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L’approvazione della legge sulla partecipazione dei lavoratori (Legge 15 maggio 2025, n. 76) e la  nomina di Sbarra a Sottosegretario, per la CISL (leggi qui) fanno da contraltare all’auto valutazione positiva  della CGIL per il risultato al referendum come riportato da Nunzia Penelope sul Diario del Lavoro (leggi qui). Entrambi i risultati  sono ritenuti dai rispettivi leader il loro nuovo punto di partenza. Il primo più collaborativo e propositivo con il Governo, il secondo, pronto a gestire i partecipanti al voto referendario come area di riferimento e punto di partenza di una nuova fase. In mezzo le categorie con i CCNL da aprire e da chiudere, la contrattazione aziendale dove c’è, la concorrenza dei Cobas in alcune situazioni. E ultimo ma non ultimo la gestione degli organismi bilaterali, i vari fondi che ne derivano e che hanno sempre contribuito ad ammortizzare le differenze.

Il prof. Michele Tiraboschi replica puntando, come è sua vocazione, sull’altra faccia del sindacalismo italiano, quella positiva che sviluppa dal basso la contrattazione nei comparti produttivi e nei luoghi di lavoro e che presenta un “sindacalismo ancora vivo”. E, in grande parte, indifferente alle affermazioni  più politiche dei rispettivi vertici, concentrato com’è sulle specifiche dinamiche delle singole aziende o dei settori. In effetti è difficile dargli torto. Molto spesso agli irrigidimenti nei comizi e agli annunci di scelte e alternative a portata di mano, non segue nulla di concreto. Se così fosse, neppure la svolta landiniana sarebbe in grado di  ostacolare questo modello italiano di relazioni industriali che spesso  “predica male ma razzola bene”. 

In questo contesto, però, tutto può succedere. Se sono veri i dati sui salari, sui contenuti fermi dei CCNL, del peso sempre più significativo del sindacalismo di base in alcuni settori, delle aziende sempre meno disponibili al confronto e del ruolo assunto dalla magistratura come “autorità salariale”, il rischio che il sistema si sfaldi, nel disinteresse generale, c’è sicuramente. Per questo Di Vico,  sul Corriere Economia  ha disegnato una CGIL “come un icocervo, metà sindacato e metà partito che si propone come guida morale dei partiti del centro-sinistra, divisi e, soprattutto, lontani dalla cultura novecentesca della produzione e del lavoro, che considera quindi i 14 milioni di votanti del referendum come sostanzialmente dei suoi adepti, un fronte unico di cui si deve occupare e deve dirigere”.

La novità è che, appresso, c’è anche la UIL di Bombardieri che per il solo fatto di esserci, potrebbe rendere difficile alla CISL un percorso in solitudine. A meno che, una marcata e crescente politicizzazione del sindacalismo italiano punti anche ad una nuova geografia della rappresentanza con CGIL, UIL e Cobas, in coda da una parte, e la CISL in compagnia del variegato mondo del sindacalismo autonomo e dell’UGL dall’altra.

Condivido però, che l’effetto concreto delle scelte maturate da Landini  può determinare un ulteriore abbassamento dei livelli di unità sindacale. Almeno come l’abbiamo conosciuta. Gli attacchi contro la scelta di Sbarra, peraltro non più in carica e molto simile a quelle operate da altri dirigenti sindacali in direzione politiche opposte, hanno creato una sostanziale linea difensiva in gran parte condivisa dagli attivisti e dai delegati della CISL. Quindi una strumentalizzazione inutile e dannosa perché non aiuta a rimettere insieme i tasselli del puzzle. E soprattutto sottovaluta il contesto economico e sociale che il disinteresse al merito dei quesiti referendari sul lavoro avrebbe dovuto riportare tutti alla realtà. E, se è vero che la CISL da sola non può andare da nessuna parte e altrettanto vero che CGIL e UIL insieme non possono arrivare da nessuna parte.

Ha quindi ragione Di Vico: “È molto probabile infatti che la politicizzazione dell’arena sindacale produca meno contrattazione, meno relazioni industriali positive, meno autonomia della società civile. La richiesta di buone relazioni industriali non è prerogativa di una particolare corrente che, fortunatamente, ancora è presente nelle categorie sindacali e nei giuslavoristi, ma corrisponde a un’esigenza di governo delle società complesse. Soltanto il negoziato dal basso può infatti aderire alle pieghe della società, differenziare le soluzioni, creare coesione sociale”.

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