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È evidente che la concorrenza dei Cobas nella logistica sta contaminando parte del sindacalismo confederale facendo perdere la rotta a qualche sindacalista locale. Vedere la FILT CGIL milanese rompere un patto non scritto ma rispettato in categoria da tutti e tre i sindacati confederali,  secondo il quale  non si manifestano le proprie ragioni  all’interno di un negozio a vendita aperta al pubblico e avallare un corteo interno formato da un piccolo gruppo di autisti consegnatari  di  Esselunga, dipendenti da altre società, nel SuperStore di San Giuliano, la dice lunga. (leggi qui). Non sono tanto le frasi offensive del tipo “Voi fate arricchire Esselunga!” urlate ai clienti intenti a fare gli ultimi acquisti prima di Pasqua o denunce inverosimili  sulle loro aziende che li farebbero uscire con le ruote senza bulloni (sic!) a preoccupare, quanto il sentirsi in diritto di entrare, con un atteggiamento intimidatorio arringando i clienti  in un negozio di un’insegna che,  non è titolare del loro rapporto di lavoro e che  si limita ad utilizzare  un servizio dalle aziende da cui dipendono i manifestanti.

E questo  senza nemmeno sentirsi in dovere di confrontarsi almeno con i colleghi dei sindacati di categoria che rappresentano i lavoratori del commercio e della GDO che, tra l’altro, a differenza loro, avevano raggiunto, a dicembre 2023, un importante protocollo  di internalizzazione di servizi concessi in appalto e di regolamentazione degli appalti nel contesto dei servizi di produzione alimentare, e-commerce, logistica, pulizia-multiservizi e vigilanza. Sindacati di categoria che, come l’azienda, sono stati colti probabilmente di sorpresa dall’incursione dei colleghi del sindacato dei trasporti della CGIL. Sentire poi il segretario generale Filt Cgil di Milano dichiarare ai media,  come fosse una concessione di aver agevolato «l’uscita del pane dai magazzini senza nemmeno batter ciglio», ammettendo candidamente che il il suo sindacato è colpevole del blocco del resto delle  merci deperibili, fa veramente cascare le braccia.

Già allora, pur giudicando necessaria  quell’intesa,  avevo sollevato dubbi sugli effetti a lungo termine di quella tipologia di accordi (leggi qui) che purtroppo tendono a risolvere un problema nell’immediato  ma rischiano di  crearne altri nel medio lungo termine come sono generalmente le intese nelle quali, ad una parte, sono sanciti i benefici, mentre all’altra sono riservate esclusivamente le eventuali e possibili conseguenze negative. Cosa che si sta puntualmente verificando. Almeno nella testa di alcuni sindacalisti. L’accordo, sottoscritto puntava a: favorire fenomeni di internalizzazione di servizi concessi in appalto; garantire una regolamentazione degli stessi servizi, al fine di attuare strumenti efficaci a sostegno del rispetto dei diritti dei lavoratori. Parliamo di oltre 2.000 tra lavoratrici e lavoratori internalizzati. Esselunga si era altresì impegnata a selezionare gli appaltatori in relazione a garanzie di affidabilità, capacità, organizzazione dei lavoratori e dei mezzi strumentali necessari per l’esecuzione dei servizi, know how e competenza adeguati agli standard qualitativi richiesti. Cosa che peraltro ha fatto. 


Una Commissione paritetica appalti e internalizzazioni, composta da sei rappresentanti di parte aziendale e da 6 di parte sindacale, aveva poi il compito di supportare tecnicamente le parti per favorire i processi di internalizzazione delle attività e monitorare la corretta applicazione del protocollo. Quindi il sindacato dei trasporti non era titolare di alcunché nei confronti di Esselunga. Motivo in più per doversi rivolgersi ai colleghi del terziario prima di scatenare un caos che rischia di avere gravi conseguenze per gli stessi lavoratori visto il preannuncio di CIG per 750 addetti da parte di Esselunga se la situazione non dovesse rientrare rapidamente.  Per Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs “la sottoscrizione del protocollo ha rappresentato “un importante risultato per chi opera attualmente nella filiera degli appalti in Esselunga: stabilizzazione dell’occupazione, maggiori garanzie e un nuovo protagonismo delle organizzazioni sindacali sono i risultati che la trattativa ha prodotto”. “L’intesa – hanno concluso allora  le tre federazioni – rappresenta un importante precedente di regolamentazione degli appalti in ambito privato, a dimostrazione che molte attività possono essere internalizzate e gestite direttamente”.

Quello che sta avvenendo adesso è la dimostrazione che una parte del sindacato ha interpretato  quell’accordo, non come un segnale di collaborazione e di disponibilità seppure a seguito di un intervento della Magistratura, ma come un segno di debolezza dell’azienda e quindi da riaprire alla prima occasione chiamando a rispondere Esselunga di  contestazioni che, semmai, dovrebbero essere rivolte, alle loro controparti naturali. È chiaro che non ha alcun senso pretendere il coinvolgimento dell’azienda di Pioltello. Ed è evidente la strumentalità della richiesta. Sarebbe come se ad una contestazione, pur legittima, in una  qualsiasi fabbrica di componenti per auto, si pretendesse la presenza del azienda titolare del marchio finale. Grave errore  pretenderlo,  altrettanto grave errore sarebbe concederlo.

A mio parere, se questa china non viene fermata per tempo, si rischia di  innescare un meccanismo sociale incontrollato che peggiorerà la situazione anziché migliorarla. Ed Esselunga per la sua immagine  e la sua evidente fragilità sul piano del confronto sindacale sembra essere l’agnello sacrificale più adatto essendo all’interno del perimetro giudiziario della procura milanese pronta a giustificare ogni forzatura ritenuta espressione del legittimo diritto di sciopero che altrove non sarebbe tollerata. Il detto “tanto tuonò che piovve” ci ricorda che spesso le cose non accadono per caso. È un proverbio che invita a riflettere sull’importanza dei segnali che annunciano cambiamenti e che,  nel nostro caso, provengono dalla società civile e segnalano la necessità di essere pronti ad affrontare situazioni imprevedibili. 

Maurizio Landini quando parla di “rivolta sociale” voglio credere  non indichi una speranza come sostengono alcuni suoi detrattori quanto un’eventualità da lui percepita come possibile, legata al mutare del contesto sociale ed economico. Il compito della politica, delle aziende  e dei sindacati, a mio parere, dovrebbe essere quello di gestire il malessere sociale indirizzandolo verso soluzioni possibili. Non alimentandone le fratture. Per queste ragioni occorrerebbe innanzitutto un chiarimento davanti al Prefetto, nel prossimo incontro, su chi sono gli interlocutori  aziendali e sindacali.

Non spetta alla FILT CGIL decidere chi è il suo interlocutore sindacale né danneggiare l’insegna che lo utilizza. E la stessa azienda deve sapere se gli interlocutori con cui sottoscrive gli accordi sono affidabili e credibili. E infine dovrebbe essere chiaro che ogni intesa ulteriore che dovesse essere raggiunta nelle sedi istituzionali non potrà  non prevedere garanzie di autoregolamentazione delle forme di lotta future e una procedura di raffreddamento del conflitto che ne permettano la gestione.

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