Quadro politico e forze sociali. Un passo avanti e due indietro?

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Continuando così la prossima legislatura rischia di essere veramente quella del commissariamento del nostro Paese. Da un lato una Politica litigiosa e inconcludente che sembra voler affrontare la prossima contesa elettorale scontrandosi su contenuti tanto popolari quanto improponibili. Dall’altro i corpi intermedi che stanno procedendo in ordine sparso illudendosi, forse, di poter condizionare in modo tradizionale, la Politica.

Il lavoro, le pensioni, le tasse e il reddito dei cittadini diventano in questo modo centrali, seppur posti in modo contraddittorio e superficiale mentre ritornano sullo sfondo la necessità di rimettere in ordine i nostri conti e di ridurre conseguentemente il nostro debito pubblico.

L’Europa ascolta impotente i segnali dando per scontato che il collante che sosterrà le diverse coalizioni sarà una sorta di populismo “di lotta e di governo” teso a rimettere in discussione tutto ciò che all’Europa stessa, era stato presentato come segnale di definitiva inversione di rotta.

Da qui il dibattito surreale tra le forze politiche ormai lanciate nella contesa con rischiosi tentativi di apparentamento e di conseguenza, di scarsa capacità di condizionamento delle stesse forze sociali.

“Vorrà dire che farete un accordo migliore con il prossimo Governo”. Sembra che queste siano state le parole del Presidente del Consiglio rivolte a Susanna Camusso durante i recenti confronti sulle pensioni.

Marco Bentivogli rincara la dose:” Quando non si valorizzano i risultati di un negoziato vuol dire che non si era lì per portare a casa avanzamenti per i lavoratori. Illuderli ancora una volta con una mobilitazione da campagna elettorale è oggi più che mai irresponsabile”.

Sul versante della politica sia la Lega che i 5 Stelle promettono di entrare a gamba tesa sui temi del lavoro, del reddito e delle pensioni con proposte precise sulla legge Fornero, sul salario minimo o sul salario di cittadinanza comunque inteso.

A sinistra del PD l’esasperazione del confronto ormai porta a rimettere in discussione tutto quello che è stato fatto fino ad oggi, in materia di lavoro, dallo stesso Governo. C’è da sperare che resteranno solo minacce ed iniziative indotte dal confronto elettorale. Però è indubbio che questi scontri rischiano di produrre solo macerie. Da una parte e dall’altra.

Per quanto riguarda il sindacato confederale si ritroverà di fronte molto presto ad una situazione che la stagione dell’azione unitaria della contrattazione nazionale sembrava avesse ormai superato.

Il vecchio slogan marciare divisi “organizzativamente” per colpire uniti sembrava essere ritornato il nuovo mantra. Se, al contrario, la divisione verrà riproposta come in passato nelle strategie e in ogni luogo di lavoro come elemento identitario il peso e l’autorevolezza delle tre Confederazioni ne risentirà fortemente proprio in un momento dove occorrerebbe ben altro.

È chiaro che è difficile, non solo per la CGIL, una scelta netta tra lavori, categorie e lavoratori preoccupati per il loro futuro pensionistico. Così come su come bilanciare ciò che garantisce una pensione dignitosa a chi pensa di averla già raggiunta e una altrettanto sufficiente a chi la dovrà raggiungere tra qualche decennio.

Rifiutare però i risultati del negoziato in corso significa, però. consegnarne gli sviluppi dello stesso al prossimo esecutivo.  Con tutte le conseguenze del caso. Ė vero, però, che la Cisl sembra essere la meno convinta nel farsi attrarre in una situazione di scontro sociale preelettorale sulle pensioni.

Annamaria Furlan non si è nascosta ed ha affrontato questo negoziato da protagonista con l’idea di arrivare comunque ad un accordo utile e probabilmente questo atteggiamento ha anche convinto il Governo a qualche significativo passo in avanti.

Credo un analogo giudizio valga per lo stesso Carmelo Barbagallo. Può essere che la preoccupazione di rompere con la CGIL lo spinga ad un ruolo più di mediazione ma la situazione rischia inevitabilmente di precipitare. Comunque se la CGIL vorrà forzare la mano lo si vedrà molto presto. Il Governo d’altro canto sembra ormai solo.

Le stesse organizzazioni datoriali non sembrano intenzionate a trovare un minimo comune denominatore tra di loro. Tra chi rinvia ad un lontano febbraio fantomatiche proposte risolutive e chi sembra voler parlare d’altro non si scorge in nessuna organizzazione datoriale la preoccupazione di come la situazione stia volgendo al peggio e nemmeno si percepisce la volontà di fare fronte comune.

La firma dei grandi contratti nazionali aveva indicato una via sulla quale innestare poi gli accordi confederali sulla rappresentanza che avrebbero potuto, attraverso la certificazione della rappresentatività dei soggetti in campo, portare ad una semplificazione del contesto.

Ma anche a nuove prospettive di convergenza sui contenuti e sulle forme organizzative vista l’ibridazione dei settori economici e l’evoluzione del lavoro.

Ripercorrere, sul fronte sindacale le divisioni degli anni 90 e sul fronte datoriale insistere su schemi di gioco superati non serve al Paese. E forse neanche ai soggetti in campo. Il tempo a disposizione, però, non è molto.

Tornare indietro può essere la scelta più semplice ma non è lì che si giocherà la partita sul futuro della rappresentanza sociale ed economica.

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