Tra Ferrero e Barilla non c’è solo il carrello della discordia…

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Per certi versi la “guerra” tra Ferrero e Barilla mi ricorda quella tra Galbani e Invernizzi nel comparto Lattiero Caseario a partire dagli anni 70 del secolo scorso. Galbani, delle due, era la più forte. Nulla di ufficiale ma i colpi bassi erano all’ordine del giorno. Sui prodotti, sulle promozioni e sul management. Alla fine non ha vinto nessuna delle due. Invernizzi  ha perso ed è stata acquisita da  Galbani. Quest’ultima lo era già stata da Lactalis. I contendenti di allora non ci sono più. La guerra tra “Ercolino sempre in piedi” e la “mucca Carolina” è rimasta confinata al novecento.

Vado a memoria ma più  o meno alla fine degli anni 70 Barilla è entrata nel mercato dei prodotti da forno. Faticò ad essere accettata nell’AIDI (l’associazione dei dolciari aderente a Confindustria). Per Ferrero e altri, un pastaio come Barilla, avrebbe dovuto restare nel suo perimetro. Schermaglie che annunciavano gli scontri futuri. Ho avuto la fortuna di conoscere entrambi gli artefici del successo delle due aziende. Michele Ferrero grazie al suo DHR di allora  Carlo Sibona e Pietro Barilla grazie ad Albino Ganapini. Due leader così diversi. Il primo convinto della centralità  delle proprie radici,  premessa indispensabile per la crescita, il secondo per la capacità di guardare al mondo come un unico campo da gioco. Non ho conosciuto i figli però ho amici e ex colleghi in entrambe le aziende.

Credo  però che, anche per le aziende,  l’immortalità non sia garantita. “Who wants to live forever” (Chi vuole vivere per sempre?), cantano i Queen nella colonna sonora scritta per il film Highlander. La profezia ci dice che alla fine “ne rimarrà soltanto uno”. Vale per il film proposto nel 1986 vale per le imprese. Per questo  credo che prima o poi, questo scontro penalizzerà entrambe. Se continua così finirà, temo,  come tra Galbani e Invernizzi.

Tutto è precipitato  quando Ferrero ha pensato di entrare nel mondo della biscotteria fino a quel momento presidiata da Barilla con il suo Mulino Bianco e dalla replica (fuori misura) di quest’ultima sull’uso dell’olio di palma. Il “sweet agreement” fino a quel momento (probabilmente avallato dalla saggezza dei rispettivi padri) era  al contrario, caratterizzato dall’assenza degli uni nei segmenti dell’altro. Da lì in avanti, provare a farsi del male a vicenda è sembrata una costante. Non solo sconfinando entrambi su nuovi  prodotti dove l’altro si sentiva forte ma spostando risorse in ricerca, sviluppo, commercializzazione e marketing.

Nello  scontro a colpi di invasioni di campo non poteva mancare la “modesta” querelle intorno al carrello tricolore. Ferrero anticipando i concorrenti, aveva annunciato la sua adesione. Più politica che pratica.  Barilla a capo di Unionfood si è, al contrario, defilata dopo aver aderito ad un’analoga iniziativa in Francia, sostenendo che il carrello anti-inflazione italiano fosse “da prendere con le molle”. Il risultato sul piano politico  ha dato ragione a Ferrero.  In quel momento, esserci, sarebbe stato  più saggio che defilarsi. Sul  piano pratico Ferrero era comunque meno esposta  anche perché  i suoi  prodotti  non erano e non sono facilmente replicabili dalla MDD. La fedeltà alla sua marca è maggiore. Gli stessi dati  economici confermano una sostanziale stabilità dei volumi per l’azienda di Alba.  Non è stato così per Barilla che ha difeso il fatturato utilizzando anche la leva dell’inflazione ma, nel trimestre (e non solo) ha subito l’iniziativa della MDD e le conseguenze negative sui suoi  volumi che nell’anno precedente erano cresciuti del 10%. Occorre sottolineare che il 37% dei 4,7 miliardi del fatturato 2022 del Gruppo è stato fatto dal mercato nazionale.

Da qui, credo,  l’abbattimento del listino deciso da febbraio 2024 che potrebbe variare dal 7% al 13% e durare fino al 31.12.24. Deciso soprattutto per difendere anche le produzioni  degli stabilimenti italiani. L’operazione riguarda il 65% dei volumi prodotti e il 50% del fatturato. Serve a tutti. A Barilla per difendere le sue quote e al retail per gestire i propri clienti con i “soliti” volantini e le promozioni. È chiaro che la MDD non può stare a guardare e l’effetto complessivo di riduzione coinvolgerà tutto il comparto. E ci sarà chi non potrà stare al gioco.  Secondo l’Istat, i prezzi degli alimentari in Italia sono continuati a salire in tutto il 2023, con una crescita media annua del 9,8%, rispetto all’8,8% del 2022.

Non credo però che si tratti di una mossa propagandistica. Né credo ad operazioni di riduzione delle confezioni e del contenuto (la cosiddetta shrinkflation). Tra l’altro assumere un impegno per tutto il 2024 con una situazione geopolitica in movimento presenta dei rischi evidenti. Barilla non è nuova ad operazioni del genere. L’ha già utilizzata a metà degli anni 90 poco dopo l’accordo sulla politica dei redditi tra Governo e sindacati. Anche allora il dibattito sulla natura e sugli strumenti per tenere l’inflazione sotto controllo agitava il dibattito nazionale. La differenza è che oggi non abbiamo alcuna certezza geopolitica sul 2024. Allora c’era un’intesa alle spalle firmata da governo e parti sociali. Quella che servirebbe anche oggi.

Probabilmente Barilla, dopo aver messo un po’ di fieno in cascina con l’inflazione per poter proseguire il cammino tracciato preferisce assumersi il rischio nel 2024 preoccupata dalla crescita dll’MDD e contando sul fatto che il prezzo della materia prima principale  è oggi diminuito e sotto controllo. Così come il prezzo del carburante.  Una mossa che segnala a mio parere un certo nervosismo. Tattica o strategica lo vedremo se scenderanno i listini o aumenteranno semplicemente  le promozioni.

Ha ragione Dario di Vico sul Foglio: “Il segnale è di quelli inequivocabili ed è destinato ad influenzare i comportamenti degli operatori e le tendenze del mercato”. E conclude: “Il varo dell’operazione del Carrello Tricolore, infatti, non si è rivelata quel successo che avrebbe dovuto/potuto essere anche per le scelte dei grandi brand come Barilla, che erano sostanzialmente rimasti a guardare e non avevano firmato quel patto di filiera con la grande distribuzione che si sperava. E’ vero che poi il governo e il ministro competente si sono mossi in maniera maldestra, è vero che la grande distribuzione si è impegnata a singhiozzo sull’operazione ma, con il senno di Parma, si può tranquillamente dire che l’industria ha sottovalutato il problema.

Ora si vedrà se la mossa di uno dei leader di mercato finirà per generare effetti imitativi a catena, di sicuro il negoziato che ogni anno di questi tempi si tiene tra industria e distribuzione per decidere i listini avrà un ulteriore (e autorevole) input sul quale ragionare. Del resto se c’è un risultato che il Carrello Tricolore ha sicuramente segnato è stato l’ulteriore aumento della quota di vendite della cosiddetta Marca del distributore arrivata al 30% delle scelte dei consumatori. Un incremento che può aver anche originato qualche riflessione in più nei quartier generali dei brand più celebrati”.

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