Un dilemma per il nuovo Governo: sostenere i consumi o aiutare i più deboli…

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La proposta  di Renato Brunetta di mettere mano all’IVA dei prodotti di prima necessità, per ora, è rimasta un’ipotesi di lavoro. Draghi e Franco fino alla crisi di Governo propendevano più per aiuti selettivi indirizzati alle fasce più deboli della popolazione. Azzerare l’Iva sui beni di largo consumo equivarrebbe a tutelare tutta la popolazione, anche quella con redditi alti. Su queste divergenze non si è fatto ancora nulla.

Il punto è che la campagna elettorale non è il luogo più adatto per distinguere l’improbabile dall’impossibile e quindi il Governo credo sarà molto cauto nelle decisioni al contrario della Francia che si appresta ad affrontare il primo autunno dopo le elezioni, i cui risultati hanno indubbiamente  indebolito Macron. Un Paese, la Francia,  attraversato da tensioni sociali acute diverse dalle nostre. Il nuovo Governo ha  deciso un pacchetto di misure importanti. Un’ampia maggioranza dell’Assemblea nazionale ha convenuto sugli interventi a difesa del potere d’acquisto e li ha approvati. L’idea che li sostiene è quella di tutelare i più deboli. Non sostenere i consumi in generale.

Draghi e Franco sembravano orientati più verso il modello francese. Brunetta più verso la posizione delle organizzazioni di rappresentanza che oltre al consumi puntano, ovviamente, a tutelare i fatturati delle loro imprese. Da noi la campagna elettorale, per ora, si limita a dare per scontato ciò che scontato non è. Il rischio è di limitarsi ad un uso propagandistico del tema. L’esempio sulla pasta proposto da Giorgio Santambrogio su Twitter in risposta ad un manifesto elettorale è significativo: “verificato che un italiano mangia 23,9 kg di pasta all’anno, e ponendo il costo della pasta a 1 euro (ma se ne trova anche a meno) il taglio dell’IVA (ora al 4%) farebbe risparmiare 95 centesimi all’anno a ciascun cittadino”. Poca cosa.

Ovunque i governi prendono provvedimenti d’emergenza per contrastare le conseguenze economiche e sociali dell’impennata dei prezzi: circa 25 miliardi di euro sono stati già spesi dalla Francia, trenta miliardi dalla Germania, sedici dalla Spagna. E siamo solo all’inizio. In Spagna e Norvegia le misure saranno prorogate. Già nel dicembre 2021 Parigi aveva congelato i prezzi del gas e stabilito un tetto del 4 per cento per l’aumento della bolletta dell’energia elettrica. Questi provvedimenti saranno prolungati fino alla fine del 2022.

Per il resto, le iniziative prese dalle diverse capitali europee spesso sono simili. Individuare un pacchetto di generi di prima necessità su cui applicare una riduzione dell’IVA non è però facile se non all’interno di una riforma complessiva dell’imposta. Argomento non affrontabile da un governo dimissionario. Entrando  nel merito l’inflazione a luglio è stata del 7,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il cosiddetto “carrello della spesa”, un insieme di prodotti alimentari e non, individuato dall’ISTAT, è aumentato del 9,1 per cento. Questi aumenti pesano su tutti i consumatori, soprattutto quelli con i redditi più bassi.

In Italia l’aliquota ordinaria è del 22%. Aliquote ridotte sono previste per specifici beni e servizi. Secondo calcoli riportati dal Messaggero, il ministero dell’Economia avrebbe già fatto simulazioni per azzerare l’IVA sui prodotti alimentari che oggi sono al 4% e per dimezzare quella sui beni che hanno attualmente un’aliquota al 10%. Il costo per il bilancio dello stato sarebbe di 6,5 miliardi di euro l’anno per tutte le voci prese in considerazione, ma potrebbe scendere a intorno ai 4 miliardi se ci si concentrasse su beni strettamente di prima necessità.

L’unico  svantaggio, a parte il costo, è rappresentato dal fatto che ne beneficerebbero tutti. Anche chi non è in difficoltà. È però interessante prendere in esame il caso della Germania che dopo il primo lockdown del 2020 ha ridotto le proprie aliquote IVA per 6 mesi. Alberto Chiumento sulla lavoce.info (https://bit.ly/3Atue7f) ha fatto riferimento ad uno studio dell’economista Clemens Fuest che “ha confrontato i prezzi dei beni dei supermercati tedeschi con quelli dell’Austria, paese in cui l’IVA non è stata ridotta, ma dove le riaperture hanno seguito una dinamica simile a quella tedesca.

I beni considerati rappresentavano più del 25 per cento della spesa totale delle famiglie tedesche. Il lavoro di Fuest mostra che i prezzi sono diminuiti dell’1,3 per cento, suggerendo che quasi il 70 per cento della riduzione dell’Iva sia stata trasmessa ai consumatori. I prezzi sono poi risaliti nella prima settimana del 2021, ma meno di quanto fossero diminuiti: ne consegue che i produttori hanno passato buona parte della riduzione dell’Iva ai consumatori finali, mentre il ripristino delle aliquote Iva non ha avuto un effetto altrettanto forte”. La riduzione temporanea dell’Iva, conclude Chiumento, sembra avere contribuito a facilitare la ripresa economica tedesca. Quindi l’effetto c’è stato probabilmente perché ha riguardato tutti i prodotti e tutti i  settori.

Altra cosa sarebbe circoscrivere l’intervento su categorie ben identificate scegliendo a priori cosa escludere anche perché non è semplice definire cosa oggi può essere catalogato di “prima necessità” per le diverse tipologie di consumatori. Soprsttutto se si esce dall’agroalimentare in senso stretto. Quindi delle due l’una. O si sostengono i consumi in generale come nel caso tedesco mirando ad un misura forte seppur limitata nel tempo o si interviene con bonus o misure  specifiche di tutela dei consumatori sotto una certa soglia di reddito. Il nuovo governo, passata l’euforia della campagna elettorale dove tutto è teoricamente possibile, dovrà scegliere quale strada intraprendere. 

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