprattutto perché non risolve il problema del conflitto e quindi dei rapporti di forza che restano, purtroppo, l’elemento vincolante per dirimere le questioni poste dalle parti.
In altre parole non si è affrontato il problema principale.
Se le relazioni sindacali si basano esclusivamente sulla logica dei rapporti di forza poco importa se questi si esercitano al centro o in periferia, o chi vince oggi, perché costringono le parti in una continua logica di arretramento e di avanzamento che non modifica la cultura del conflitto.
L’impresa nazionale, anche per gli effetti della globalizzazione è sempre più un luogo dove le parti, pur nel rispetto di una logica di difesa dei propri interessi, si tutelano creando una ricchezza condivisa e un clima che deve essere necessariamente positivo.
Altrimenti perdono entrambi.
Nel Terziario la scelta che abbiamo fatto, per arrivare allo stesso risultato è di partire dalla riaffermazione del ruolo centrale del CCNL.
In sede di rinnovo abbiamo stabilito quali materie sono indisponibili e quali derogabili a livello territoriale o aziendale in funzione di problemi specifici.
Dal CCNL discende la bilateralità che offre, a livello centrale e territoriale, risposte importanti sotto diversi aspetti.
Nel nostro comparto un modello decentrato alternativo minerebbe un sistema che, al contrario, risponde bene alle esigenze delle imprese e dei lavoratori.
Un sistema da innovare ma che più di altri risponde alle esigenze di piccole e grandi imprese, settori e problematiche differenti che oggi coinvolge quasi tre milioni di lavoratori. Non è un caso che il sistema bilaterale che discende dal nostro contratto ha tenuto nonostante la decisione della Filcams CGIL di non firmare il Contratto stesso!
Questa cultura, tipica del terziario, di anteporre le esigenze concrete alle posizioni ideologiche dovrebbe essere un punto d’approdo per tutto il sistema delle relazioni sindacali nel nostro Paese.
Ricorrere a scorciatoie metodologiche serve a poco.
Se non si ha il coraggio di aprire un dibattito vero su questo tema è almeno importante che chi è più avanti, come noi, possa continuare a sperimentare modelli più avanzati, accettare e rilanciare nuove sfide e uscire definitivamente da una cultura superata e non più in grado di evolvere.
Per questo motivo noi siamo pronti a mettere a disposizione del Paese le nostre proposte che fanno perno su di una nuova centralità di un Contratto nazionale certamente più snello ma con, al proprio interno regole chiare, rinvii definiti e materie disponibili e indisponibili per i diversi livelli contrattuali.

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il nuovo contributo di solidarietà

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In considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, è dovuto un contributo di solidarietà del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il reddito di lavoro dipendente di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al lordo della riduzione ivi prevista, e i trattamenti pensionistici di cui all’articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al lordo del contributo di perequazione ivi previsto. Il contributo di solidarietà non si applica sui  redditi di cui  all’articolo 9, comma 2, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all’articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarietà è deducibile dal reddito complessivo. Per l’accertamento, la riscossione e il contenzioso riguardante il contributo di solidarietà, si applicano le disposizioni vigenti per le imposte sui redditi. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 30 ottobre 2011, sono determinate le modalità tecniche di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, garantendo l’assenza di oneri per il bilancio dello Stato e assicurando il coordinamento tra le disposizioni contenute nel presente articolo e quelle contenute nei citati articolo 9, comma 2, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze,  l’efficacia delle disposizioni di cui al presente comma può essere prorogata anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.”.

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Lavoratori stranieri

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Ingresso di cittadini stranieri per la partecipazione a corsi di formazione professionale e tirocini

Nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29 agosto 2011, è pubblicato il Decreto 11 luglio 2011 con il quale il Ministero del Lavoro individua in 10.000 unità il contingente annuo relativo all’ingresso di cittadini stranieri per la partecipazione a corsi di formazione professionale e tirocini. 

Le quote sono così suddivise:
5.000 unità per la partecipazione a corsi di formazione professionale di durata non superiore a 24 mesi,
5.000 unità da ripartite tra le regione e province autonome, per tirocini formativi e d’orientamento.

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Fornero: Nell’estensione del sistema contributivo la soluzione del problema delle pensioni

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Articolo di Elsa Fornero pubblicato sul Sole 24 Ore il 19 agosto 2011

Come si può spiegare al ministro Bossi che l’intervento sulle pensioni non è soltanto una necessità, ma anche un’opportunità per il Paese? Come convincerlo che, bloccando tale intervento la Lega non ha «salvato i pensionati»?
Come spiegare a Bossi che la Lega ha intrapreso una strada che rischia di condannare il Paese, soprattutto attraverso un’ulteriore “punizione” inflitta alle generazioni giovani che ne rappresentano il futuro? Come chiarirgli che l’intervento giusto sul sistema previdenziale non è una nuova “riforma” (ne abbiamo già fatte anche troppe, senza mai realizzarle appieno), ma l’attuazione di ciò che in passato, in maniera condivisa da entrambe le parti politiche, era stato deciso per il futuro assetto delle pensioni, e cioè il metodo contributivo di calcolo delle pensioni?
Come convincerlo delle caratteristiche positive di tale metodo che, come ormai sanno pressoché tutti gli italiani, restituisce individualmente in forma di pensione l’insieme dei contributi (capitalizzati) versati da ogni lavoratore nel corso della sua vita lavorativa, senza oneri per i terzi, e con un ricco “premio” nel caso di posticipo del pensionamento?
Che l’intervento sulle pensioni sia anche un’opportunità per il paese (oltre che una misura di risanamento dei conti pubblici) dipende proprio dalla natura della crisi attuale. Crisi come questa non si risolvono rigirando le solite frittate (un po’ di restrizione qua, un taglio là), bensì introducendo nuovi meccanismi, ossia innovando, se non altro nel metodo, le soluzioni date ai vari problemi. L’entità della manovra ovviamente conta, ma conta soprattutto la sua qualità, e una cattiva qualità si paga con un inasprimento della quantità di restrizione necessaria, come l’esperienza di queste settimane insegna.
La crisi attuale non richiede soltanto un aggiustamento del bilancio pubblico (e meno che mai un aggiustamento effettuato soltanto dal lato dell’entrata, cioè della tassazione), ma esige qualche discontinuità rispetto alle scelte attendiste e non risolutive del passato. La riforma pensionistica del 1995 che ha introdotto il metodo contributivo era, nel merito, una risposta all’altezza della situazione di insostenibilità del nostro sistema pensionistico. Nel metodo, tuttavia, essa peccò di mancanza di coraggio, cercando (proprio come oggi vuol fare il ministro Bossi) di salvaguardare i “diritti acquisiti” delle generazioni vicine alla pensione. Il coraggio che mancò allora sarebbe prezioso oggi: non più rinvii, non più ritardi, ma applicazione immediata, a partire dal primo gennaio 2012, e generalizzata per le anzianità future (anche se di un solo anno) del metodo contributivo, con pensionamento a partire dall’età di 63 anni. Sulle eccezioni per i lavoratori meno fortunati, ma non, viceversa, per quelli privilegiati, si potrà discutere una volta accettato di dare compimento alla riforma.
L’opportunità sta in questo: mentre si interpretano solitamente in chiave restrittiva – di taglio di benefici o di diritti – gli interventi sulle pensioni, l’applicazione del metodo contributivo restituisce flessibilità alle persone nella scelta del pensionamento, premiandole in misura adeguata se decidono di continuare l’attività. Non è infatti dall’accorpamento di alcune festività che si ottiene aumento duraturo e significativo del Pil, bensì dal maggior lavoro di tutti, e dalla eliminazione di quell’ingiusta tassa che oggi, con le pensioni di anzianità, spinge i lavoratori a uscire dal mercato del lavoro non appena raggiunti i requisiti minimi.
L’aumento dell’età di pensionamento è una “tassa” per il lavoratore nell’attuale sistema retributivo di calcolo della pensione, in quanto riduce l’ammontare complessivo di “ricchezza pensionistica” accumulata dal lavoratore. Non lo è invece nel sistema contributivo nel quale i coefficienti di trasformazione (quei numeri che, per esempio nella fascia 63-68 anni di età, convertono in pensione il capitale rappresentato dai contributi di tutta la vita lavorativa) sono calcolati in modo da aumentargli la pensione futura, un aumento che lo ripaga non soltanto dei maggiori contributi versati nell’anno addizionale di lavoro, ma soprattutto dell’anno di pensione persa continuando a lavorare.
L’allungamento della vita implica maggiori accantonamenti ed è necessario lavorare di più per accumularli; con l’attuale pensionamento di anzianità e l’attuale pensione retributiva il lavoratore è scoraggiato dal farlo, mentre con il pensionamento flessibile collegato al metodo contributivo l’allungamento della vita lavorativa non comporta più una “tassa”, ma un premio per la minore longevità attesa.
Salvaguardare le pensioni di anzianità, o la più bassa età di pensionamento delle donne nel settore privato, non equivale perciò a salvare i (quasi) pensionati ma implica , al contrario, penalizzare i giovani, sui quali la crisi sta scaricando i maggiori effetti e sui quali i pensionati “salvati” graveranno per più anni. È sicuro il ministro Bossi che i lavoratori siano contenti di questa situazione? Non ha mai incontrato lavoratori consci di questo conflitto generazionale o che semplicemente gli chiedevano di poter lavorare di più, in vista di una pensione maggiore anziché essere dismessi in età ancora relativamente giovane con una pensione più risicata?

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